in questo numero:
Mara Coccia
memorie occasionali
Memorie occasionali
ricordi di Mara Coccia 1960-2000
raccolti in un'intervista da Flaminia Giorgi Rossi
Nel dicembre del '63 Mara Coccia inizia la sua attivita' aprendo la storica
galleria Arco d'Alibert. Uno spazio espositivo vitale e aperto alle nuove
sperimentazioni, dal teatro d'avanguardia, alla poesia visiva, al film
d'arte (nel '66 Sandro Franchina vi giro' "Morire facile" con protagonista
Franco Angeli). Si lega ad artisti come Novelli, Dorazio, Perilli,
Franco Angeli e
Fabio Mauri. Negli anni Sessanta sostiene la ripresa del gruppo
Forma 1, e propone con continuita' Angeli, Mauri e Kounellis.
Nel '67 con Carandente organizza una grande mostra di Calder.
Nel '68 con la collaborazione di Michelangelo Pistoletto, allestisce "Il
percorso" una delle sue mostre piu' importanti in cui espone nove
artisti torinesi emergenti (fra cui Pistoletto, Boetti, Merz, Paolini, Anselmo).
Nel 1981 dopo un periodo di pausa riapre nella storica sede dei fratelli
Bragaglia in Via Condotti 21 dedicandosi a mostre dal taglio piu' storico (
Morandi, Severini, Balla). Nei suoi quarant'anni di attivita' come gallerista
Mara Coccia ha operato con lucidita' e coerenza critica e, con lo stesso
impegno di sempre, seguita a svolgere la sua attivita' di "promoter
dell'arte" come si autodefinisce. Attualmente ha avviato una nuova
fase della sua attivita' con "Arte da camera"
D: La tua attivita' di gallerista inizia con la galleria l'Arco d'Alibert
come rivedi questa tua partenza?
R: L'Arco d'Alibert apre nel '63 dopo una mia esperienza di apprendistato
prima all'ufficio vendite della Quadriennale e poi con Claudio Bruni
alla galleria la Medusa. Nel dicembre del '63 apro una mia attivita' e
la chiamo Arco d'Alibert, commettendo un errore a cui piu' tardi riparero'
perche', soprattutto nei rapporti con l'estero, era difficile far capire la
sigla e il collegamento con il direttore che ero io e spesso veniva
confuso il nome della galleria col mio. Nell'82, con molto ritardo,
porto definitivamente il mio nome nell'attivita' che diventa galleria
Mara Coccia.
D: In una tua lunga intervista con Laura Cherubini, pubblicata nel
catalogo della mostra sugli Anni Sessanta a Palazzo delle Esposizioni,
hai parlato del tuo modo di lavorare impostando rapporti diretti con
gli artisti e alle volte quasi "materni" come hai definito il tuo legame
con Franco Angeliä
R: Ho appreso questo modo di lavorare da Plinio de Martiis e da
Liverani, loro avevano fatto delle scelte propositive importanti, avevano
portato Roma ad essere il collegamento principale con gli Stati Unitiä
A Roma c'era Twombly, conosciuto da Giorgio Franchetti, collezionista
legato a Plinio, negli Stati Uniti. Poi c'era Rauschenberg, che veniva a
trovare Twombly. C'erano Oldemburg e Segal da Liverani. Twombly,
che nelle intenzioni, avrebbe dovuto rimanere a Roma per un breve
periodo, per poi andare a vivere in Grecia, vi si trattiene e sposa la
sorella di Giorgio Fianchetti, dalla quale ha un figlioä. Alessandro.
Cosi' in quegli anni Twombly era uno dei nostri artisti piu' importanti.
Come Kounellis, che veniva dalla Grecia e si naturalizzo' italiano.
Ma per Kounellis e' una storia diversaä.
D: Non credi che questi artisti americani abbiano avuto uno stretto
legame con artisti italiani come Novelli?
R: I grandi amori di Twombly a Roma sono stati per l'archeologia e
per le statue antiche. Lui non era legato tanto agli artisti romani, anche
se poi si sono fatte delle mostre di Novelli, Perilli e Twombly, come
molti altri stranieri che a Roma purtroppo non cercano gli artisti piu'
o meno coetaneiä. la prima cosa che fanno cercano l'archeologia.
