BRECCI@ Rivista
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Comunicato
Evasione e rivolta
Lettera da Jaen II
Lettera da Picassent III
Al tribunale di Malaga

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Comunicato

Un saluto a tutti/e

Ci stiamo organizzando in vari isolamenti e questo richiede un po' di tempo e di collaborazione esterna.
Ci siamo rivolti ad alcuni gruppi affini e all’insieme del movimento pro-detenuti. Se tutto funziona come desideriamo, riceverete questo scritto con un altro che già abbiamo diffuso. Veniamo informati che all'esterno si sta stendendo un dossier FIES-isolamento, con l'intenzione che la sua distribuzione sarà internazionale. Pensano di concluderlo nelle prossime settimane e pensiamo che sarà inviato a tutti i gruppi sensibili all’appoggio. Speriamo, sinceramente, che 1'iniziativa dia un risultato e, quindi, d’avere 1'appoggio attivo di compagni/e stranieri/e. Speriamo che, per le strade, si organizzino il più rapidamente possibile, perché tutti/e sappiamo che qualcosa ha iniziato a muoversi.
Da Teixeiro c’è chiesto di elaborare una piattaforma rivendicativa. Dai! La vostra va benissimo e noi qui non siamo un coordinamento. In ogni modo, il tema delle rivendicazioni è piuttosto arduo, perché crediamo che si debba avere una base legale. Negli anni, c’è stato lo scavalcamento di molti diritti fondamentali mediante leggi di livello superiore. 
Attraverso una serie di normative, La Direzione Generale delle Istituzioni Penitenziarie (DGIP) ha creato un'infrastruttura pseudo-giuridica che si oppone ai precetti della costituzione e della Legge Organica Generale Penitenziaria (L.O.G.P.), ciò permette e legittima i maltrattamenti e le torture. Pertanto, crediamo, che non è contro la prepotenza di un direttore del carcere o agli abusi dei carcerieri che dobbiamo rivolgere gli attacchi, ma, bensì, all'infrastruttura che abbiamo appena nominato.
Noi, detenuti/e, possiamo apportare la nostra energia, però non possiamo sradicare il tessuto (desenredar) normativo, solo un giurista sarebbe capace di segnalarne i punti deboli.
In termini generali reclamiamo la scarcerazione dei malati/e, che cessino i trasferimenti e la chiusura dell’isolamento. Ancora non sappiamo su quali basi giuridiche faremo le rivendicazioni.
Le ragioni umanitarie sono evidenti e sono state accettate da alcuni Stati europei. In Italia, î malati dì A.I.D.S. scontano le condanne presso il loro domicilio. In Francia, si è limitato 1’isolamento nel tempo. Ci sono vari esempi come questi ed interessanti...
In tutti i casi pensiamo che sia conveniente che la piattaforma delle rivendicazioni sia elaborata da persone che abbiano una conoscenza sufficiente affinché le nostre proteste non cadano in un sacco rotto. Però, nemmeno vogliamo limitarci con una lista di rivendicazioni.
Chi lo crede opportuno può e deve cercare dei miglioramenti che si circoscrivano al carcere nel quale si trova. Per il momento pensiamo che sia importante consolidare e affinare una strategia. Ancora non abbiamo scelto per le azioni che svilupperemo. Siamo in sciopero dell'aria e sicuramente questo strumento farà parte della strategia, però non è rinchiudendoci, per un determinato tempo, che riusciremo ad ottenere un cambiamento.
Da Puerto c’è comunicata 1a necessità di trovare forme nuove di lotta. C’è chiesta la nostra opinione circa il ricovero in massa in ospedale o un’uscita massiccia in un piano o nel cortile. Supponiamo che, quando ci parlano del ricovero all'ospedale si riferiscano ad un semplice tagliarsi delle vene. Non tutti siamo disposti a farlo. In tutti i modi dobbiamo avere ben chiaro che: primo, le proteste necessitano di una copertura mediatica e ciò è qualcosa che ci può dare solo il movimento d'appoggio e, secondo, che ancora siamo in tre gatti. Qui l'idea sarebbe di unirci e proporre una settimana di digiuno coordinata con azioni nelle strade e partendo da lì, dare una nuova svolta alla lotta. Una settimana di digiuno permetterebbe ad alcuni/e compagni/e, attualmente in secondo grado, di aggiungersi alla protesta. Dobbiamo trovare una forma di protesta che raggiunga il maggior numero di compagni/e e che non ci nuoccia eccessivamente la salute e che non dia piede alla repressione. Ci sarà, però si dovrà tentare di ridurla il più possibile.
Tutto questo non si raggiunge in un giorno. È necessario comunicare il progetto al maggior numero possibile di compagni/e, esporre 1'idea e convincere della sua validità, senza dimenticare che molti/e di noi stiamo lottando da diversi anni e questo comporta molte disillusioni perché non abbiamo ancora intravisto alcun cambiamento.
Crediamo sia necessario parlare, trasmettere speranze e forze ai compagni/e che hanno smesso di credere nella possibilità di una protesta collettiva. Stiamo lavorando in questo senso, con alcuni risultati. Se tutti mettiamo mano al progetto speriamo di essere preparati/e prima che finisca 1'anno.
Il movimento d'appoggio ci darà una mano poiché ha le sue buone ragioni per esserci. Molto dipende da noi. Spetta a noi di dimostrare la determinazione sufficiente e non ci sarà facile perché ci confronteremo con la passività di molti/e. Quello che, chissà, frena la nostra determinazione sono le domande che ci facciamo sulla possibilità di arrivare ad una vittoria. Tentiamo di rompere con alcuni schemi ed ubicarci al margine di certi concetti. Le vittorie e le sconfitte si hanno nel futuro. Abbiamo tutti/e il futuro già abbastanza ipotecato, se non inesistente, per perdere ancora tempo proiettandoci nello stesso. Si può arrivare, da una percezione intima che solo si può trovare a livello personale. Però, non vi è dubbio, la maggioranza degli ostacoli si possono affrontare perché, spesso, solo risiedono in noi stessi e nella nostra percezione delle cose.
La domanda fondamentale è: mi stanno torturando e privando della mia libertà, che devo fare? L'unica risposta valida è: lottare. È intorno a questa risposta che dovremmo discutere senza che le nostre domande la mettano in discussione.

