G8 a Genova
Polvere nera tra i carrugi
Nella città vecchia, tra splendide memorie del
passato ed i mille vicoli grevi di miseria e degrado, il cuore di Genova
palpita vivace: qui vivono gli ultimi arrivati, i migranti sospinti in
questo porto dalla miseria e dall’oppressione, gente approdata dopo viaggi
infiniti su navi fatiscenti, nel ventre dei camion, nelle gallerie dei
treni. Il loro viaggio costa più caro delle crociere di lusso che
dalle antiche banchine di questa città portano i ricchi verso le
sabbie del Maghreb, nelle isole al largo del Madagascar, nei mille paradisi
artificiali in cui il turista di lusso cerca un po’ di esotismo imbalsamato,
laccato, lontano dal lezzo dei poveri cui non è neppure concesso
il lusso della fuga verso i carrugi genovesi. In quegli stessi carrugi
dove, in un’estate rovente di quarant’anni fa, i proletari genovesi, tra
cui molti partigiani, seppero dar voce ad una rivolta che fermò
la svolta autoritaria del governo Tambroni.
Da una strada all’altra si odono gli idiomi di mezzo
mondo: le parlate ispaniche e quelle africane, l’arabo ed il cinese, il
rumeno e l’albanese. In questa città dove mille culture si intersecano,
si sfiorano, e, forse talora si incontrano, a luglio avrà luogo
il vertice dei G8. I rappresentanti dei governi dei paesi più ricchi
e potenti della terra si riuniranno per decidere politiche economiche,
militari, commerciali, destinate ad avere conseguenze incalcolabili per
gli oltre sei miliardi di abitanti di questo pianeta. Una moltitudine nella
quale i più ignoreranno quanto verrà stabilito per le loro
vite, per il domani dei loro figli, per il presente di ciascuno di loro.
Un infinito presente, impossibile da coniugare in altri tempi perché
ai tanti, ai più che dell’ordine ingiusto del mondo sono vittime,
non è data la possibilità di compiere il salto verso il futuro
che solo la libertà di scegliere, decidere, progettare riesce a
conferire. Per uno dei tanti paradossi di questo pianeta globalizzato a
forza i rappresentanti del club di grassatori che presiede al destino di
noi tutti terranno i loro meeting, le loro cene, le loro conferenze stampa
a due passi dalle case fatiscenti degli immigrati maghrebini, albanesi,
slavi, africani. Ma, probabilmente, neppure le vedranno. Per loro si sta
lustrando il salotto buono, si stanno spendendo miliardi su miliardi per
rifare il trucco alla vecchia città della lanterna. E, dove non
arriva lo stucco, giungono poliziotti e carabinieri: barboni e senzatetto
indigeni e stranieri verranno deportati in campagna, presso una comunità
cattolica compiacente. Il centro cittadino, denominato “zona rossa”, sarà
off limits per tutti e persino i residenti dovranno esibire un passi. Sembra
di vivere una guerra da film americano di serie B ma in questo caso la
farsa è sin troppo reale. Genova è attraversata da mille
cantieri,
aperti per realizzare le opere di abbellimento, per rendere lustra la vetrina.
Poco importa che, scrostata la sottile patina di vernice, voltato l’angolo,
le case fatiscenti, prive di servizi continuino ad ospitare un’umanità
dolente e, ancora una volta, dimenticata. Lo spettacolo deve andare avanti,
il carrozzone dei vari Bush, Blair, Chirac, deve poter sostare nella massima
ostentazione di lusso arrogante.
Ma anche a Genova, come già a Ginevra, Parigi,
Tampere, Seattle, Washington, Nizza, Davos, Napoli, Quebec arriveranno
in migliaia e migliaia per dare voce a chi non ha voce, per dare corpo
e sangue alla ribellione di chi vuole un mondo altro. È il movimento
di contro-globalizzazione, un movimento composito, multiforme, variegato
che ai quattro angoli del pianeta insegue i potenti del mondo, accende
sulle loro malefatte una luce che non accenna ad estinguersi. Nonostante
la repressione, le botte, i lacrimogeni, i proiettili di gomma, gli arresti.
Anzi. Tanto maggiore è l’accanimento repressivo, tanto più
cresce il fiato della protesta. Una protesta che attraversa il pianeta
da nord a sud, da est a ovest: vi trovano spazio i sindacalisti statunitensi
e quelli coreani, i campesinos sudamericani ed i contadini indiani, gli
ecologisti e le femministe, gli anarchici ed i centri sociali, i sem terra
brasiliani egli intellettuali delle università, i giovani ed i meno
giovani. È un movimento agile, che vuole agire e pensare localmente
ed agire e pensare globalmente, che si incontra lungo le strade ed i viottoli
della rete telematica ma anche e soprattutto nelle strade delle città.
