La Repubblica - 18.04.98

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Lasciate dormire Sofri. Temono che l'ex leader di Lc tenti il suicidio in carcere e perciò lo svegliano ogni ora

di MICHELE SERRA

NON RISULTA, almeno per adesso, che il diritto all' ozio, celebrato in un famoso libello dal genero di Karl Marx, Paul Lafargue, sia stato iscritto d'ufficio tra i crimini del comunismo. Potrebbe finirci, però, il diritto al sonno, invocato da Adriano Sofri nella sua rubrica quotidiana sul "Foglio".

Racconta Sofri di essere stato svegliato dal personale addetto, la notte scorsa come le altre notti, per dodici volte, tra mezzanotte e le sette, tramite apposito sbattimento del gabbione di ferro nel quale, per le note circostanze, si trova a trascorrere i prossimi ventuno anni.

Già qualche settimana fa, quando gli feci visita in carcere, mi disse che questa forzata astinenza dal sonno gli pareva la più assurda e inflittiva delle angherie.

È così rara l'occasione per mettere d'accordo garantisti e manettofili, innocentisti e colpevolisti, che non coglierla sarebbe un'omissione imperdonabile.

SIA SOFRI (come ogni altro detenuto nelle patrie galere) un incallito criminale o la vittima di una persecuzione giudiziaria, solo il più perverso dei torturatori potrebbe negargli, assieme alle altre funzioni del metabolismo, quella del sonno.

Lo stesso personale carcerario, del resto, non è che si diletti a svegliare questo o quel detenuto per sadismo. Pare lo faccia per zelo, per la nota serie "i peggiori crimini nascono dai migliori propositi".

Ci si deve infatti accertare che Sofri, sospettato di voler lasciare il carcere di Pisa con il pretestuoso espediente del suicidio, sia vivo. Va da sé che la condizione del dormiente, come hanno già sottolineato poeti e neurologi, inscenando la sospensione della vita allude alla morte. Urge, dunque, risvegliarlo a intervalli regolari, per accertarsi che il suo sonno non sia quello eterno, rigorosamente vietato dai regolamenti vigenti.

Chiunque abbia avuto figli piccoli conosce il tormento dell'interruzione del sonno: è una rottura (in tutti i sensi) che spesso non si rappezza più, e segna il passaggio dal sonno greve e irresponsabile della giovinezza a quello vigile e leggero della maturità.

Si consideri, tuttavia, che anche nei casi più famelici le poppate notturne cadono ogni quattro ore, ed è una condanna, quella, che dura pochi mesi, non ventidue anni. Si ha il tempo, snocciolato il rosario delle imprecazioni, di riaddormentarsi, sognando Erode e/o la sterilità. Ma dodici risvegli in sette ore, per una media di un rintocco di sbarre ogni tre quarti d'ora circa, non sono un'interruzione del sonno, sono un definitivo espianto del sonno dal corpo di una persona.

Neppure un detenuto anziano, quale Sofri pretende di essere, è in grado di ammministrare le poche ore di riposo necessarie in mezzo a quella gragnuola di appelli notturni. Ai quali, conoscendone le inclinazioni (non esattamente da cadetto di West Point), si presume che egli non risponda "presente!", preferendo esternare il suo colorito disappunto alla guardia di turno, ed esacerbando, dunque, quella scomoda inimicizia tra carcerieri e carcerati che aggrava, in genere, soprattutto le condizioni di questi ultimi.

Dire, insomma, che questa stupida e inutilissima crudeltà potrebbe essere risparmiata non solo a Sofri, ma a tutti i detenuti, non mi pare aggiunga o tolga nulla ai nostri interminabili conti con la storia, la giustizia e la storia della giustizia; mentre solleverebbe la reclusione, e il personale addetto, da una almeno delle forme di accanimento che hanno ben poco a che vedere, mi pare, con la pena da scontare.

Ci sono poi, va detto, anche gentiluomini (suppongo insonni) che trovano utile e spiritoso scrivere biglietti d'insulti a Sofri, contando sul fatto che un uomo condannato a ventidue anni è il destinatario ideale: come l'orso del tiro all'orso, non può far altro che prendere il colpo e grugnire.

Perfino questi coraggiosi vorranno convenire su questo punto almeno: il sonno, nel caso di un mostro omicida quale Sofri a loro sembra, pone ognuno in balia del suo inconscio. Come potrà Adriano Sofri patire i suoi bravi incubi dostoevskiani, svegliandosi come Raskolnikov madido di sudore e attanagliato dal rimorso, se non lo lasciano dormire?

 

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