APPUNTI DI UN DIBATTITO CON CONFINDUSTRIA
di Pino Patroncini, CGIL scuola, 21 giugno 2001

Martedi 12 giugno u.s. ho avuto occasione di partecipare ad un dibattito di 40 minuti a Radio Popolare di Milano che cercava di rispondere alla domanda su quale avrebbe dovuto essere la politica del nuovo governo nella scuola. Al dibattito oltre a me partecipavano Anna Pizzo del Manifesto e Marcello Gentili della Confindustria.
Lo riassumo perché è interessante notare quali sono gli orientamenti di Confindustria in merito, a due anni della ricerca delle "sette confindustrie europee" e dopo il convegno di Parma, su quali parole d'ordine si basano, anzi su quali parole chiave, tenendo presente che Gentili non sembra essere un oltranzista, anzi probabilmente appartiene, per così dire, all'area di centrosinistra del sindacato del padronato italiano.
Il suo intervento iniziale sottolineava problemi quali la bassa quantità dei diplomati italiani (a confronto con gli altri paesi europei), l'obiettivo della qualità della scuola e dell'eccellenza (l'Italia è 21° nelle classifiche internazionali di scienze e 23° in quelle di matematica, ma la provincia di Trento, se isolata, sarebbe ai primi posti con Singapore), lo strumento della fine della statalizzazione della scuola (l'Italia sarebbe da questo punto di vista fuori dalla media europea).
Il profilo scolastico avrebbe dovuto ispirarsi non più all'otium degli studi, ma al negotium dell'azienda. Competenze e abilità, per indicare le quali veniva rigorosamente usato il termine anglosassone skill, dovevano essere conseguite mediante l'esercizio del problem solving e le attività di stage.
Il quadro di tutto ciò doveva essere naturalmente quello dell'autonomia scolastica. Qui Gentili chiamava in aiuto una battuta di Ranieri ("il mio amico Ranieri della Cgil"): in Italia avremmo non l'autonomia, ma l'autonosua ovvero l'autonomia eterodiretta dal Ministero attraverso le ancora troppe circolari! Faceva seguito la citazione di alcuni paesi europei, secondo Gentili già instradati su questi percorsi: Gran Bretagna, Francia, Spagna.
E' stato abbastanza facile far notare che i problemi nascevano più che dall'assenza di strumenti dalla mancanza di obiettivi dal momento che l'autonomia sganciata dagli altri processi di riforma è diventata una cosa fine a se stessa, in cui si continuano a fare peggio di prima le cose vecchie con gli strumenti nuovi e che il suo mettere insieme paesi europei tra loro molto diversi quanto ad organizzazione scolastica sommava insieme le pere e le mele. Come si poteva parlare di autonomia e citare la Francia dove praticamente l'autonomia è zero. Oppure la Spagna dove l'autonomia è quella dei 17 "ministeri" regionali delle comunità autonome non certo quella delle scuole. In realtà la Confindustria dice Europa, ma poi dell'Europa intende un solo paese: il Regno Unito, anzi solo una sua parte, l'Inghilterra e il Galles, dal momento che persino la Scozia ha elementi di organizzazione scolastica differenti.
Nel secondo giro di interventi i concetti fondanti sono stati: introduzione dell'emulazione competitiva tra le scuole, non tanto tra pubblico e privato quanto tra scuola pubblica e scuola pubblica; la possibilità della scuola di scegliere il professore, anzi di scegliere tra assumere un professore o acquistare un computer (sic!), di pagare a piè di lista; e infine, immancabile, la valutazione degli insegnanti, non senza però aver preso le distanze dal concorsone, con un certo sprezzo per la valutazione individuale, anzi citando l'esperienza francese della sperimentazione di assunzioni di insegnanti in equipe. Il tutto all'insegna dell'affermazione "mi interessa il vino, non la botte in cui è contenuto".
E' stato abbastanza semplice ricordare che spesso la qualità del vino dipende dalle botti in cui viene fatto fermentare, che la valutazione degli insegnanti è bloccata non solo in Italia ma anche in Inghilterra e che l'esperienza francese dimostra che il binomio carriera-valutazione sviluppa individualismo e aristocraticismo nel corpo docente più che cooperazione e disponibilità sociale, che più che di competizione occorrerebbe cooperazione (osservazione a cui Gentili ha ribattuto "competizione e cooperazione", sic!) e che tutto l'impianto della Confindustria sembra confondere la democrazia con la sovranità del consumatore.


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