Il testo che segue è tratto da un recente libro, "La cultura dell'educazione", di un vecchio psicologo statunitense, J. Bruner, tra i principali riformatori della scuola americana del dopo Dewey (o dopo-Sputnik) nei primi anni sessanta, che gettò le basi dello "strutturalismo didattico" e della "istruzione programmata". Santoni Rugiu così lo presenta nella sua "Storia sociale dell'educazione" (Milano, Principato editore, 1979, pp. 698-702): "Una frase di Bruner sintetizza bene la sua linea pedagogica: «L'educazione tende a sviluppare la sensibilità e la forza della mente». E mentre la «sensibilità» (valori, costumi e altri elementi della cultura di un popolo) è soddisfatta dai processi sociali cui un fanciullo partecipa, solo l'istruzione può contribuire decisamente a migliorare i processi intellettivi che fanno dell'uomo un innovatore, capace di adattarsi creativamente alle trasformazioni senza subirne i condizionamenti. [...] Così, l'insegnamento dovrebbe tendere prima a far intuire la struttura fondamentale delle discipline e poi a farne prendere consapevolezza, almeno per quello che serve a padroneggiarle operativamente". [...] Bruner indicava, come strumenti ideali per ottenere il massimo di rapidità e di efficienza della didattica da lui proposta, le tecnologie educative [...] le tecnologie educative parvero destinate a realizzare lo slogan: «insegnare più a lungo, a più persone, in minor tempo e con maggiori risultati». [...] Fra le tecnologie educative spiccano i procedimenti della cosiddetta «istruzione programmata» [...]. L'istruzione programmata consente, appunto, di programmare l'apprendimento adattandone i contenuti alle abilità e al ritmo individuali, svolgendo gli esercizi «programmati» attraverso le «macchine per insegnare»".
Quella di cui qui proponiamo una sintetica rielaborazione è una raccolta di saggi editi nel 1997, che possono essere letti indipendentemente gli uni dagli altri. I principi qui di seguito esposti, sono da intendersi quale stimolo per una discussione visti gli elementi di estrema criticità presenti in essi.
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Vorrei ora qui esporre alcuni principi che guidano l'approccio educativo della psicologia culturale: nel farlo dovrò passare da problemi riguardanti la natura della mente a problemi concernenti la natura della cultura e viceversa, perché una teoria dell'educazione si situa necessariamente nel punto di intersezione fra le due. Di conseguenza ci interrogheremo continuamente sull'interazione fra la capacità delle menti individuali e i mezzi con cui la cultura ne favorisce o ne ostacola la realizzazione. Questo ci impegnerà in uno sforzo costante per valutare la rispondenza fra ciò che una cultura stima essenziale per uno stile di vita buono, utile o degno di essere vissuto e il modo in cui gli individui si adattano a queste richieste che interferiscono con la loro vita [...].
1 Principio della prospettiva.
Parliamo innanzitutto del fare significato. Il significato di qualsiasi fatto, di qualsiasi proposizione o incontro è relativo alla prospettiva o al quadro di riferimento nei cui termini viene interpretato [...].
Logicamente un'iniziativa educativa ufficiale coltiverà convinzioni competenze e sentimenti allo scopo di trasmettere e di esprimere le modalità di interpretazione del mondo sociale e naturale proprie della cultura che le sponsorizza. Come vedremo più avanti, svolge un ruolo essenziale nell'aiutare i giovani a costruire e a mantenere il proprio concetto di sé.
Ne consegue allora che un'educazione efficace è sempre in equilibrio precario, sia nella cultura nel suo complesso che nei gruppi che la rappresentano, più preoccupati di mantenere lo status quo che di promuovere flessibilità. C'è anche un corollario, perché quando l'educazione restringe la sua portata interpretativa riduce anche la capacità di una cultura di adattarsi al cambiamento.2 Il principio delle limitazioni.
In qualsiasi cultura le forme del fare significato accessibili agli esseri umani sono soggette a due tipi fondamentali di limitazioni. La prima è inerente alla stessa natura del funzionamento della mente umana. L'evoluzione della nostra specie ha sviluppato in noi certi modi caratteristici e specializzati di conoscere, di pensare, di sentire e di percepire. Inoltre, per accennare a un tema di cui ci occuperemo più avanti ci dobbiamo concepire come dei soggetti spinti da intenzioni che hanno origine da noi stessi.
