Quello sfogo in difesa della scuola

di Tullio De Mauro, Repubblica 27 febbraio 2001


Caro direttore, qualcuno si è sorpreso per qualche mio eccesso di passione e di emozione nel parlare della nuova scuola.

E tuttavia, l'attuale sovraesposizione informativa della scuola (e magari anche del ministro) e qualche esasperazione della conflittualità politica rischiano di farci perdere di vista qualche dato di fondo su cui, invece, vale la pena ragionare.

Nel corso degli anni '90 si sono accumulate una serie di rilevanti ricerche che hanno spinto a ripensare lo stato effettivo dell'istruzione pubblica in Italia.

Da una parte un gruppo di economisti, guidati da Nicola Rossi, ha prodotto una vasta messe di analisi da cui si ricava che l'istruzione non è solo un pezzo di carta e che il riversarsi di risorse finanziarie in una certa area del nostro e di altri Paesi è inefficace ai fini dello sviluppo senza un salto della qualità culturale e scolastica delle popolazioni di quell'area.

Da altri versanti, indagini del Censis e del ministero dell'Istruzione, ricerche comparative internazionali della Iea e nazionali dell'Istituto Cattaneo hanno messo dinanzi agli occhi un quadro assai poco lusinghiero negli apprendimenti effettivi di alunni e alunne.

C'era dunque un primo problema: affiancare le tradizionali interrogazioni e i tradizionali voti e giudizi con accertamenti oggettivi che ci dicessero, e dicano alle scuole stesse che devono gestire tali accertamenti, quali sono i livelli effettivi di apprendimento reale che le scuole garantiscono.

La risposta è stata la creazione e la progressiva entrata in funzione dell'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo. Con la partecipazione diretta di molti insegnanti e senza burocratismi l'Istituto ha già cominciato a darci le prime notizie precise sullo stato effettivo del nostro sistema educativo pubblico. Pochi ancora le conoscono. Ma le sorti di una scuola che operi con serietà ed efficacia sono affidate negli anni all'azione che questi accertamenti oggettivi avranno sull'effettivo funzionamento dell'insegnamento.
Mi pare difficile negare che sia merito dei governi di centrosinistra avere lavorato in questa direzione. Ma non è il solo merito. Già alla fine degli anni '80, durante il ministero di Sergio Mattarella, era maturata l'idea di collegare quel che allora era solo un progetto, lo snellimento delle amministrazioni centrali e il decentramento sul territorio regionale di competenze, servizi e risorse dello Stato, a un deciso rinnovamento delle istituzioni scolastiche. Prima con Sabino Cassese, poi con Franco Bassanini quel progetto è diventato cosa reale.

E' merito di Luigi Berlinguer e dei governi di centrosinistra avere intercettato questo processo e dato alle singole scuole una piena autonomia culturale e didattica.

Vedo con piacere che anche esponenti dell'opposizione su questo punto sono passati da una minaccia totalizzante («cancelleremo tutte le leggi dell'Ulivo sulla scuola se vinceremo») a più responsabili ipotesi di "ritocchi".

Lo vedo con piacere non come partecipe del più recente dei governi dell'Ulivo, ma come persona che da tanti anni per ragioni professionali ha girovagato tra scuole e insegnanti, le cui straordinarie capacità di seria e impegnativa innovazione culturale erano soffocate dentro le gabbie di un ordinamento centralista.

Essere passati da questo ordinamento alle scuole dell'autonomia, ha significato e significa dare ai singoli istituti piena responsabilità nel definire la loro vita, dai regolamenti di disciplina ai curricoli dei loro studenti.

L'autonomia sollecita e libera per alunni e insegnanti e per tutti noi le ricche professionalità presenti nelle nostre scuole.

[Speranza vana? Voglio ricordare ancora una volta che le nostre scuole, queste nostre scuole, sono riuscite nel grande compito di trasformare il Paese degli anni '50, con il 60% di adulti senza nemmeno la licenza elementare, nel Paese in cui i non scolarizzati sono ridotti a pochi punti percentuali e le giovani generazioni, sia pure in parte con i deficit che ho segnalato, sono portate per tre quarti al diploma medio superiore.]

