Il Manifesto - 28.10.97
ANNA PIZZO - ROMA
U N'ASSEMBLEA tra il direttore della carceri, Alessandro Margara, e una rappresentanza dei detenuti del Nuovo complesso del cacere romano di Rebbibbia, dal 12 ottobre in sciopero del "carrello", cioè del vitto che passa il carcere. Voluta da alcuni parlamentari romani, probabilmente l'assemblea non ci sarebbe stata (non almeno alla presenza dei giornalisti) se la protesta di oltre mille detenuti di quel carcere non fosse divenuta un fatto nazionale che ora "rischia" perfino di allargarsi. Dopo lo sciopero della fame di Sofri, Bompressi e Pietrostefani, rinchiusi a Pisa, è di ieri l'adesione alla stessa protesta del femminile dello stesso Rebibbia e dell'altro carcere romano, Regina Coeli.
Alle tre del pomeriggio, dopo aver superato una infinità di cancelli e di pratiche burocratiche, i "visitatori" sono stati ricevuti dal nuovo presidente, Alessandro Margara, già "illuminato" giudice di sorveglianza a Firenze, dal suo staff e da quattro parlamentari. Sembrava di dover assistere a una sorta di cerimonia ufficiale se non fossero intervenuti gli stessi detenuti: consentite solo una rappresentanza di quindici persone per reparto, hanno detto a Margara, ne vogliamo almeno quaranta. Si tratta, si discute, il presidente cede. Ma il clima è teso: dalle sbarre di tutte le finestre parte una sventagliata di fischi e tante mani sporte con padelle e cucchiai a battere convulsamente. Poi, poco a poco, torna la calma e alla spicciolata dai quattro bracci e anche dall'ormai tristemente famoso G 14 (quello degli ammalati gravi) parecchie decine di detenuti cominciano ad affollare la sala. In fondo, è comunque un'occasione da non perdere per dire la loro. E non è cosa da poco, dal momento che, avvicinati poco prima dell'inizio dell'assemblea da alcuni giornalisti, ai protagonisti della protesta è stato proibito di "rilasciare dichiarazioni, interviste o anche esprimere opinioni", come ha detto sbrigativamente uno dei responsabili della polizia carceraria troncando ogni obiezione.
Parla Athos De Luca, parla Leone, Russo Spena e Sciacca. Dicono cose ragionevoli, Russo Spena spiega con onestà che sulla approvazione della legge Simeone si potrebbe fare in fretta se solo i gruppi parlamentari concedessero la sede legislativa. Che per la depenalizzazione dei reati minori potrebbe aprirsi qualche spiraglio, che sulla scarcerazione dei detenuti malati gravi non tira buona aria per non parlare della depenalizzazione per i reati connessi con le tossicodipendenze. Dicono, i quattro, quel che ragionevolmente chiunque ha a che fare con il parlamento pensa e sa. Non i detenuti, a cui poco importa di quelle che definiscono "chiacchiere" e che rumoreggiano in parecchi dalla sala.
"Noi detenuti - si alza in piedi e parla per tutti uno - stiamo pagando da anni le vostre schermaglie politiche. Siate un po' più concreti". Da quel momento, il centro dell'attenzione non è più stato il lungo palco delle "autorità", ma la platea, dove poco meno di un centinaio di persone hanno trasformato le loro storie personali in una denuncia collettiva. "Sono almeno due anni che discutiamo delle stesse cose per le quali ora siamo in sciopero della fame. Lo abbiamo fatto con Presidenti e ministri. Sono passati due anni e le condizioni della carceri sono peggiorate. Nel '90 i detenuti erano 29 mila, ora sono 50 mila, dovete prendere atto che avete sbagliato. - dice chi senza esitazioni prende la parola - Vogliamo il condono generalizzato di almeno tre anni, vogliamo cambiare la Simeone perché la maggioranza dei benefici riguarda chi in carcere deve ancora entrare, non chi ci sta da anni. Giudichiamo criminale le sentenza della Consulta che nel '95 decise praticamente di condannare a morte tutti i malati di Aids detenuti. Vogliamo la depenalizzazione di tutti i reati legati alla tossicodipendenza".