FORZA E DETERMINAZIONE

Novembre 1999

Collettivo di detenuti in isolamento dì Soto del Real - Madrid   EVASIONE E RIVOLTA

Vi faccio un resoconto rispetto gli ultimi avvenimenti... Domenica, 28 novembre, più o meno verso mezzogiorno io, insieme con altri due compagni (Daniel Ramirez e Manuel Gomez), cioè Manolo e Davi, abbiamo tentato di fuggire saltando le mura... riuscendo a scalare il primo muro di cinta con una serie di corde costruite da noi stessi e una spalliera per esercizi di ginnastica che abbiamo divelto dal suolo. Abbiamo potuto così accedere al tetto dove siamo stati avvistati dagli sbirri mercenari, pregiudicandoci definitivamente le possibilità di abbandonare il porcile... in questa situazione abbiamo optato per fermarci sul tetto e lì siamo rimasti per più di tre ore.
All'inizio — per darvi un'idea — il compagno Dani, con tutta la rabbia e impotenza, prese a lanciare pietre contro gli sbirri che, pistole alla mano, fuggirono, "come chi ha il diavolo in corpo", a rifugiarsi nella guardiola delle guardie e vi rimasero fino a quando ci videro allontanarci per i tetti (gli eroi della santa patria, je.je.). La gente, i rinchiusi, nel vederci su tetti, ci applaudiva e acclamava urlandoci una quantità di richieste, slogan, ecc. (più di 700 tra uomini e donne). Si vedevano ardere delle lenzuola alle finestre, grida di libertà e anarchia e, insomma, una piccola rivoluzione! Eravamo immersi in questo clima, quando a più di tre ore dalla presa del tetto, c’informarono che "per favore", il direttore voleva parlare con noi (ci eravamo già negati in diverse occasioni di parlare con loro), questa volta abbiamo deciso di ascoltare quello che aveva da proporci...
Mentre (noi sul tetto e il direttore abbasso) "parlavamo", tutta la banda di carcerieri ciha assaltato, uscendo da uno degli sportelli disposti sul tetto, armati fino ai denti (come sempre) con scudi, caschi, giubbotti anti-pugnalate, sbarre di ferro, spray, ecc. Potete immaginarvi, compagni, quanto siano codardi questa ciurma, cosicché tutti e tre iniziammo a prenderli a sassate (il tetto è di quelli ricoperti da migliaia di pietre) e, pur con "tutto il loro armamento da antisommossa", li abbiamo fatti indietreggiare. Così rimasero con la voglia di darcele (già sapete compagni che questa gente, soprattutto i carcerieri, sono capaci solo di torturare quando siamo ben bene ammanettati, mani e piedi, ad un letto).
Alla fine, quando abbiamo deciso di scendere, lo abbiamo fatto con i nostri stessi piedi.
Adesso — come d'abitudine — inizieranno le torture, le provocazioni (le così dette misure di sicurezza!), eccetera.
Tutto ciò è un'ulteriore conseguenza dell'effetto della repressione e dell'abuso nell'arcinoto campo di sterminio nazista di Jaen II.