Come ha detto più volte il Presidente della Repubblica, possiamo e dobbiamo dare riconoscimento e riconoscenza ai nostri insegnanti e, nelle scuole dell'autonomia, si deve dare ad esse una libertà di progettazione sufficiente per delineare i curricoli che consentano a ciascuna scuola di rispondere al meglio alla definizione di percorsi effettivi attraverso cui tutte le ragazze e tutti i ragazzi possano raggiungere davvero gli obiettivi e gli standard educativi nazionali fissati dalle leggi e dalle norme dello Stato.

Dal 1° settembre 2000 le scuole sono autonome nell'utilizzare le loro risorse finanziarie, le competenze dei loro docenti, l'abilità dei dirigenti degli istituti. Non contro, ma a supporto e garanzia dell'autonomia delle scuole, la legge ha stabilito che il ministro dell'Istruzione definisca gli standard e gli obiettivi nazionali di cui ho detto e anche essenziali indicazioni di contenuti e di attività. A partire da ciò le scuole costruiranno i curricoli.

La legge non poneva vincoli al ministro. Imitando illustri predecessori, dalla primavera dell'anno scorso ho chiesto a un'ampia commissione di elaborare proposte in questa materia. Vorrei evitare ogni ritorsione polemica, ma mi sia lecito ricordare che della commissione ha fatto parte più di un centinaio di insegnanti veri, non legati a sindacati o organizzazioni, ma alla effettiva esperienza dell'insegnamento.

E hanno fatto parte della commissione i responsabili nazionali di tutte le grandi associazioni disciplinari, dai geografi ai matematici, dagli italianisti e linguisti ai cultori di educazione fisica, agli storici, ai classicisti. E non vorrei dimenticare che nella commissione sono entrati per la prima volta i rappresentanti delle associazioni dei genitori, i componenti del comitato di bioetica e i rappresentanti degli enti locali, delle Regioni e delle massime istituzioni culturali del Paese come l'Accademia della Crusca o l'Enciclopedia Italiana.
[Questo insieme di persone, che sta lavorando da mesi con grande impegno intellettuale e civile (e gratis), è stato variamente definito un'accolta di «pedagogisti di regime e burocrati», una «piccola corte ossequiente».
Definizioni vergognose non per queste persone di alto valore, troppo più alto di questi incauti insulti, ma per chi, giocando sulla disinformazione, ha pronunciato queste sciocche definizioni. Attenzione: per molti aspetti la commissione ha ritenuto di non inventare niente, ma ha solo coordinato e portato a norma il grande patrimonio di proposte e di effettive esperienze educative maturate dalle associazioni e nelle scuole attraverso gli anni e, in qualche caso, attraverso i decenni.]

Sulla base delle proposte della commissione stiamo lavorando in questi giorni per consegnare le indicazioni necessarie alle scuole dell'infanzia e alle scuole di base per costruire i loro curricoli, i loro metodi di accertamento e quanto serve davvero a fare delle nostre scuole ciò che l'articolo 3 della Costituzione richiede: il luogo coinvolgente per il pieno sviluppo di ogni persona e per la rimozione degli ostacoli che si oppongano a tale sviluppo e impediscano la libera partecipazione consapevole alla vita della nazione. Libera per tutte e per tutti, non uno o una di meno.

Le stesse leggi che autorizzano questo cammino prevedono, per la prima volta nella storia dei nostri ordinamenti, che ogni tre anni governi e Parlamento verifichino come sono andate davvero le cose nelle nostre scuole. Chi avrà pazienza di leggere i testi licenziati dal ministro raccogliendo le indicazioni della commissione e chi (mi auguro) vorrà vedere come le indicazioni hanno funzionato nelle scuole, avrà dunque modo di discutere le indicazioni che oggi si definiscono con la serietà, la sobrietà e il grande impegno intellettuale necessario a capire che cosa succede davvero in una scuola dell'infanzia, in una scuola di base, in un istituto tecnico, per non dire nei nostri licei, gloriosi un tempo e negli ultimi venti anni troppo spesso umiliati.
Ma sulle vie della riforma «c'è gloria per tutti». Ecco le ragioni, da parte mia, di quel di più di passione e di emozione.

 

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