Certo anche questo e' un legameä. ma non e' nemmeno un vero
legame fra la
Pop e la scuola romana che poi si identifica con la scuola
di piazza del popolo: Angeli, Festa e
Schifano. Schifano va negli Stati Uniti pero' le radici della Pop,
definita cosi' dai critici, in questo gruppo sono da rivedere. E mentre
Schifano lavora proprio con le riviste americane sulle ginocchia
- questo lo racconta Uncini che aveva lo studio insieme a Mario
nei primi anni - Franco Angeli e Festa trovano nelle radici culturali
della nostra storia i motivi della loro figurazione. Angeli parte con i
simboli del Vaticano e di Roma antica.
D: Torniamo alla tua galleria. Quale e' stata l'attivita' dell'Arco d'Alibert?
R: La storia dell'Arco d'Alibertä La galleria si veniva a trovare
schiacciata tra la Salita e la Tartaruga, percio' ho cercato di darle
una linea diversaä di informazione e documentazione. Infatti
dopo l'inaugurazione e la prima mostra di disegni di Gastone
Novelli, ho fatto una mostra su
Asger Jorn, mostra che io considero molto importante, e
che chiamo mostra documento, volendo indicare proprio una
direzione di ricerca non perseguita dalle altre gallerie. Lo spazio
a quell'epoca era piccolo e quindi io scegliero' per Jorn molta
grafica, lavori importanti anche inediti, quasi dei prototipi, tirature
di una, due o tre copie, e anche ceramiche e piccoli quadri e acquerelli.
Qui io do l'idea di voler cercare qua e la' le motivazioni di un lavoro
che non ricalchino quelle delle gallerie gia' affermate.
D: Proporre materiali diversi di grandi artisti era questa la strategia?
R: Non solo. C'era in quegli anni anche Gaspero del Corso, che
aveva uno spazio piccolissimo a Via Gregoriana ed era molto attivo.
Aveva fatto cose importanti, aveva cominciato con Burri e proponeva
grandi nomi. Ma erano appena degli accenni infatti quando io nel '67
potro' avere una grande mostra di Calder organizzata da Carandente
posso dire in tutta coscienza che e' la prima mostra di Calder a
Roma anche se Gaspero del Corso aveva proposto in precedenza
na piccolissima mostra. Insomma Roma ha una grande mostra di
Calder, per merito di Carandente, in questa galleria a tre piani,
in via dell'Orto di Napoli, dove si era allora trasferita la sede.
Per questa mostra porto addirittura uno Stabile sul terrazzo quindi
na vera mostra museo.
D: Con Tano Festa hai fatto una mostra nel 1968 all'Arco d'Alibert?
R: Nel '67
Festa e' di ritorno dagli Stati Uniti e Furio Colombo mi propose
di fargli una personale e presentare il suo lavoro su Michelangelo.
La mostra viene inaugurata nel 1968 e la presenta Furio Colombo.
Riguardo a quanto dicevo prima, Tano prendeva la figura del
Davide come motivo dei suoi lavori. Niente a che vedere con la Pop
americana.
D: Cosa univa le tue scelte di gallerista, c'e' un filo conduttore?
R: Oscillavo da uno spazio piu' piccolo a uno spazio grande,
in diverse direzioni, ma sempre cercando la qualita'. Avro' Licini,
Severini come artisti storici e poi cerco sempre di continuare il
lavoro con i giovani che a quell'epoca per me era soprattutto Angeli.
D: Quale e' stato il tuo rapporto con gli artisti di Forma 1?
R: Nel 1965 recupero una storica situazione romana ormai un po'
dimenticata che era quella di Forma 1 e da allora sono molto
condizionata dalla presenza degli artisti di Forma 1 nella mia
vita e nel mio lavoro. Di Forma 1 io avro' all'inizio l'esclusiva in
pratica di Sanfilippo, poi molto Turcato anche se Giulio Turcato
faceva mostre in piu' posti. Non esporro' mai ne'
Carla Accardi ne' Pietro
Consagra in personali mentre quando
Dorazio e Perilli negli anni 80 saranno liberi dal legame con la
Marlborough comincero' a fare le mostre anche con loro. Questi
legami hanno condizionato le mie scelte in pittura quindi per avere
anche uno spazio di liberta', molta mia attenzione si trasferisce sulla
scultura.