Santiago Cobos Fernandez

Dal 3 di dicembre siamo in sciopero dell'aria, a tempo indeterminato per gli abusi e rappresaglie in atto contro di noi (uscita all'aria uno alla volta, ammanettamenti, aggressioni, cioè le famose misure di sicurezza).

I compagni del modulo FIES - CONTROLLO DIRETTO DI JAEN II: 

Santiago Cobos Fernandez
Manuel Gomez Cidon 
Daniel Ramirez Cordoba
Antonio Villar Mauriño
Laudelino Iglesias Martinez (compagno da 17 giorni in sciopero della fame)
Ramon Sanantonio Meda   Lettera da Jaen II

Al momento la situazione qui a Jaen è più o meno come all'inizio. Lo sciopero dell'aria continua con, in aggiunta, altri tipi di protesta. All'incirca ogni due ore prendiamo a calci le porte e dell'altro ancora. Ogni giorno che passa ci provocano sempre più, le loro torture e le restrizioni sono all'ordine del giorno. Vi racconto 1'ultimo episodio successo il 25 di dicembre, verso le 13.00... 
Il fatto è che il citato giorno mi presi un pestaggio da parte di tutta marmaglia, armati con il loro materiale "antidisturbo". Per incominciare, entrarono nella mia cella facendomi allontanare dalle mie poche cose, tutte le foto di familiari e di compagni/e spargendomele per terra e calpestandone alcune, cioè una provocazione diretta e ben studiata, sapendo che io avrei reagito e così fu... Risultato: ematomi alla spalla, al braccio sinistro, alle gambe, testa pestata e occhio destro violaceo. Io, ovviamente, feci quello che potei, difendendomi a pugni e calci, però, si sa... In queste condizioni è impossibile avere la meglio. Ora, per finire, cominciano a metterci lastre metalliche alle finestre e più ferro in tutti i posti. Mentre si fa più danno, più paura hanno e più repressione ("misure di sicurezza") utilizzano. Vogliono annullarci a base d’ulteriori torture e repressione (...), ma, soprattutto e prima di tutto è importante resistere finché ci spezzano le gambe, non bisogna mai dar loro il piacere di vederci umiliati davanti ai loro occhi e alla loro ansia di tortura e annullamento. Possono vincere i nostri corpi, però mai le nostre menti e le nostre idee. Meno ancora con la repressione... I tribunali e le altre "autorità", nonostante le nostre costanti querele e denunce, non si degnano nemmeno di mandare un medico forense affinché mi esamini e mi faccia una diagnosi delle lesioni. Il detenuto e molto meno il FIES, non ha nessun diritto. Oltretutto, sicuramente, questo pestaggio mi costerà altri tre o quattro anni di condanna. Sempre così funziona i1 procedimento o meglio il loro procedimento.
Così, se quello che pretendono è (parlo per me), schiacciarmi o rincoglionirmi, non lo otterranno. Si sa che la loro strategîa è, precisamente, quella di farti vedere che non hai possibilità di muoverti, che siamo intrappolati, senza via d'uscita e senza ossigeno...

