Il G8 raggruppa i paesi più ricchi e potenti del pianeta: Stati
Uniti, Russia, Giappone, Regno Unito, Francia, Germania, Canada, Italia.
Ultima arrivata è la Russia, integrata nel sistema di governo globale
dopo il collasso dell'Unione Sovietica. Grande esclusa è la Cina,
potenza nucleare (ma economicamente ancora debole), che pure siede nel
Consiglio di sicurezza dell'Onu proprio in quanto potenza nucleare.
Questo club di ricchi-e-potenti è nato intorno alla metà
degli anni '70 per compensare gli attriti fra politiche competitive e per
attuare, al tempo stesso, una brusca sterzata verso la realizzazione di
un governo informale della terra, scavalcando le istituzioni internazionali
che, almeno in linea ipotetica, sarebbero competenti ad affrontare con
cognizione di causa e con qualche pretesa di legittimità, i grandi
problemi del mondo: le Nazioni Unite, innanzitutto, le agenzie ad esse
collegate (tipo Unesco per i temi culturali, Organizzazione Mondiale per
la Sanità, la Fao per i problemi agricoli, l'Acnur per i profughi
ed i rifugiati, ecc.) e le convenzioni ad esse risalenti e da esse promosse
(la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il Trattato contro le mine
anti-uomo e contro la tortura, la convenzione di Rio e il protocollo di
Kyoto per i problemi ambientali, la Convenzione per i diritti dell'infanzia
e per la non-discriminazione delle donne, ecc.).
Il Club dei G8, invece, si caratterizza come una sede privata di governi
con pretese di dominio ma in totale assenza di minima legittimità
dal punto di vista delle regole della democrazia rappresentativa. In verità,
poco importa se non rappresentano istanze dei rispettivi popoli. Gli incontri
del G8 sono funzionali a tessere una trama di dominio sull'intera superficie
della terra, progettando politiche economiche, ambientali, militari di
supremazia di pochi rispetto all’immensa maggioranza delle popolazioni.
Decenni di politiche varate dagli annuali vertici dei G8 (un tempo G7)
hanno dato luogo al consolidamento di una piramide di gerarchie feroci
sul pianeta: assistiamo infatti ad una corsa sfrenata e folle verso la
cima della piramide, con una concentrazione di poteri in ogni campo nelle
mani di pochi, spesso irresponsabili e miopi, ossia incapaci di andare
al di là del perseguimento brutale del mero interesse personale
ed immediato, per sé e per la propria élite di riferimento
a livello di ciascuna delle 8 potenze.
Unitamente all'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo
Economico, che raggruppa i 29 principali paesi industrializzati), alle
istituzioni finanziarie internazionali che dettano i ritmi dell'erogazione
del denaro sulla terra (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale,
Banca per i Regolamenti Internazionali), al WTO (Organizzazione Mondiale
del Commercio) che norma in maniera totale gli scambi di merci e servizi
tra le nazioni, il G8 è l'organismo responsabile in via prioritaria
delle strategie politiche che il club dei ricchi-e-potenti persegue su
scala mondiale. Queste politiche hanno ulteriormente divaricato le disuguaglianze
tra i popoli allargando la forbice della differenza tra un nord del pianeta,
ricco, militarmente schiacciante, tecnologicamente avanzato, minoranza
nel pianeta, ed un sud reso sempre più povero nonostante le principali
e più importanti materie prime risiedano da quelle parti: petrolio,
oro, materiali pregiati, materie prime per le tecnologie di punta.
Pur non avendo alcuna forma istituzionale, le politiche dei G8 concepiscono
le strategie di rapina e di morte che stanno conducendo la terra sul ciglio
di una catastrofe climatica e ambientale, di cui pagheranno le conseguenze
le generazioni a venire. Nella sfrenata corsa verso l'arricchimento e l'accrescimento
di potenza, anche tra le aree ricche del pianeta stanno allargandosi le
sacche di miseria e di esclusione rispetto agli standard di privilegio
delle ricchezze che sono espropriate da una élite sempre più
minoritaria e sempre più egoisticamente protesa a tutelare se stessa
e i propri intimi, quel nucleo di politici, imprenditori, manager e funzionari
che accumulano ricchezze depredandole ai più per investirle in sicurezza,
sia nei confronti interni (polizie private, restrizione dei margini del
dissenso), sia nei confronti esterni (la fortezza europea difesa dalle
norme Schengen, le politiche antimigratorie che incentivano la clandestinizzazione
forzata e la criminalizzazione di ancora relativamente ristrette fette
di popolazioni povere che mirano a sopravvivere con decoro lontano dalle
proprie case, dato che in patria la povertà dilagante non consente
loro che una sopravvivenza stentata).
