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L'Italia e i Balcani
NOTIZIE EST #32 - ITALIA/JUGOSLAVIA
19 marzo 1998
UN ASSE ROMA-BELGRADO?
di Andrea Ferrario
Il ministro degli esteri italiano Dini da un anno a questa parte non perde occasione per fornire il proprio appoggio al governo di Belgrado, come ha fatto anche di recente, quando sapevano ormai tutti cosa Milosevic stesse preparando per Drenica. Ma Dini non è solo: dietro a lui c'è tutto uno stuolo di grandi aziende italiane, dalla STET all'ENEL.
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Tra tutte le dichiarazioni rilasciate da uomini politici occidentali negli ultimi giorni in merito alla situazione nel Kosovo spicca in particolare quella del ministro degli esteri italiano, Lamberto Dini. Nessuno come Dini, pur nell'ambito del contorto linguaggio diplomatico, ha insistito tanto sulle responsabilità della parte albanese per la crisi attuale e sulla necessità che essa accetti "i segnali di disponibilità del governo serbo", pena un "rapido svanire delle simpatie internazionali". Parole abbastanza dure se si pensa ai massacri compiuti nei giorni scorsi dalle forze speciali del ministero degli interni serbo contro la popolazione albanese, ma che non sembrano così strane se si ripercorrono i passi della diplomazia italiana in Serbia (e dei rapporti economici tra i due paesi).
Dini, a Belgrado, è di casa negli ultimi tempi e Italia e Serbia si sono di recente scambiate numerosi favori. Già nel dicembre 1996 Dini aveva fornito un importante aiuto al regime di Milosevic quando, in visita in una Belgrado nelle cui piazze ogni giorno decine di migliaia di persone protestavano accusando il regime di brogli, aveva preso una chiara posizione dichiarando che "la richiesta dell'opposizione di un riconoscimento dei
risultati elettorali annullati dal governo non è realistica". Il sostegno politico dato in quell'occasione al governo serbo non ha mancato di dare ben presto i suoi frutti: nel corso del 1997 Dini ha visitato la Serbia ben tre volte e l'Italia è riuscita a mettere le mani su una delle più importanti operazioni di privatizzazione dei Balcani, quella della Telecom serba, acquistata nel luglio da una cordata tra la STET italiana e la OTE greca, una vendita che ha consentito a Roma di occupare un'importante posizione strategica nell'economia jugoslava e ha fatto allo stesso tempo affluire nelle casse del governo di Milosevic ben 800 miliardi di lire. L'ultimo dei viaggi di Dini a Belgrado è stato quello del 16 dicembre scorso, quando il ministro ha compiuto una visita del tutto improvvisa durante la quale è stato a colloquio per alcune ore con il presidente jugoslavo Milosevic e il suo collega agli esteri Milutinovic. Una visita che assume contorni più precisi se se ne esaminano alcuni particolari: il viaggio è avvenuto poco meno di una settimana prima delle elezioni presidenziali nelle quali proprio Milutinovic era candidato per il Partito Socialista di Milosevic e Dini, pur avendo rifiutato di rispondere alle domande dei giornalisti, non si è risparmiato nel farsi fotografare accanto a Milosevic e a Milutinovic [come mostrano rispettivamente le due foto in questa pagina], un atteggiamento che è stato univocamente interpretato dalla stampa locale non legata al regime come uno spot elettorale per il candidato socialista (il cui slogan era appunto "la Serbia e il mondo"). Ma non è tutto, la visita è venuta meno di una settimana dopo che i rappresentanti di Belgrado, insieme a quelli di Banja Luka, avevano abbandonato la conferenza di pace a Bonn in segno di protesta contro un inserimento del problema del Kosovo all'ordine del giorno, con la conseguente condanna di tutti i partecipanti nei confronti dei serbi. L'improvvisa visita compiuta da Dini a Belgrado proprio in quel momento (e senza avere preso accordi con gli altri paesi europei), così come i toni amichevoli dei colloqui ("la collaborazione economica tra Jugoslavia e Italia è in continua crescita" e "i rapporti bilaterali tra i due paesi proseguono positivamente") sono stati interpretati negli ambienti diplomatici come una presa di distanza dalla condanna unanime da parte dell'Unione Europea nei confronti dei serbi e un aperto sostegno al governo di Belgrado. Se si considera la visita in quest'ottica, poi, oggi non può che venire un brivido rileggendo i giornali di dicembre in cui si dice che durante i colloqui Dini ha auspicato, tra le altre cose, una "normalizzazione dei rapporti nel Kosovo".