Generalmente si ritiene che questi universali (tempo, spazio, causalità)
Costituiscano "l'unità psichica del genere umano". Possono essere considerati dei limiti della capacità umana di fare significato. Ci interessano qui perché è probabile che riducano la portata del principio di prospettiva. [...] Le implicazioni in campo educativo sono poderose e sottili al tempo stesso. Se il compito della pedagogia è quello di mettere gli esseri umani in condizioni di superare le loro predisposizioni "innate" allora deve trasmettere tutti gli "attrezzi" che la cultura ha elaborato a questo scopo [...]. Ovviamente non tutti traggono uguale profitto dall'istruzione contenuta nella cassetta degli attrezzi della cultura. Ma da questo non consegue certo che dobbiamo istruire solo coloro che dimostrano più talento e più capacità di approfittare di tale istruzione. Si tratta di una decisione politica o economica, che non deve assurgere allo stato di principio evoluzionistico. Delle decisioni di coltivare le "incompetenze addestrate" parleremo tra breve.[...]
4 Principio dell'interazione.
È soprattutto attraverso l'interazione con gli altri che i bambini scoprono cos'è la cultura e come concepisce il mondo. A differenza di tutte le altre specie, gli esseri umani insegnano deliberatamente ad altri esseri umani in situazioni diverse da quelle in cui verranno utilizzate le conoscenze apprese [...]. Esistono molte culture indigene che non praticano un insegnamento deciso a tavolino o decontestualizzato come il nostro. Ma il "raccontare" e il "mostrare" sono patrimonio universale del genere umano quanto il parlare. [...] La tradizione pedagogica occidentale rende poca giustizia all'importanza dell'intersoggettività nella trasmissione della cultura. Anzi spesso non sa rinunciare alla preferenza per la chiarezza, al punto quasi da ignorare almeno in apparenza l'intersoggettività. Così il modello diventa quello del singolo docente, presumibilmente onnisciente, che racconta o mostra in maniera esplicita ad allievi presumibilmente ignari qualcosa di cui presumibilmente non sanno niente [...].
Torniamo dunque a porci una domanda apparentemente ingenua ma fondamentale: qual è il modo migliore di concepire una sottocomunità che si specializza nell'apprendimento fra i suoi membri? Una risposta ovvia potrebbe essere che è un luogo in cui, fra l'altro le allieve e gli allievi si aiutano a vicenda nell'apprendimento, ciascuno secondo le proprie capacità. E' evidente che questo non esclude la presenza di qualcuno che svolge il ruolo di insegnante. Significa semplicemente che l'insegnante non ha il monopolio di questo ruolo perché anche gli allievi contribuiscono a creare le "impalcature" che servono di supporto agli altri. [...] Quando l'obiettivo è la padronanza di qualcosa, vogliamo che gli allievi acquisiscano una buona capacità di giudizio, fiducia in se stessi e che lavorino bene gli uni con gli altri. Sono competenze che non si sviluppano in un regime di "trasmissione" a senso unico.5 Il principio dell'esternalizzazione.
Uno studioso francese di psicologia culturale, Ignace Meyerson enunciò per primo un'idea che oggi, un quarto di secolo dopo la sua morte, ci appare al contempo ovvia e ricchissima di implicazioni in campo educativo. In sintesi, egli pensava che la funzione di ogni attività culturale collettiva fosse produrre "opere" oeuvres, le chiamava che, per così dire abbiano un'esistenza loro propria.
Le opere e i lavori in corso creano in un gruppo modi di pensare comuni e negoziabili. Gli storici francesi della cosiddetta scuola delle Annales, che erano influenzati dalle idee di Meyerson, chiamano queste forme di pensiero condivise e negoziabili mentalità, stili di pensiero che caratterizzano gruppi diversi che vivono in diversi periodi e in varie circostanze. L'approccio della classe alla sua "etnografia settimanale" produce proprio questo tipo di mentalità.6 Il principio dello strumentalismo.