È un movimento che, sull’esempio zapatista, cammina interrogandosi,
che pensa il senso del proprio agire riempiendo le piazze. Contro questo
movimento da mesi è iniziato il fuoco di fila dei media, impegnati
ora a criminalizzarlo, ora a renderlo folcloricamente ridicolo. A ciascuno
viene assegnato un ruolo e disegnato un profilo secondo categorie forgiate
ad hoc dai giornalisti: i violenti ed i non violenti, i dialoganti e gli
irriducibili, le “truppe d’assalto” e i pacifisti. L’intento è chiaro
ormai da mesi: preparare il terreno per dividere la protesta tra i “buoni”
ed i “cattivi”, tra quelli con cui è possibile aprire un confronto
e coloro cui bisogna impedire di mettere piede a Genova.
Resta da vedere se qualcuno cadrà nella trappola
sin troppo sfacciata orchestrata dai media di regime (e poco importa, credetemi,
se quando leggerete queste note a governare troverete Rutelli o Berlusconi).
Naturalmente le differenze ci sono ed anche notevoli: vi sono quelli che
da mesi tentano di ottenere spazi e finanziamenti per organizzare la contestazione
e vi è chi preferisce, come gli anarchici, organizzare con i propri
mezzi l’opposizione. Quel che è certo è che il discrimine
non è quello del metodo. Quella tra violenti e non violenti è
una contrapposizione giornalistica che non ha alcun rapporto con la realtà.
Le manifestazioni dell’ultimo anno da Praga a Davos, da Napoli a Quebec
hanno dimostrato in modo inequivocabile che il monopolio della violenza
è saldamente in mano ai tutori del disordine, poliziotti di ogni
dove che hanno bastonato, gassato, ferito, sparato con proiettili di gomma
e al pepe, incarcerato, umiliato, molestato centinaia e centinaia di manifestanti.
Costoro tutelano la tranquillità e l’immagine dei potenti della
terra, quelli che decidono della vita e della morte di sei miliardi di
persone, quelli che promuovono bombardamenti “umanitari”, che strangolano
il sud con il debito, che si arrogano il diritto di privatizzare e commercializzare
l’acqua, la salute, l’istruzione, quelli che ogni giorno sono responsabili
di omicidi in ogni angolo del pianeta. E, consentimi di dirlo, di fronte
a ciò è follia indignarsi per qualche banca danneggiata o
per le vetrine rotte di un McDonald’s.
La partita da giocare è un’altra ed è una
partita molto difficile, perché è sempre più arduo
sottrarsi alla logica dello spettacolo che talora finisce coll’innervare
pericolosamente anche i movimenti più radicali di contestazione,
obbligandoli ad agire su una scena già dipinta i cui fondali di
cartone sottraggono all’esigenza di cercare, e trovare, un rapporto con
gli ultimi, con gli esclusi, con i tanti che neppure sanno leggere un giornale
e non possiedono una radio. La divaricazione reale, che anche a Genova
si va profilando, è tra i cultori dello spettacolo e coloro che
vi rifuggono, tra chi crede sia possibile riformare quest’organizzazione
sociale e chi pensa che sia necessario un cambiamento radicale, tra chi
immagina un “capitalismo dal volto umano” e coloro che nel capitalismo
non scorgono che il mostro capace di divorare uomini, piante, animali,
la possibilità stessa di vivere su questa terra.
Questo primo scorcio di secolo apre nuove prospettive
alla proposta ed all’azione degli anarchici, che ovunque sono stati protagonisti
delle lotte contro la globalizzazione. Ma occorre fare un salto in avanti,
occorre perseguire una pratica di sottrazione dallo spettacolo e di costruzione
di proposte concrete. E bisogna farlo in fretta, prima che anche la contestazione
ai vertici dei potenti si trasformi in un rito da celebrare periodicamente.
Non è sufficiente che la contestazione si radicalizzi, bisogna soprattutto
che si radichi, che sappia tessere una rete forte e solidale non solo virtuale
ma anche reale, costruendo massa critica ma sapendosi anche fare polvere,
capace di infiltrarsi ovunque, per inceppare la macchina infernale dei
potenti. Genova sarà un importante banco di prova. Il 9 giugno,
ad un mese e mezzo dal vertice dei G8, una manifestazione nazionale anarchica
e libertaria percorrerà il centro cittadino. È una scommessa:
essere presenti e visibili a riflettori spenti, cercando i nostri interlocutori
tra i vicoli e non nelle redazioni dei giornali. A luglio ci saranno manifestazioni
in ogni città d’Italia il sabato precedente il vertice. Nei giorni
“caldi” assemblee, sit-in, manifestazioni, azioni di protesta, in tutta
la città.
Un’occasione, per la “polvere nera” anarchica di infilarsi
ovunque, tra i carrugi di Genova, dove forte batte il cuore di una città,
che in tempi non ancora dimenticati ha saputo dar fiato alla ribellione.
Maria Matteo
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