Gli effetti delle politiche di squilibrio mondiale provengono dall'esproprio
della politica da parte di isolate élite nazionali e transnazionali,
di cui le mega-corporation rappresentano interessi economici e finanziari,
mentre il G8 ne rappresenta la voce politica per definizione. L'occupazione
della politica partecipativa da parte di élite statuali, alleate
strettamente con i detentori dei capitali mondiali integrati (ricchezza
prodotta realmente e ricchezza creata virtualmente, ossia economia reale
ed economia finanziaria), ha portato gli stati a delegare al mercato l'agenda
economica, ponendo regole di trasferimento dei poteri dai parlamenti alle
élite imprenditoriali, soprattutto finanziaria appunto, anche se
queste regole decise dai governi sono tutelate dalle norme di stato e dalla
potenza militare e poliziesca che in ultima istanza garantisce il predominio
delle élite.
Ciò ha portato ad un effetto illusorio sull'indebolimento degli
stati rispetto ai mercati, ma ciò che si inabissa in realtà
è una catena democratica che fa emergere pienamente la sua finzione
funzionale al perpetuarsi delle gerarchie di dominio politico; quel che
entra in fibrillazione è l'immagine alternativa di una politica
come piena partecipazione dei cittadini alla decisione relativa ai problemi
del territorio ove essa vive. Ebbene, l'estensione del potere su scala
globale, espropriato proprio dalla concentrazione dei poteri forti in organismi
abissalmente lontani dalla vita quotidiana di ciascuno di noi esseri mortali,
e simbolicamente in festa quando celebrano i propri riti come i vertici
dei G8, rende strategicamente superflua la partecipazione dei cittadini
alla cosa pubblica, incentivando una dimensione della politica come trattamento
tecnico di problemi tecnici, laddove le scelte di priorità sui grandi
problemi del pianeta comportano ipotesi squisitamente politiche: inquinamento
sì - inquinamento no, ad esempio, non è una opzione tecnica,
ma la scelta su una forma di vita, quindi politica per eccellenza.
La disaffezione e il timore di una politica considerata come affare
di pochi, spesso e volentieri corruttibili e corrotti, viene perpetuata
attraverso l’estraniazione di un linguaggio politico rarefatto e lontano
mille miglia dalla vita di ciascuno; i riti elettorali rafforzano il disimpegno
non tanto verso la vita delle istituzioni ormai bunkerizzate per evitare
di essere prese d'assalto dai ribelli di ogni settore in crisi, quanto
verso la politica come impegno civile, come passione, come partecipazione
dal basso alla risoluzione dei problemi quotidiani sul territorio. La globalizzazione
promossa dalle politiche di club informali quali il G8 sradica la politica
dal territorio per porla su un livello megadistante sul quale apparentemente
il comune mortale nulla può incidere per far mutare indirizzo ad
un mondo impazzito e criminogeno.
In effetti, il G8 promuove crimini globali grazie alle politiche di
sfruttamento e di accaparramento delle ricchezze del pianeta. La fame,
la siccità, la povertà, lo sterminio di specie animali, vegetali
e umane (il XX secolo è stato il secolo dei genocidi: armeni, ebrei,
curdi, tibetani, timoresi, tutsi), le guerre ed i conflitti anomali e umanitari
che insanguinano terre a noi vicine e lontane, le pandemie come l'Aids
che mietono vittime curabili a patto di non mettere il profitto delle imprese
farmaceutiche al di sopra del valore di una vita umana salvata dalla malattia:
questa è la globalizzazione criminale perseguita dalle élite
politiche ed economico-finanziarie, rappresentate nei vertici del Wto,
del G8, delle istituzioni internazionali.
