La Repubblica - 22.10.97

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"Non vogliamo essere sepolti vivi"

Nella biblioteca del penitenziario trasformata in sala assemblea, con il senatore De Luca

di CARLO CHIANURA

 

ROMA - Nella sala biblioteca le due professoresse hanno appena finito la lezione serale di storia dell'arte. Gli studenti vestiti con la tuta d'acetato o più tradizionalmente in camicia a quadretti e maglione, quei trenta che le hanno seguite con diligenza, rimettono in pila sulla cattedra i testi e discutono a bassa voce dell'argomento del giorno. Il signor direttore è soddisfatto. Le professoresse salutano con larghi sorrisi e se ne vanno. Anche gli studenti smobilitano ma poi arriva, ohibò, un senatore della Repubblica e decidono di rimettersi a posto.

La biblioteca non sta in un liceo romano e nemmeno in una scuola serale per studenti lavoratori. E l'argomento del giorno non è la lezione di storia dell' arte, per quanto l'attenzione sia stata ottima, quasi deferente.

Alle sette e un quarto della sera la biblioteca è quella della l'argomento del giorno non sono i capolavori di Piero della Francesca ma lo sciopero del vitto per protestare contro le medicine che non ci sono né per chi ha il raffreddore né per chi ha l' Aids. Contro quei ventiquattro miseri permessi rilasciati quest'anno per lasciarsi un paio di giorni alle spalle il cemento di Rebibbia: ventiquattro su 1350 carcerati. Contro il fatto che lavoro interno non se ne fa più e l' ozio, si sa...

E se stavano smobilitando, l' ex brigatista o il condannato per corruzione, quell'altro con l' aria antica e distinta nell'angolo di sinistra o l'uomo in tuta che non è potuto nemmeno andare ai funerali della madre o anche l'ergastolano, se stavano smobilitando - questo è ovvio - era per tornarsene nelle celle con le sbarre blu. Se poi quella lezione di storia dell'arte potrebbe far nascere l'equivoco di un carcere di un paese civile, bisogna aggiungere che resta la storia dell' arte o poco più tra le attività diciamo di diletto, merito soprattutto di Barbera, il signor direttore. E chiosare con quello che fu il commento del compianto ex direttore delle carceri Francesco Di Maggio: "Le nostre carceri sono all'ultimo posto nel mondo civile ma sicuramente al primo nel Terzo Mondo".

Athos De Luca, il senatore verde, si siede su una delle seggiole di compensato lucido. Tornano a sedere i trenta.

Cambia completamente la scena e la sala biblioteca diventa la sala assemblea. I toni sanno di politica e non è un caso perché tra i presenti ci sono molti ex terroristi. Uno, quello che sembra il leader, dice continuamente "dobbiamo andare a dama". Dove "andare a dama" significa raccogliere subito quello che si può, anche una riformina purché ben fatta. Dice così e fa un certo effetto sentirlo da chi ha sparato per la rivoluzione.

Vittorio, è lui l'ex br, condanna a diciannove anni, è uno dei mille (il guardasigilli dice cinquecento) che "rifiutano il carrello": cioè non vogliono il vitto ma cucinano in cella col fornelletto e comprano quello che c'è allo spaccio. Non è vero sciopero della fame? Non lo è. Ma per chi ricorda le rivolte dei Settanta, quelle precedute da scioperi della fame veri, non può che rallegrarsene.

"Ci vogliono sepolti vivi". La frase la cogli sotto tante forme in tutti gli interventi. "Ci vogliono" chi? Lo Stato. Ma per andare un po' meno sul generico? Il ministero, il direttore, le guardie, gli educatori carcerari, i giudici di sorveglianza? Il primo e gli ultimi, dicono. Il ministero della Giustizia che blocca le attività collaterali, non sigla la convenzione che Rosy Bindi invece ha già firmato per esempio per fare arrivare le cure ai malati terminali di Aids prima che dalla galera escano con i piedi in avanti. E i magistrati di sorveglianza che hanno paura di dare le licenze. "Non si fa così", dirà più tardi De Luca: "se è vero che uno tradisce la fiducia, evade o fa un rapimento come pare sia stato per Soffiantini, questa non è una buona ragione per togliere la fiducia a tutti gli altri".

Per capire che la cosa può precipitare, il detenuto del braccio G9 dà l'annuncio all'assemblea: "Voglio comunicarvi", dice con la giusta solennità, "che da oggi i trecento del mio braccio hanno revocato gli avvocati". A che serve l'avvocato, sorride lo Scrivano, un altro "politico", tanto il giudice non dà i permessi.

C'è una postilla molto in burocratese nel prestampato con la risposta negativa del giudice al permesso premio. "Il detenuto necessita di ulteriore congruo periodo di osservazione comportamentale". Anche se ha già fatto ventitré anni di carcere, periodo in generale considerabile molto congruo.

Il condannato a due anni e nove mesi per corruzione racconta: "Ma perché i giudici di sorveglianza devono stare al Tribunale e non qui? Perché noi detenuti dobbiamo fare un viaggio terrificante, in catene come un cane in gabbia, per non essere nemmeno ascoltati?". E per essere rimandati in cella con il no sul prestampato.

Hanno paura i giudici? Difficile crederci quando parla il detenuto Bottini, pena in scadenza a gennaio. "Volevo vedere mia madre che stava male". Ora dove sta?, s'interessa De Luca. "Ora sta a Prima Porta (uno dei cimiteri di Roma, ndr.). E' morta, senato'". Insomma, la storia è andata che la madre stava morendo e non arrivava il permesso di uscire a vederla. Nemmeno il permesso per i funerali. Ora Bottini chiede almeno un paio di giorni - il senatore annota: "Due giorni per mettere la lapide, perché ci posso pensare solo io. Mica scappo".

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