Santiago Cobos Fernandez

Questa situazione è una in più tra le tante situazioni che si vivono nelle carceri e che sono più frequenti nei moduli FIES. Ciò fa parte della quotidianità delle carceri, non è la prima volta che succede e non sarà l’ultima....   Lettera da Picassent III

Scriviamo da Valencia, Gilbert, Chaumi, Roberto e Claudio (noi che usciamo alla stessa ora d’aria), dopo aver terminato questa lettera la invieremo all'altra aria per chi volesse firmare o aggiungere altro.
Questa lettera la invieremo a diversi collettivi affinché la fotocopino e la spediscano a tutti/e. Probabilmente abbiamo dimenticato molti nomi nella lista che abbiamo steso.
Abbiamo scritto una lista di nomi per far arrivare questa lettera al maggior numero di compagni possibile, perché se non ci muoviamo noi stessi, succederà quello di sempre.
Sono più di due mesi che stiamo tentando di unirci attraverso "comunicati", però non sono arrivati a tutti. Invieremo questa lettera a vari gruppi anarchici che conosciamo. Sono persone di fiducia, non dei chiacchieroni politici, i mezzi che poi abbiano a disposizione, questo è un altro argomento. La invieremo anche alle associazioni che uniscono i gruppi d'appoggio, dove s’incontrano alcuni gruppi di Madrid.
Quelli che sono informati della situazione, e che non hanno ancora letto i "comunicati" li richiedano al collettivo o alla persona che gli spedisce questa lettera. I "comunicati" possono essere interessanti nella misura che ci possono fornire idee sulla strategia da seguire e l’indirizzo che potremmo dare alle rivendicazioni, che sono praticamente: 

- il termine dei trasferimenti 
- 1'abolizione dei FIES
- la scarcerazione dei malati

