protocollo critico nº 2.
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Dalla militanza alla faziosità: la Tekno critica.
di
Domenico Scudero.
Nelle dinamiche individuabili nell'analisi dell'affermazione dei movimenti
stilistico-culturali nell'arte contemporanea molto ha contribuito nei diversi
decenni l'atteggiamento della critica, ovvero quel sincretismo che ha spesso
reso la critica d'arte l'autorevole referente privilegiato nella comprensione
del fenomeno artistico.
La teoria propria del rinnovamento "concettuale" vedeva nella critica un
elemento da inglobare nel lavoro artistico, viceversa proprio parallelamente
tutte le indagini per cosi' dire processuali indicavano nelle poche parole
della "militanza" i simboli concettuali attraverso cui l'arte e la specifica
indagine dovevano essere compresi. La "guerriglia" di Celant offre infatti un
corollario di poche parole che restituisce all'immagine della bruta materia
una auraticita' letteraria. La militanza critica costituisce il declivio piu'
prossimo al silenzio, alla stasi estatica della critica che rimane come
ammutolita al cospetto di quanto evidenziato nella forma, di cui sottoscrive
il portato complessivo, quindi evidenziando l'impossibilita' che a quella
forma se ne potesse sostituire un'altra. La militanza critica e' silenzio al
cospetto di cio' che si intuisce come autenticamente necessario. Diversamente
dalle volute discorsive ed analitiche baudeleriane, che rimangono comunque
riconoscibili come anticipo della militanza, quella affermatasi nel periodo
dell'arte processuale riconosce l'importanza strategica dell'opera e ne
sottolinea la fondamentale essenzialita'. Attraverso la militanza si
realizzano prospettive critiche che alterano il percorso letterario saggistico
della disciplina analitico-conoscitiva e si restituisce alla figura critica
una complessita' esistenziale autonoma e parallela a quella dell'artista.
Esauritesi le spinte autonomiste dell'arte processuale e le coesistenze
concettuali evidenziate per tutto il decennio, la critica d'arte conosce una
fase di declino e di nuova costituzione. Parallelamente alla definizione delle
tecniche artistiche del passato quali possibili strumenti di una "nuova" arte
contemporanea, riletta ed inserita nel depauperamento concettuale attribuibile
alla fase postmodernista, anche la critica rilegge i suoi strumenti nell'ipotesi
di una nuova partecipazione all'avvenire dell'arte. Tuttavia, diversamente da
quanto realizzato precedentemente, l'atteggiamento della critica non riesce a
nascondere un crescente sentimento di disillusione che precipita spesso nel
puro cinismo. Qui e' da annoverare il principio per cui la critica d'arte non
possa che credere ciecamente nell'opera proposta dall'arte ponendosi con
disincanto attraverso la parola scritta al suo fianco. La complicita' e'
infatti il possibile manifestarsi di un atteggiamento critico che vede e
sente una probabile forma di arte come elemento essenziale alla personale
formazione identitaria, ovvero sminuendo ogni percezione della complessita'
logico estetica dell'arte e ponendo il principio della prassi esistenziale ad
epicentro di ogni interesse. Cio' non toglie che la critica della complicita',
attraversando i percorsi dell'arte, non abbia anche valutato la possibilita' di
costruire un discorso, un discorso che potesse affermare con il semplice distacco
la superiorita' di un atteggiamento. Non si poteva tuttavia nascondere il
pregiudizio storico nell'ipotesi positivista e materialista della scienza,
ovvero di non credere al crescendo della cultura ed al conseguente successo
della qualita' storica.