D: Il tuo legame con Forma 1 dura ancora?
R: E' durato fino all'87, quando abbiamo celebrato i quarant'anni
di Forma 1. Allora era ancora vivo Turcato, abbiamo registrato
una serie di video con il Ministero degli Esteri su ogni singolo artista
di Forma e un ricordo di Sanfilippo, che era morto nell' 80, con la figlia.
Nel 1987 i quarant'anni del gruppo vengono celebrati sia in Francia
sia in Germania. Ora restano i rapporti personali con alcuni di loro.
D: Hai sempre posto una particolare attenzione alla veste grafica
del tuo lavoro di gallerista proponendo soluzioni originali. Che
valore dai alla divulgazione e alla comunicazione?
R: Io ritengo, col contributo determinante di Concetto Pozzati,
che era stato prima grafico e poi pittore, di aver fatto una scelta
molto importante nel formato e nella segnaletica proprio con i
miei cataloghi e pieghevoli. Credo di aver dato, con le varie
interpretazioni del primo modello disegnato da Pozzati, un
segnale di comunicazione nuova per le gallerie. Fino all'arrivo
di Calder nella mia vita. Nel '67 Calder ridisegna il catalogo,
e da allora io capisco che i tempi stanno cambiandoä
si arriva alla segnaletica sulle mostre che si avra' verso
gli anni Settanta cioe' manifesti, cartolineä ossia qualcosa
di piu' dinamico di piu'ä forse anche economico tutto sommato
perche' poi i tempi non eranoä cosi' favorevoli ogni tanto subivamo
delle crisi economicheä infatti io nel '70 chiudo la galleria e faccio
un lavoro privato per alcuni anni, poi riapro e alla fine approdo alla
sede di Via Condotti 21 - ex galleria Bragaglia subito dopo la guerra
- e definitivamente chiamero' la galleria "Mara Coccia". Li' riprendo i
cataloghi disegnati sulla linea individuata da Calder per la sua
mostra e poi anche una serie di schede, anche questa era una
scelta sia propositiva sia economica, perche' queste schede
elencano semplicemente le opere che sono esposte nella mostra.
Infatti Perilli scherzando si presentava dicendo: "Sono scheda 6".
Ho fatto in tutto 14 schedeä anche su mostre storiche come
quella di disegni di Morandi. Questa maniera di documentare e
informare sulla mia attivita', spedendo in giro queste schede, e'
stata a ripensarci un'idea buonaä
D: Erano una sorta di catalogo essenziale?
R: No, erano dei fogli che venivano inviati come inviti. Non c'era
intervento del critico, non c'erano immagini, c'era semplicemente
l'elenco. Era anche questa una maniera di comunicare e
informare sull'attivita'.
D: Nella tua galleria hai ospitato oltre alle mostre eventi e
manifestazioni diverse?
R: Mi incontro con Mario Ricci lo ospito nella
sede di Via Alibert. Lui aveva fatto una serata a casa di Ponente
e poi fa la sua prima uscita pubblica all'Arco d'Alibert. Piu' tardi
avro' con Giancarlo Nanni un'esperienza simile e questo mi ha
portato ad essere citata come galleria su tutti i libri che trattano
dell'avanguardia teatrale romana.
D: Nel '66 con le Kiko Galleries di Huston, hai pubblicato "Stripsody"
di Eugenio Carmi, accompagnato da uno scritto di Umberto Eco,
interpretato da Cathy Barberian, autrice anche della musica.
Intorno alla tua galleria ruotavano quindi personaggi diversi:
poeti, scrittori, attori, registi?
R: Ho presentato riviste di design, una mostra nel '65 con Balestrini
Giuliani e Porta sulla poesia visiva, erano tutte novita'. Non sono
ancora vere e proprie performances. Direi che lo spazio della galleria
era aperto a manifestazioni diverse compresa la festa di nozze di
Vana e Giulio Turcato a cui partecipera' Alberto Sordi come testimone
di Vana. E' tutta una concezione nuova dello spazio espositivo.
D: Negli anni '60 apri il Doc, un bar che diventa subito un famoso
luogo d'incontro di intellettuali e artisti romani. E' anche da questa
nuova concezione dello spazio espositivo che prende vita l'idea
di aprire un bar?
