Il Messaggero - 25.02.98
Nel carcere anche due tentati suicidi
Rebibbia, quattro morti in pochi giorni. Denunce di pestaggi
di ANTONELLA STOCCO
Quattro detenuti morti, due suicidi mancati e altri cinque pestati a sangue. In una manciata di giorni, Rebibbia si è macchiata di sangue come non succedeva da tempo, da quando il carcere giudiziario ancora viveva di speranze e di promesse. In pochi mesi è sfumato il teatrino dei convegni e degli impegni governativi. Niente più rapida approvazione della legge Simeone sulle alternative al carcere, ferma alla Camera in commissione giustizia; nessuna speranza di ottenere la sospensione della pena per i malati terminali, speranza spazzata via dopo le imprese della banda dellAids di Torino. A nulla sono valse le proteste, gli scioperi della fame, gli appelli della popolazione detenuta; chi aveva promesso ora tace. E cè un ritrattino di Pinocchio sullultimo comunicato dei detenuti del nuovo complesso di Rebibbia, cè linvito a una mobilitazione cittadina. I detenuti scrivono, e la tensione sale. Cè chi parla di un rafforzamento dei falchi della polizia penitenziaria, più inclini alla custodia rigida che al trattamento, e chi rileva tutti i segnali di una disperazione diffusa. Era disperato Paolo Caprioli, ex tossicomane di 24 anni morto ieri notte nel g14, il reparto-infermeria già oggetto di battaglie e denunce sul trattamento dei malati di Aids. Il cadavere di Caprioli è il numero 4, per quanto se ne sa, annotato in dieci giorni sui registri del carcere. Nei mesi scorsi il giovane aveva denunciato una oscura storia di stupefacenti e soldi, sembra coinvolgendo un infermiere del reparto. Non accusava nessuno un altro detenuto, un libico, che sabato scorso è stato trovato morto in cella, al G 13, con un buco in testa, riverso tra una corda spezzata e il lavandino insanguinato. Ricostruzione dellaccaduto: luomo ha tentato il suicidio, la corda si è rotta ed ha battuto la fronte contro il lavandino morendo sul colpo.
Chissà se la barella con il corpo del libico ha incrociato quella con il cadavere di Sergio Massimo Biagini, 35 anni, ex Nar, 26 anni da scontare e una morte senza spiegazioni. Non era tossicomane, sui suoi resti non sono stati riscontrati segni di violenza. La morte aveva già visitato Rebibbia il 13 febbraio: Pasquale Pacifico, 54 anni, cardiopatico, si accascia in cella al g14, chiede aiuto. Secondo i racconti dei compagni di sezione, il medico di turno gli avrebbe somministrato una dose di Valium e si sarebbe attardato ad esaminare le cartelle cliniche invece di provvedere al ricovero. Per radio-carcere Pacifico è morto in cella, secondo la versione ufficiale è arrivato ancora vivo al Pertini. Sono vivi, ma pesti, cinque detenuti sudamericani che hanno denunciato al tribunale del malato di essere stati tirati fuori a forza dalla cella 13 nel G 11 da alcuni poliziotti penitenziari che poi li avrebbero picchiati a sangue. Due di loro sarebbero poi stati chiusi in isolamento e nuovamente malmenati. «Carlos Ruben, Ugo Caceres, Antonio Guerrero, Raoul Vuillanueva e Pietro Uhrea aspettano giustizia. Ho denunciato il loro caso al magistrato di sorveglianza così come denuncio questa spirale tragica di morti - spiega Corrado Stillo - responsabile dellosservatorio dei diritti dei detenuti e del tribunale del malato del Lazio -. Il carcere diventerà un inferno se non si provvederà subito ad accelerare gli interventi legislativi e a tirare fuori i malati gravi». Durissimo anche il senatore verde Athos De Luca: «Troppe morti inspiegabili, abbiamo presentato una mozione in parlamento perchè la questione-carceri venga discussa con urgenza, perchè vengano fortemente incrementate le possibilità di alternative alla detenzione. E rivista la custodia cautelare per chi è soggetto a gravi patologie». Come Franco Iodice e Gilberto Roversi, entrambi al G11, affetti da disturbi psichici e suicidi falliti. Un agente seduto davanti alla cella li guarda ogni 15 minuti.