Per brevi cenni, questa sintetica storia di un atteggiamento generalizzabile
nei diversi decenni che vanno dagli anni Settanta sino ai Novanta inoltrati
costituisce in questa sede l'introduzione alla sofferta identita' della critica
d'arte di questi anni immediatamente precedenti il 2000 e oltre. Una critica di
cui si e' sottolineata l'indescrivibilita' di un ruolo, sempre piu' compromesso
con le dinamiche di potere, e di cui si sostiene l' evanescenza del discorso
teorico, quando non addirittura la totale sua assenza in virtu' di posizioni
acquisite e di strutture espositive gia' collaudate nel percorso degli anni.
La critica d'arte, ovvero, sempre piu' stretta dal suo nemico storico, il
sistema dei mercati, ha deposto le armi ed ha lasciato che il valore del
giudizio fosse attribuibile alle leggi del libero scambio, in cui sostanzialmente
si verifica la scaltrezza degli investimenti finanziari e dei grandi mercanti.
Una critica costretta a rileggere con sapiente e falsa estraneita' i percorsi di
un potere che e' di per se' ingiudicabile non poteva che adeguarsi al suo
fanatismo esteriore deprivandosi di quella che dovrebbe essere la sua facolta'
prioritaria, ovvero quella di essere arbitro del giudizio e depositaria di un
sistema di valori culturali che ha nell'analisi linguistica il suo strumento
d'elezione. Si potrebbe obiettare a questo punto che un'analisi critica senza
parole e scrittura riporterebbe alla continuita' storica con l'idea della
militanza, del fiancheggiamento ideologico della forma di cui si sottoscrive
con la propria presenza il valore estremo. Tuttavia questa critica contemporanea
non crede al ruolo dell'ideologia. Svilito il senso dell'ideologia pro-forma
dell'epoca postmoderna nell'odierna contemporaneita' la critica rilegge i
contenitori in quanto contenuti di senso; non e' tanto il significato di quella
forma e di quell'operazione ad attraversare il bisogno di indagine quanto
l'idea che quella forma sia adeguabile al contesto del contenitore; questo
accade nel caso il depositario dell'analisi sia una struttura di collaudato
mercato, come le gallerie che guidano il sistema economico, o una struttura
museale ed istituzionale, le quali a loro volta si lasciano guidare dal fiuto
delle stesse gallerie di mercato.
La perplessita' a questo punto e' nella domanda su quali siano i ruoli
definibili dalla critica in un sistema in cui il dominio del giudizio non e'
piu' imputabile al discorso teorico, i cui contenuti sono relegati alle sparute
apparizioni di specialisti "esteti", peraltro ignorati dalla stessa critica
d'arte, sebbene invischiati perentoriamente nell'ordine del discorso sui valori.
In piu', diversamente da quanto evidenziato nel periodo postmoderno, durante il
quale la critica della complicita' si impegnava in un volubile chiosare sulle
ragioni di una scelta, sia pure preordinata dalle suddette motivazioni fiduciarie,
adesso la critica faziosa e specialistica non dichiara che se stessa nella
perentoria affermazione di un ruolo coordinatorio. Se il discorso della
dislocazione concettuale dell'arte attraversava l'identita' della conoscenza
per dire con parole altrui (citazionismo critico) quanto si sottoscriveva
nell'analizzare l'opera d'arte, adesso la critica usa le ragioni di una cultura
iperspecialistica che abiura l'ipotesi di un discorso autonomo in ragione di una
molteplicita' di descrizioni velleitarie, in cui il principio stesso della
critica, ovvero quello di ricercare le motivazioni di un giudizio, sono
surclassate dalla gergalita' tecnica acquisita attraverso un'informazione
specifica smerciata grazie ai vari bollettini commerciali. Una Tekno critica,
insomma, che si rivolge a se stessa per garantirsi una parvenza di autonomia
quando invece nell'ordine del discorso intellettivo questa autonomia la
possiede soltanto nell'alterita' dal percorso commerciale, appunto li' dove la
Tekno critica non puo', per afasia, neppure avvicinarsi. Poiche' questa critica
sottoscrive i breviari stilati dal sistema di mercato, essa non puo' manifestare
curiosita' per l'altro che non sia un altro come "se' medesimo"; la Tekno critica
si nutre infatti di fascicoli in cui l'arte scimmiotta la moda. Come succede per
la moda anche l'arte pubblica stagionali cataloghi delle collezioni in voga, cui
la Tekno critica, faziosa e prona ai voleri del mercato, adegua le sue velenose
ventose poste a risucchiare potere attraverso i luoghi dell'informazione,
sottratti grazie al dominio dei mercanti all'ordine del discorso critico.