In quei giorni il quotidiano di Belgrado "Nasa Borba" scriveva che "Roma ci tiene moltissimo a mostrarsi come un fattore influente nella politica balcanica, soprattutto quando si tratta di rapporti con la Jugoslavia". Un'affermazione che gli sviluppi diplomatici degli ultimi mesi confermano: a metà febbraio, quando in tutti i Balcani si diceva ormai a chiare lettere che Milosevic stava organizzando per fine mese una vasta operazione repressiva nel Kosovo [si vedano "Notizie Est #19", 19 febbraio 1998 e praticamente tutti i giornali dell'area tra il 10 e il 20 di febbraio], Dini riceveva a Roma per due giorni il nuovo ministro degli esteri jugoslavo Jovanovic in una delle
sue prime trasferte all'estero. "L'Italia appoggia gli sforzi del governo jugoslavo in direzione della democratizzazione del paese e della liberalizzazione dell'economia, perché consentiranno alla Jugoslavia di reintegrarsi nelle organizzazioni internazionali". Una liberalizzazione economica che decisamente continua a dare i suoi frutti anche per l'Italia: alcuni giorni prima, infatti, l'Agenzia serba per le privatizzazioni aveva ufficialmente inserito l'ENEL tra i quattro candidati esteri ufficiali all'acquisto della società di stato serba per l'energia elettrica, la EPS, di cui è imminente la privatizzazione [si veda "Notizie Est #16, 11 febbraio 1998]. I rappresentanti dei sindacati della EPS negli stessi giorni avevano denunciato pubblicamente che l'ENEL è interessata soprattutto a mettere le mani sulle centrali termoelettriche del Kosovo. Forse Milosevic, quando di lì a pochi giorni andava "in direzione della democratizzazione del paese" sparando con i cannoni su donne e bambini albanesi del Kosovo, stava tra le altre cose anche rendendo un favore a qualcuno...
La Jugoslavia è ormai diventata una partner economico di primo piano dell'Italia. Il volume degli scambi commerciali tra i due paesi, che vede l'Italia al secondo posto, è stato l'anno scorso di 754 milioni di dollari, con un aumento di ben il 22% rispetto al 1996, ma secondo i dati relativi ai primi due mesi di quest'anno l'Italia è balzata addirittura al primo posto tra i partner commerciali della Federazione. Intanto la Telecom serba è a corto di fondi e pare che per reperire denaro sia intenzionata a vendere ulteriori quote al partner italiano, il quale potrebbe così acquisire definitivamente una posizione di controllo nella società. La posta in gioco in Jugoslavia, tra scambi commerciali e privatizzazioni, rimane sempre alta, così come rimane fondamentale per la Farnesina mantenere un ruolo diplomatico di primo piano in questo paese al centro dei Balcani. Chissà quindi che dietro lo pseudonimo di 'Serpicus', che firmava un articolo intitolato "Perché aiutiamo la Serbia" pubblicato l'ultimo numero di una testata vicina al governo come la rivista di geopolitica "Limes" e nel quale si formula a chiare lettere la necessità di aiutare la Serbia e di impedirne la frammentazione, non si nasconda qualche noto alto esponente della diplomazia italiana, di casa a Belgrado.
(fonti: "Nasa Borba", 16-17 dicembre 1997 e 16 febbraio 1998; TANJUG, 10 marzo 1998; "Limes", n. 1, 1998)
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