E un altro: "La Simeone se la può permettere solo chi ha i soldi per pagarsi l'avvocato. Ma lo sapete o no che nelle carceri il 90 sono poveri? E che questo sciopero del vitto, che il ministro Flick liquida come una stupidaggine, costa molti sacrifici a chi non ha i soldi nemmeno per comprarsi un paio di scarpe? Nel carcere nulla è una stupidaggine". La malattia, il potere arbitrario dei giudici di sorveglianza, le condizioni di sovraffollamento e invivibilità degli istituti penitenziari, nulla vienerisparmiato e tutto viene argomentato, precisato fin nei dettagli. "Di galera in galera, sto dentro dal '72 - dice uno - sono stato in molte delle 220 carceri italiane e ho visto tante situazioni diverse. Ho partecipato alla grande stagione di speranze della Gozzini. Ma che fine ha fatto, perché non è stata applicata? Ora è solo un fantasma e anche la Simeone rischia la stessa fine. Il presidente Margara è stato giudice di sorveglianza e sa di cosa sono capaci quei tribunali". Il tono si fa più aspro: "I medici del carcere dicono che un malato è incompatibile con il regime carcerario, ma per il giudice non è vero. Credo che anche oggi ho fatto un buco nell'acqua". Ancora: "Ho fatto domanda al magistrato di sorveglianza per farmi operare a un ginocchio. Dopo mesi mi ha risposto che la bronchite me la potevo curare anche in carcere. Non aveva nemmeno letto la mia richiesta". La pioggia battente di fatti, "casi", problemi insoluti, denunce, ingiustizie si trasforma in diluvio.
De Lellis è da undici anni medico dell'infermeria di Rebibbia. "L'incompatibilità? - dice - La legge c'è ancora, ma quando noi segnaliamo un caso all'ufficio di sorveglianza, spesso questi trasmettono la pratica al tribunale. E passano mesi. E' un ping pong. E poi, quanti ne ho visti di malati uscire perché gravi e poi tornare perché fuori non trovano come curarsi né un posto che li accolga né qualcuno che si occupi di loro. Almeno qui si possono curare, e da tempo anche con i farmaci più avanzati, gli inibitori delle proteasi. Vede questi dati? Sa quanti di questi farmaci, una volta fuori, se li dovrebbero pagare da soli perché sono in fascia C? E com'è che molti non possono nemmeno comprarsi un paio di mutande?". Li Bianchi, responsabile per le tossicodipendenze, dice che quelli a Rebibbia per reati legati all'assunzione di droghe sono quasi il 50% e che finalmente da un mese si distribuisce anche metadone a chi è in crisi di astinenza.
Il vice direttore delle carceri, Paolo Mancuso, dà una buona notizia: "Finalmente è stato sottoscritto un protocollo tra il ministero della giustizia e quello della sanità per far sì che ci sia continuità di trattamento dall'esterno al carcere e viceversa". Margara prova a rispondere alla raffica di domande: "Avete chiesto modifiche ragionevoli alla Simeone. Credo che si potrebbero prendere in considerazione, purché questo non costringa ad allungare i tempi - dice - Quanto alla discrezionalità dei giudici di sorveglianza, decidono in base a quel che potrebbe succedere. Perché le loro decisioni sono buone se vanno a finire bene, altrimenti apriti cielo. E sono loro a pagare. Bisogna liberarli e restituirli alle loro responsabilità".
Suor Gervasia viene accolta con un'ovazione: dice che è lei, con i suoi ottant'anni, la più vecchia di Rebibbia e ottiene un applauso a scena aperta quando parla di "pena che deve essere come scritto nella Costituzione: e la Costituzione in questi corridoi non è rispettata". Poi fa un affondo sui "poveri ragazzi" costretti a scontare residui di pena di anni "quando si sono rifatti una famiglia, hanno un lavoro".