La dialettica della Tekno critica si evidenzia peraltro nella sua assenza
dai luoghi in cui essa vorrebbe manifestarsi; la Tekno critica, dopo aver
simulato la sua appartenenza all'ambito dell'intelletto, ramifica settorialmente
il suo ambito scavandosi un percorso iperspecifico, super partecipato.
Una fazione critica che diversamente da anni precedenti non si raggiunge
nella sottolineature della tecnica dell'opera; dopo la critica della complicita',
sempre disposta a ratificare l'arte in funzione delle sole tecniche stilistiche,
la Tekno critica certifica il catalogo della collezione estemporanea e stagionale,
indifferente ai contenuti stilistico formali. Va bene comunque cio' che segna il
disegno di un mercato affabulato dalle complesse strategie di vendita; pittura o
iper concettuale, installazione complessa o decostruzione monumentale sono
"sostenibili" purche' illustrabili all'interno di un discorso giustificato da
solide basi commerciali.
Se la critica della militanza vedeva spesso nuclei differenti di critici ed
artisti controbattere violentemente sulle ragioni ideologiche di una scelta
cosi' totalizzante, la critica della complicita' ha svilito le motivazioni
dichiaratamente ideali per porsi al cospetto del sociale come una possibile e
vitale ipotesi di sopravvivenza dell'arte. La Tekno critica invece sia pure
attraverso un atteggiamento di alterigia e composta superiorita', gravitata
dal potere del mercato, dichiara la morte del sistema della critica in quanto
luogo aulico in cui si manifestano i contenuti altrimenti inesprimibili della
contemporaneita'. Una critica infatti faziosa ha di fatto annichilito l'ipotesi
del confronto; quando essa e' incuriosita dalla novita' ne manifesta l'interesse
nascondendosi, disertando. Cosi' questo approccio che vuole la sola "presenza"
come garanzia del valore dell'arte esposta ha praticamente svuotato i luoghi in
cui nascono le idee dalla figura della critica; in piu' questo approccio obbliga
anche chi non ne sottoscrive l'identita' a lesinare ogni visita non direttamente
convalidata dalle proprie intenzioni. Poiche' l'apparizione della figura critica
indica attraverso i valori della Tekno critica una convalida totale delle opere
esposte, conseguentemente nessuno sguardo critico puo' darsi in situazioni di cui
non si conosce la fisionomia, o in quelle in cui la si conosce sin troppo bene.
La Tekno critica diserta inoltre i luoghi in cui l'arte nasce e si manifesta
perche' ogni alterazione all'equilibrio imposto dal catalogo "ufficiale" del
mercato significa nuova verifica sull'utilita' delle posizioni acquisite, e
successivamente la messa in discussione delle ragioni dei ruoli critici acquisiti.
La Tekno critica, insomma, ha caratteri di alta professionalita' unitamente a
livelli infimi di passionalita' artistica. Una critica siffatta, addestrata ad
obbedire senza soluzioni di continuita', posta a guardiania ed al controllo
delle direttive dei grandi interessi, riesce a sobbalzare e gioire all'unisono
per tutto cio' che si realizza con clamore nel mercato. Una critica pronta al
dibattito politico, purche' sterilizzato da un contenitore che e' di gia' lo
svilimento di ogni politica; una critica schierata e faziosa, eroicamente posta
alla difesa del piu' forte e dell'ingiudicabile. Una critica baluardo del potere.