Il Manifesto - 30.04.98
FRANCO CORLEONE *
I l carcere versa, e non da oggi, in una situazione particolarmente difficile. Istituti sovraffollati e invivibili, abitati da una umanità marginale figlia dell'emarginazione sociale: degli oltre 50 mila detenuti circa 15 mila sono tossicodipendenti, 10 mila extracomunitari, 2 mila sieropositivi, un centinaio malati di Aids e 2-3 mila sono persone affette da disturbi psichici e psichiatrici. Per questo la proposta di legge Simeone-Saraceni sull'applicazione delle misure alternative al carcere ha incontrato la sensibilità di molti. L'approvazione giunge però con grande ritardo: dopo il primo sì della camera nell'ottobre '96, il provvedimento è stato modificato e approvato dal senato solo nel settembre '97, e ora dovrà ritornarvi per una piccola modifica della norma sulla copertura finanziaria. Una gestazione troppo lunga e laboriosa a fronte della necessità di risposte concrete ai tanti problemi della detenzione. Ora, a più di un anno e mezzo dalla prima votazione, è prevalsa, saggiamente, la scelta di arrivare subito all'approvazione della legge, rinunciando a proporre ulteriori modifiche al testo. Nel quale sono state inserite nel frattempo le previsioni approvate su proposta del governo: un aumento delle dotazioni organiche degli assistenti sociali (684 unità) e degli operatori amministrativi (140 unità), provvedimenti importanti perché consentiranno un rafforzamento delle attuali strutture di supporto all'effettiva applicazione delle misure alternative. E ancora, si dovrà operare, con provvedimenti amministrativi, per un congruo adeguamento degli organici dei magistrati degli uffici di sorveglianza.
L'approvazione di questa legge non risolve l'emergenza-carcere nel nostro paese, ma può finalmente innescare un processo positivo e mettere in moto altre proposte. Sullo sfondo restano altre grandi riforme strutturali della giustizia, e di questo settore in particolare, che non sono rinviabili all'infinto; ma intanto è ripreso il dialogo con i detenuti e con chi nel carcere lavora, e questo obbliga tutti a rimettersi in gioco.
Una maggiore civiltà della pena e delle prigioni è questione che attiene alla cultura di tutto il paese e alla qualità di una politica riformatrice. Il dibattito in corso in questi giorni al senato sull'abolizione dell'ergastolo ha messo in luce resistenze inaspettate che configurano un esito incerto di questa iniziativa, che pure avrebbe il segno di un grande coraggio riformatore: una pena non può essere giusta, opportuna, socialmente accettabile se non prevede un percorso, una possibilità, una speranza. E la pena perpetua nega la speranza, elimina il futuro e fa di un soggetto un oggetto deprivato di umanità.
Fino a che la politica non si deciderà ad affrontare queste grandi questioni di principio non riuscirà a riprendersi alcun primato. E fino a che l'uso del penale continuerà a seguire gli umori più incattiviti dell'opinione pubblica, nessuna svolta garantista riuscirà a sottrarsi al sospetto di essere strumentale agli interessi dei potenti.
*Sottosegretario alla Giustizia