La Repubblica - 21.02.98
I giudici: no al carcere meno duro
E parte l'inchiesta sui figli in provetta dei due boss
di FRANCESCO VIVIANO
PALERMO - Giudici in rivolta contro la fine del 41 bis, il regime carcerario duro previsto per i boss di mafia. Da Palermo a Caltanissetta il coro dei magistrati impegnati da anni in prima linea nella lotta a Cosa Nostra è unanime: "Lo Stato ha abbassato la guardia". E la polemica per lo svuotamento dei principi del 41 bis esplode in coincidenza con un singolarissimo caso, quello dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, boss di Brancaccio che, detenuti e sottoposti al regime del carcere duro, sono riusciti a diventare papà. Come hanno fatto? Le due donne, che hanno partorito il 26 giugno ed il 13 agosto scorso, avrebbero concepito i due bambini con l'inseminazione artificiale e lo sperma sarebbe stato consegnato ad una banca del seme prima che i due fratelli finissero in carcere.
Che i Graviano fossero diventati papà si è scoperto nel gennaio scorso quando le mogli sono andate con i bambini in braccio al colloquio. In quell'occasione hanno esibito alla direzione del carcere un certificato che confermava la paternità dei due bambini nati in una lussuosa clinica a Nizza. Il direttore ha informato il ministero di Grazia e Giustizia ma la notizia non sarebbe giunta agli investigatori ed ai magistrati di Palermo che probabilmente apriranno un'inchiesta per accertare come siano andate realmente le cose.
Adesso, con le nuove regole sul 41 bis, tutto potrebbe diventare più facile per i boss e per questa ragione i magistrati siciliani insorgono. Antonino Ingroia, magistrato della Dda di Palermo, "pupillo" di Paolo Borsellino, non usa mezzi termini: "Il nuovo trattamento carcerario - dice - è una lontana controfigura del 41 bis che costituì una delle più significative risposte che lo Stato diede all'impennata stragista del '92. Queste nuove norme non garantiscono più la separazione tra i più pericolosi mafiosi anzi li agevola con il mondo esterno".
"Con il 41 bis lo Stato - aggiunge Ingroia - aveva anche intaccato uno dei principali miti dei capi mafia, quello del boss intoccabile anche in galera. Era stato un segnale forte delle istituzioni che impediva ai mafiosi di dettar legge anche da dentro il carcere. Adesso, a mio avviso, lo Stato dà la sensazione di abbassare la guardia nella lotta alla mafia". Dello stesso parere il sostituto procuratore Luca Tescaroli, che ha rappresentato con il procuratore aggiunto Paolo Giordano l'accusa nel processo per la strage di Capaci. Per Tescaroli il 41 bis "è una misura irrinunciabile perchè l'idea che stava alla base di quel provvedimento era isolare i boss dal circuito esterno per impedire che continuassero a mantenere il controllo del territorio anche se rinchiusi in un istituto penitenziario. Non bisogna compiere il perenne errore di considerare la mafia un tema emergenziale mentre è invece una piaga endemica che va sistematicamente combattuta".
Contrario alle nuove regole sul 41 bis anche Antonino Di Matteo titolare con la collega Anna Maria Palma delle inchieste sull'attentato al giudice Paolo Borsellino e sui mandanti esterni delle stragi del '92. "L'applicazione del 41 bis - afferma Di Matteo- aveva dato buoni risultati perchè aveva evitato i contatti interni tra i boss e sopratutto tra questi e l'esterno così come avveniva prima dell'introduzione del regime duro". Per Di Matteo il 41 bis non ha pregiudicato i diritti umani dei detenuti ed aveva salvaguardato al meglio un'esigenza dimostratasi di primaria importanza, quella dell'isolamento. "Molti collaboratori di giustizia - ricorda il magistrato - ci hanno svelato tutti i trucchi usati dai boss detenuti per comunicare con l'esterno riuscendo a trasmettere anche ordini di compiere omicidi".