R: Il Doc nasce dalla consapevolezza che la musica rock (Mick
Jagger venne una volta al Doc) stava diventando comunicazioneä
che aveva inoltre un indirizzario di oltre 2000 personeä che a
Roma una donna sola non poteva entrare in un locale notturno
perche' veniva considerata immediatamente male - sembra
oggi impossibile ma nei primi anni Sessanta era ancora cosi'-.
Nel dicembre del '66 apro questo localeä proprio nel mezzo di
tutti quei fermenti e moti di ribellione - nel '63 ci sono le rivolte
universitarie a Trento, posteriori ma in sintonia con quelle di
Berkeley-. Dunque fra il '66 e il '70 io mi trovo in mezzo, pur non
appartenendovi piu' come eta', a quel movimento. Nel '72 lascio
la gestione al mio Barman, quindi esco io come immagine e il
Doc resta solo un bar.
D: Come ripensi a quell'esperienza?
R: Nel locale vengono artisti, architetti, giovani attori di teatro che
parlano di politica, ballano, bevonoä purtroppo circola anche
molta droga (di cui io non sono responsabile) pero' se ne parla.
Il Doc a parte questo, a parte la zona dove si balla e dove c'e'
chiasso, ha anche un piano superiore che io chiamo speck easy
alla vecchia maniera degli anni Trenta. Si tratta di uno spazio
stretto e lungo dove si affollano per due anni tutti gli intellettuali
romani. Schifano quando stampa il suo disco, per prima cosa
lo porta al Doc. Lo ricordo che apre la porta e dice "ecco il mio disco"
lo lascia li' e se ne va. Pozzati racconta sempre che lui veniva da
Bologna arrivava la sera alle 11 al Doc e incontrava tutti e sarebbe
potuto ripartire la mattina dopo perche' tanto aveva visto chi
doveva vedere e non solo i romani - c'era mi ricordo anche Mulas
milanese che pero' era molto assiduo -. Nell'immaginario degli
artisti il Doc aveva un po' questo significatoä Luogo d'incontroä
dove si potevano trovare uniti artisti, scrittori attori di cinema,
di teatroä. Ma questo potrebbero testimoniarlo piu' loro.
D: E politici?
R: No la politica era in tutti. Mentre i politici erano in tutti altri luoghi.
D: Poi negli anni seguenti come prosegue la tua attivita'?
R: Nel '92 perdo lo spazio, chiudo definitivamente a via del Corso
e con l'Associazione (Associazione Mara Coccia per promozione
dell'Arte Contemporanea Europea) costituita assieme ad alcuni
privati comincio un'attivita' di proposte in spazi pubblici e poi con
la collaborazione con la galleria AAM. ritrovo in qualche modo
una galleria a cui appoggiarmi.
D: Adesso con "Arte da camera" hai avviato un nuovo corso della
tua attivita', allestendo un ambiente espositivo della tua casa di
via del Vantaggio, ex studio di Antonio Sanfilippo. In cosa consiste
quest'attivita'?
R: Nasce dalla necessita' di avere comunque uno spazio espositivo,
idoneo anche se piccolo. Ho scelto questo nome "Arte da camera"
proprio pensando alla musica da camera alla consuetudine di
suonare nelle case private per un gruppo scelto di amici o conoscenti.
D: Quali sono le tue passioni attuali?
R: Passioni attuali ä e' sperare di poter ancora dare un contributo
al lavoro dei miei giovani, che poi piu' tanto giovani non sono
perche'
Mauro Folci che seguo dal 1987 ormai ha 42 anni, anche
Licia Galizia da quando aveva 23 anni e ora sono piu' di dieci
anni, e per
Roberto Pietrosanti e' lo stesso. Loro si sono formati molto
bene con le loro esperienze e spero di poter dire di aver contribuito
un po' alla loro affermazione. Sono gli artisti a me piu' vicini; salvo
guardare con attenzione adesso Daniela Perego, che avendo iniziato
un po' tardi anche lei giovanissima non e' ma viene da Firenze ed e'
ancora abbastanza nuova a Roma. Lei sara' una delle a nuove proposte
di "Arte da Camera".