Contro questa globalizzazione
I tentativi di contrapporre a questa globalizzazione capitalistica
e neoliberista un "altro mondo possibile" (lo slogan invero non originale
del Forum sociale di Porto Alegre dello scorso gennaio) non risalgono certamente
a Seattle (novembre 1999), ma sono stati messi in campo, con tenacia e
passione ai limiti del sacrificio, da innumerevoli schiere di uomini e
di donne in ogni angolo del pianeta, sin dai suoi esordi. Indubbiamente,
però, l'esito mediatico di quanto è successo a Seattle e,
sia pure in modo ogni volta diverso, si è poi ripetuto in ogni occasione
successiva (Davos febbraio 2000, Washington aprile 2000, Bangkok giugno
2000, Melbourne luglio 2000, Praga settembre 2000, Nizza dicembre 2000,
Palermo dicembre 2000, Davos febbraio 2001, Trieste marzo 2001, Napoli
marzo 2001, e qualche altra tappa sfuggita alla memoria) ha scolpito ormai
dappertutto un fatto inedito: i padroni del pianeta non sono più
invisibili, i loro vertici non saranno più noiosi e indisturbati,
coloro che subiscono gli effetti delle loro decisioni intendono farsi sentire,
al limite impedendo fisicamente a quei signori di riunirsi senza una buone
dose di fatica e di timore.
Le proteste di massa hanno il compito di far sentire il fiato dei popoli
sul collo di questa élite ultraminoritaria che si crede onnipotente
solo perché ha soldi, armamenti letali, mezzi informativi e potere
politico per dettare gli indirizzi di sviluppo all'intero pianeta, strafregandosene
delle popolazioni che quel pianeta lo vivono quotidianamente subendone
gli squilibri ambientali, le ingiustizie sociali, le disuguaglianze politiche,
gli scarti di ricchezza, l'omogeneizzazione violenta delle culture, l'accesso
negato all'istruzione pubblica, alla salute collettiva, insomma ad un benessere
frutto del lavoro, delle intelligenze, delle scoperte scientifiche, dei
progressi tecnici che servono a tutti quanti e non solo a una infima minoranza
di privilegiati ricchi-e-potenti.
Queste ragioni motivano le proteste di massa contro il capitale globale,
contro il potere politico dei G8, contro il dominio statuale che ancora
oggi incombe violentemente sulla pelle dei popoli. Il prezzo di questa
violenza viene pagato anonimamente e senza clamori mediatici: ma ogni ferita
al cuore di un essere umano è una ferita a ciascuno di noi. Ecco
perché scendere in piazza contro i padroni del pianeta è
giusto e legittimo, senza cedere al ricatto moralistico di ritenere che
il dissenso democratico sia l'unica arma sufficiente a esprimere la propria
opposizione, poiché la delega ai partiti di opposizione ai governi
non rende adeguatamente conto delle complicità interne alle élite
che dominano il mondo, opposizioni di sua maestà incluse.
Solo una presenza massiccia di corpi e cervelli umani, uomini e donne,
sottrae legittimità simbolica ai padroni della terra, denudandoli
per ciò che sono: una cricca al potere che non esita a usare quotidianamente
violenza impunita in ogni luogo del pianeta, con strumenti sofisticati,
con mezzi economici, con omicidi veri e propri, con la miseria, lo sfruttamento
bestiale, la schiavitù, il ricatto del lavoro nero, l'affamamento,
la rapina dei beni di sopravvivenza (la privatizzazione dell'acqua, ad
esempio).
La presenza degli anarchici nel movimento contro la globalizzazione
è significativa per diversi aspetti, non solo e non tanto legati
alla quantità di gruppi, collettivi, uomini e donne che attivamente
si impegnano a contrastare una deriva impazzita ed anche, e soprattutto,
a praticare nei limiti del possibile uno stile di vita, una affermazione
di valori, una rete di comportamenti pubblici diversi, alternativi, che
proiettano una immagine di mondo fondato su un tessuto di relazioni libere,
orizzontali, senza gerarchie, senza padroni. Gli anarchici non hanno mai
adottato una politica incoerente di lingua biforcuta, ossia una pratica
per il tempo presente ed una pratica per l'indomani rivoluzionato. Lo stile
degli anarchici e delle anarchiche è sempre quello di coniugare
contemporaneamente gli obiettivi ultimi di una idea di società libertaria,
con una pratica di politica libertaria insieme ad altre formazioni. In
tal senso la presenza anarchica nei movimenti antiglobali, diffusa sui
territori, si pone come segno visibile di una progettualità pratica
sin da ora, nei limiti del possibile ovviamente, ma protesa a far vedere
subito quali sono i principi, i valori, le pratiche di organizzazione che
l'anarchismo individua per prefigurare una società diversa, libera
ed eguale pur mantenendo le differenze che contraddistinguono ciascun essere
umano, ma senza che queste differenze si distribuiscano e si ordinino secondo
una graduatoria di gerarchie.