L'importante, per il momento, non è la strategia, se non che tutti siamo a conoscenza che questa volta vogliamo farla finita con quello che ci stanno facendo.
Vi facciamo sapere quello di cui siamo a conoscenza qui in Valencia, tenendo presente che in altre parti, altri compagni stanno lavorando all'idea, alla proposta e può darsi che facciano qualcosa in più.
Gilbert è arrivato in aiuto da Soto del Real, dove una dozzina di compagni è in sciopero dell'aria.
A Curtis (Teixeiro), diversi compagni sono anch'essi in sciopero. Laggiù hanno pestato tre detenuti tenendoli poi ammanettati per due giorni. A Palencia tre o quattro sono in sciopero.
Abbiamo informato gli amici in altri isolamenti e questi hanno già dato la loro disponibilità per ciò che ancora manca, però, in realtà, 1'idea di una lotta di tutti ancora non si è diffusa bene e molti compagni sono indecisi ed altri stanno aspettando di sapere quando e come agire. Noi qui pensiamo che sarebbe opportuno che chi già è a conoscenza di tutta la situazione si chiudesse dentro, in sciopero dell'aria; in questo modo gli indecisi sappiano che si sta facendo sul serio. Qui a Valencia, noi firmatari, ci siamo chiusi, in sciopero dell'aria, dal 15 dicembre, avendo sempre presente che la protesta di lotta collettiva va oltre uno sciopero dell'aria.
È quello che accade qui dentro: alcuni compagni, in diversi isolamenti sono in sciopero dell'aria, altri già si sono dati disponibili per una protesta di lotta collettiva ed altri ancora che aspettano per prendere una decisione.
Fuori, per le strade, la proposta ha circolato molto meglio, l'hanno fatta circolare attraverso internet e per posta, ecc. 
I gruppi d’individualità anarchiche si stanno organizzando con 1'invio di volantini ed elaborato un dossier FIES. Claudio, da parte sua, ha chiesto aiuto ai propri compagni che ci diano una mano.
Anche altri, sembra, si stiano muovendo abbastanza e il primo, dall'esterno, che ha risposto alla proposta di lotta è un avvocato che coordina alcuni gruppi dell'AFAPP. Anche Julian Rios apporta la sua energia, è uno degli uomini più compromessi nella lotta contro il carcere e ci aiuta in tutti i modi possibili.
Rispetto all'associazione d'appoggio di Madrid noi non sappiamo niente. Sono diversi gruppi d'appoggio. Presupponiamo che lì vi siano le Madri contro la Droga, come la parrocchia, gli avvocati e il coordinamento di quartiere. Questa gente ci aiutò parecchio, in aprile, quando si ebbe uno sciopero della fame in Madrid e, le Madri, quando si tratta di aiutarci, sono sempre in prima fila.
Il problema è che, fuori, tra i collettivi vi sono diversi modi di vedere la lotta. L'unica maniera per far sì che uniscano i loro sforzi è che noi ci uniamo.
Una delle persone che ci appoggiano fuori ci ha riferito che ha iniziato a diffondere i comunicati tra noi e che, in generale, non c'è molto ottimismo né tanta voglia di aderire. Alcuni FIES, quelli di sempre, non si fidano di questa mobilitazione, altri vogliono aspettare e vedere prima di aderire, pochi altri, invece, aderiscono decisi.
Ciò è dovuto al fatto che la proposta non è stata compresa bene. Coloro che non hanno voglia di aderire che facciano quel che credano opportuno, però non ci dicano che non si fidano della mobilitazione, perché siamo noi che la organizziamo. Pensavamo che non fosse opportuno mettersi in mostra con nomi, per evitare il protagonismo e perché siamo tra noi. Da ora in poi, coloro che aderiscono firmeranno, per evitare qualsiasi malinteso. Però che ognuno abbia ben presente che 1'idea, la mobilitazione, non è di uno ma di diversi compagni e amici di vari isolamenti che soffrono la repressione da parecchi anni. La mobilitazione è d’ogni uomo che prende la decisione di chiudere con lo sterminio al quale siamo sottoposti.
Chi non ha fiducia per mancanza d’informazioni lo faccia e che gli altri continuino con i loro tempi. Fa lo stesso se siamo 100 o 10. La cosa più importante è quella di aderire veramente, non con una determinata protesta ma con la lotta. Quello che soffriamo deve cessare e ciò lo possiamo raggiungere partendo da un'adesione reale basata sulla solidarietà e l'amicizia. È già abbastanza pesante dover scrivere dei "comunicati" quando tra noi sarebbe sufficiente un'iniziativa per sapere quello che c’è da fare affinché, oltretutto, non ci si venga incontro con sfiducia. Se siamo dieci ben decisi... il più pessimista sa che siamo molti di più. Però ora basta con le scuse. Tutti abbiamo visto morire degli amici e noi stessi stiamo morendo a fuoco lento mentre le guardie campano a lungo.
Non c’inganniamo, ci sterminano perché siamo incapaci di unirci, sia quei pochi rimasti sia quelli che arrivavano. Siamo diventati troppo tolleranti con le nostre debolezze e, spesso, con quelle degli altri e ci serviamo di esse come scuse. Così come non si rispettano g1i ordini impartiti dai tribunali. Qui, più o meno tre mesi fa, hanno ucciso un compagno a botte. Se non facciamo casino e non arriviamo a far sì che, una volta per tutte, rispettino e usino le loro leggi, continueranno a scaricare le loro frustrazioni su compagni.
I firmatari si compromettono a lottare, arriviamo dove arriviamo. Dal '91 abbiamo appreso che se vogliono guerra la possono avere. Oggi le guardie si litigano per venire a lavorare nei bracci FIES e guadagnare un indennizzo di rischio, prima si cagavano di paura. I vecchi tempi nessuno vuole tornare a riviverli, perciò che cambino politica fin da Subito. Infine, se le guardie si litigano per lavorare in questi bracci, per noi poche cose sono cambiate, ci continuano a torturare.
Fuori stanno parlando di un digiuno di quattro giorni in luoghi strategici, in chiese, ecc. La data sarebbe dal 22 al 26 di dicembre. Noi qui crediamo sia troppo presto per essere pronti. Preferiamo sia per la fine di gennaio affinché la proposta raggiunga tutti. Firmare per un digiuno di quattro giorni è solo un modo per unirci per preparare nuove strategie e sapere quanti siamo (chi non può segnarsi per un digiuno, dovuto alla gravità della malattia, non lo faccia, la cosa importante è aderire) e il 22 dicembre è troppo vicino. Se scegliamo questa data, andrà a finire come altre volte: molto rumore e poco o niente in mano. Per cui pensiamo di aver bisogno di un po' più di tempo per unirci.
Sarebbe opportuno che nel ricevere questa lettera si sapesse chi si segna, attraverso i collettivi (con una semplice lettera come questa. Possibilmente più lettere perché alcuni di noi qui sono stufi di riempire fogli; vediamo un po' se riusciremo a capirci, una volta saputo chi sono quelli che aderiscono).
Fuori sono nelle nostre stesse condizioni. Vi sono quelli che non hanno fiducia sulla mobilitazione, coloro che aspettano, per vedere che succede, prima di dare 1'adesione ed altri che aderiscono con decisione. Fa lo stesso, una volta uniti noi qui dentro, saremo noi la voce cantante, perché siamo noi che soffriamo la galera.
Qui, come fuori, solo mancano quelli che si compromettono veramente. Se gli altri vogliono continuare con i loro ritmi, che per lo meno non ci molestino con discussioni sterili.