[...] Non solo esistono molti modi di usare la mente, molti modi di conoscere e costruire significati, ma svolgono funzioni diverse in diverse situazioni. Questi modi di usare la mente possono funzionare, spesso anzi possono addirittura esistere, solo se si impara a padroneggiare quella che prima ho definito attrezzatura di sistemi simbolici e di registri linguistici propri di una cultura.
Alcune persone paiono avere una grande attitudine a utilizzare certe capacità della mente e i registri che le supportano, altre meno. Howard Gardner ha dimostrato che certe attitudini (che chiama frames of mind, strutture mentali) hanno una base innata e universale - come la capacità di occuparsi di rapporti quantitativi, o di sottigliezze linguistiche o di particolari movimenti del corpo nella danza, o di intuire i sentimenti degli altri. Ed è impegnato a costruire curricoli per promuovere queste diverse attitudini [...].
Le scuole sono sempre state estremamente selettive riguardo agli impieghi della mente che coltivano, quali impieghi devono essere considerati "fondamentali" quali "accessori", quali sono le responsabilità della scuola e quali responsabilità di altri, quali adatti alle femmine e quali ai maschi, quali ai bambini della classe operaia e quali ai figli delle classi agiate [...].
Anche l'obiettivo più recente e apparentemente ovvio di dare a tutti un'istruzione di base si fonda su motivazioni che per quanto possano essere giustificate pragmaticamente, sono morali e politiche. I curricoli scolastici e i "climi" delle diverse classi riflettono sempre valori culturali inespressi, oltre che progetti espliciti; e questi valori non si discostano mai troppo da considerazioni riguardanti la classe sociale, il genere e le prerogative del potere sociale [...].
Così continua a incombere minaccioso il "curricolo clandestino" - il modo cioè in cui la scuola adatta un curricolo per esprimere il suo atteggiamento verso gli alunni, le sue idee razziali e il resto. E nella reazione politicizzata della comunità, gli slogan politici diventano determinanti per la scelta educativa almeno quanto le teorie su come coltivare le molteplici capacità della mente [...].[...]
9 Il principio narrativo.
Infine tralascerò il problema dei "contenuti" e dei curricoli scolastici per passare direttamente a un argomento più generale: la modalità di pensiero il modo di sentire che aiuta i bambini (e in generale tutte le persone) a creare una visione del mondo in cui possono immaginare, a livello psicologico, un posto per sé, un mondo personale. Sono convinto che l'invenzione di storie, la narrazione, adempia a questa funzione, e ne voglio parlare [...].
Molto probabilmente la narrazione ha la stessa importanza per la coesione di una cultura che per la strutturazione di una vita individuale.
Sentirsi a proprio agio nel mondo, sapendo dove collocarsi in una storia autodescrittiva, oggi è reso ancora più difficile dall'enorme aumento dei movimenti migratori. Non è facile per quanto multiculturali possano essere le nostre intenzioni aiutare un bambino di dieci anni a creare una storia che lo inserisca nel mondo, oltre a quelli della sua famiglia e del suo quartiere, se è stato trapiantato dal Vietnam alla San Fernando Valley, dall'Algeria a Lione, dall'Anatolia a Dresda [...].
Nessuno di noi sa tutto quello che si dovrebbe sapere su come si può intervenire per creare una sensibilità narrativa. Esistono due luoghi comuni [...]. Il primo è che un bambino o una bambina deve conoscere, avere dimestichezza con i moti, le storie, le fiabe popolari, i racconti tradizionali della sua cultura (o delle sue culture). Sono quelli che strutturano e nutrono un'identità. Il secondo luogo comune è che l'invenzione narrativa stimola l'immaginazione. Trovare un posto nel mondo, per quanto implichi l'immediatezza di una casa, di un compagno o di una compagna è in ultima analisi un atto di immaginazione [...].
Una sintesi non è forse necessaria. Un sistema educativo deve aiutare chi cresce in una cultura a trovare un'identità al suo interno. Se questa identità manca, l'individuo incespica nell'inseguimento di un significato. Solo la narrazione consente di costruirsi un'identità e di trovare un posto nella propria cultura. Le scuole devono coltivare la capacità narrativa, svilupparla, smettere di darla per scontata. Sono in corso molti progetti, che toccano non solo la letteratura ma anche la storia e gli studi sociali, che portano avanti interessanti iniziative in questo campo.