All'interno dei movimenti antiglobali, gli anarchici e le anarchiche
si pongono con l'intento costruttivo di allargare gli spazi di libertà
e di eguaglianza nella solidarietà tra popolazioni diverse, tra
individui diversi, propugnando una politica orizzontale che sappia fare
a meno della mediazione istituzionale con partiti di regime, sia al governo
che all'opposizione, che appartengono o aspirano a fare parte di quella
élite criminale che insanguina il mondo ma che ha grande potere
di influenza, sino a farsi imitare anche da parte di coloro che sembrano
irriducibili nel contrastarla, mentre in realtà ne studiano ogni
minimo atto per copiarla e arrivare a sostituirla al suo posto. I movimenti
anarchici, sia pure nelle loro diversità e sensibilità interne,
non mimano l'autorità diffusa, la rigidità gerarchica, la
verticalità nella presa delle decisioni collettive. Essi agiscono
alla luce del sole, con procedure trasparenti e orizzontali, in maniera
che tutto sia comprensibile e chiunque possa aggregarsi e partecipare con
pari dignità e con sensibilità genuinamente libertaria.
All'interno dei movimenti antiglobali, gli anarchici e le anarchiche
si battono per affermare un mondo diverso privo sia della forza inquietante
del capitale globale che ha l'arroganza di pensare di poter acquistare
ogni cosa, dignità delle persone inclusa; e privo altresì
della potenza statuale che non si contrappone alla cosiddette regole di
mercato, ma anzi le favorisce e le rende possibili. Stato e mercato sono
due volti distinti e congiunti di un unico dominio: quello dell'uomo sull'uomo
(e sulla donna, sull'infanzia abbandonata e venduta, sui vecchi considerati
vuoti a perdere e non risorsa di memoria dell'umanità, su interi
popoli relegati in condizioni di esclusione totale da ogni beneficio conquistato
dall'umanità al prezzo di tante sofferenze e tante lotte sociali).
All'interno dei movimenti antiglobali, gli anarchici e le anarchiche
non rappresentano una fazione politica insieme alle tante altre, ma si
espongono in prima persona affinché il radicamento sociale della
battaglia contro questa globalizzazione si diffonda per tutti gli strati
della popolazione, poiché le politiche del G8 e degli altri organismi
del dominio globale hanno per oggetto le condizioni di vita delle maggioranze
dei popoli, in buona parte anche di quelle residenti nel nord affluente
del pianeta sempre più strette in un angolo dalle ingiustizie, dalle
disuguaglianze, dagli squilibri. Solo un movimento diffuso e allargato,
che non venga costretto ad una immagine mediatica e interessata di settore
"giovanilistico" e "violento", quando vediamo giorno dopo giorno dove sta
la vera violenza, quando subiamo giorno dopo giorno gli effetti nefasti
della globalizzazione, un reale movimento sociale, fatto di giovani e meno
giovani, uomini e donne, potrà portare dentro di sé quei
valori e quelle esperienze di memoria e di solidarietà capaci di
far invertire la rotta ad una società massificata e anomica al tempo
stesso, omogenea e apparentemente individualista in maniera forzatamente
egoistica, a tal punto da essere immemore della propria storia di paese
di emigranti, proprio oggi che l'emigrazione sud-nord ricomincia a far
capolino sulla nostra penisola, mentre già da alcuni anni siamo
terra poco ospitale verso altri migranti di pelle un po' più scura
della nostra, almeno se stiamo a guardare le leggi statali e le pratiche
poliziesche di repressione.
L'anarchismo non è un ideale di una società disordinata
e senza valori, se non altro perché già ci troviamo in una
società siffatta, la cui condizione è aggravata dal privilegio
del comando dei pochissimi sui molti, anche se la chiamano democrazia (parlamentare
rappresentativa, ossia delegata ad una élite e fittizia in quanto
non partecipata). La società che portiamo nei nostri cuori, invece,
è una società di libertà e di giustizia, di solidarietà
e di differenze, di pratiche egualitarie e orizzontali, di processi decisionali
trasparenti e partecipati, dove ciascun individuo può ritagliarsi
la traiettoria di vita che più gli aggrada nell'arco della propria
esistenza, trovando nell'altro accanto a lui la migliore garanzia della
propria libera affermazione non invasiva della libertà altrui. In
una società libertaria quale la immaginiamo, l'anarchismo è
una pratica di vita quotidiana e non una ideologia insieme alle altre,
ma un condensato di memoria e di utopia, per non dimenticare ma per non
ripetere, per cambiare ma per non copiare, giacché la libertà
non vuol dire essere costretti a scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi
a questa scelta prescritta.
Commissione globalaffairs della Federazione Anarchica Italiana
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