Un forte abbraccio combattivo a tutti.

Gilbert Ghisiain
Roberto B. Catrino Lopez 
Claudio Lavazza
José Maria Oliver Jihenez, 
David Fernandez Amador 
Victor- Llopis Catalan 
Javier Monge Cia 
Bernardo Sevilla Burrego 
Walte Coelho 
José Maria Moreno Lindez Laarbis Chauni  AL TRIBUNALE DI MALAGA

Ancora una volta mi trovo di fronte ad un tribunale per rispondere a delle accuse, che altro sono se non 1a tipica strategia politico-giudiziaria che il capitale utilizza contro gli anarchici. Una volta ancora il sistema mi condannerà a resistere nelle sue cloache di sterminio, chiamate centri penitenziari con i suoi moduli FIES.
Più a fondo di una semplice riflessione vanno le mie analisi, da un punto di vista di ribelle, in conclusione che senso ha andare ad aggiungere più anni di quello che la natura dell'essere umano possa sopportare? Che senso ha se so perfettamente che, nelle vostre mani, sarò condannato ad abbandonare il carcere solamente in una cassa di legno?
Il mio è un’altra cosa. Come per esempio l'essermi dato conto, da molto tempo, che la repressione nel sociale è cosa vostra, cose organizzate dallo Stato che avvolge tutto nella sua ragnatela dalla quale nessuno può scappare.
C'è chi riconosce questa repressione, nella sua materializzazione, nella società in cui viviamo; chi la sente, però solamente sulla pelle degli altri e chi la vede, però fa come se non esistesse. Senza dubbio, per noi anarchici, la repressione è una presenza concreta, uno strumento utilizzato dai potenti ed indispensabile per imporre 1'autorità. È un problema costante di tutti i giorni, che si manifesta con caratteristiche diverse a seconda dei lavori e le circostanze. Nella realtà non vi sono frontiere, perché l’ingiustizia continua ad esistere là dove esiste uno Stato-capitale.
Avete parlato fino ad ora di noi come i responsabili di alcuni danni al consolato italiano di Malaga e avete chiesto l3 anni di condanna da aggiungere alle precedenti. Avete parlato di colpevolizzare, condannare, castigare, cosicché io parlerò da un altro punto di vista.
I miei compagni ed io siamo nati, come ben sapete, in Italia. Paese dove la classe politica è una delle più corrotte del mondo: quelli di ieri come quelli d’oggi. Lottiamo per le strade e sui posti di lavoro contro di chi vorrebbe toglierci le poche libertà che ci siamo garantiti dopo la caduta del regime fascista difendendo e battendoci per dei valori. Valori sopra i quali voi state comodamente seduti. Voi, i falsi democratici e difensori della giustizia borghese e assassina. Sappiate, signori, che il mio paese non è cambiato, gli stessi di ieri, hanno il potere oggi; si trovano lì nello stesso posto.
Prova di questo è stata la forte repressione che noi anarchici abbiamo subito ultimamente con 1'ondata di arresti e di carcere. Lo prova l'appoggio della Spagna per un’Europa unita per le guerre, investendo e guadagnando denaro sulla distruzione e sulla successiva ricostruzione.
Per questo, se qualcuno si arrabbia e distrugge un consolato, per me è ben fatto. Alla repressione del sistema si risponde con 1’azione diretta.
Avete la pretesa di processarci con la giustizia di chi reprime duramente, di chi uccide per un’economia di mercato. Io, di questa giustizia non voglio niente (non so che farmene). Non voglio che giudichiate i miei atti e pensieri, poiché il vostro processo consiste unicamente nel vendicarsi contro chi si ribella ai vostri codici, alle vostre leggi. Codici e 1eggi che, al contrario di quanto pensa la gran maggioranza dell'opinione pubblica, sono dure e perfettamente adatte alle necessità dei momenti.Però noi stiamo dall’altro lato della barricata ed alla guerra che da sempre ci avete dichiarato, alla repressione, al cinismo, sapremo rispondere con il nostro valore, come abbiamo sempre fatto e, infine, perché così vi guadagnerete anche il nostro eterno odio. Per un ribelle e un anarchico, con il potere e le sue istituzioni non vi è dialogo. Non può esserci, solo c’è e ci sarà conflittualità e scontro.

Claudio Lavazza