Ferdinando Dubla è docente di Filosofia e Scienze dell'Educazione, incaricato presso Mariscuola-Taranto. Quella che riproduciamo è una sua riflessione centrata sulla critica sollevata anche da noi e da altri riguardante l'abolizione della centralità della classe prevista nella riforma dei cicli.
Perché essere contrari all'abolizione del gruppo classe e ai "gruppi flessibili", una delle caratteristiche della controriforma? Il bambino ha bisogno di riferimenti certi non solo per quello che riguarda il rapporto con gli insegnanti, ma anche con i compagni, con le amicizie che si crea. Gli equilibri che si formano all'interno di una classe sono la base per la sicurezza e la crescita del bambino. Il bambino e il ragazzo delle medie non sono degli adulti che possono scegliere quale corso frequentare, con l'obiettivo cosciente di imparare.
L'apprendimento di un bambino o di un ragazzo delle medie è influenzato da molti fattori, tra i quali il fatto di appartenere a una classe, avere amici con cui costruire relazioni stabili, confrontarsi con gli altri. C'è poi il ruolo dell'insegnante: se non c'è una classe precisa, come fa a controllare questi processi, cioè l'equilibrio psicofisico dell'alunno? Se si abolisce la classe si arriverà ad avere insegnanti che entrano ed escono da un'aula, fanno una lezione e abbandonano i bambini ai loro problemi: chi ha capito, bene, per gli altri fa lo stesso. Quella dei gruppi flessibili è la scuola dei più forti, dei più dotati, dei più ricchi. Per gli altri c'è l'abbandono.
Il concetto di flessibilità ha sempre assunto, nel linguaggio corrente, accezione positiva: ecco perché viene utilizzato dai poteri forti dell'economia; un'appropriazione linguistica positiva per un significato negativo. Una contrapposizione semantico-semiologica, dunque: significante positivo-significato negativo.
La metodologia della didattica ha sempre assunto, almeno da Ralph Tyler in poi, e in Italia proprio dal primissimo De Bartolomeis (R.Tyler: Basic principles of curriculum and Instruction, Chicago, Un. Press, 1949 e F. De Bartolomeis: I metodi nella pedagogia contemporanea, Gianasso, 1958), la flessibilità dei metodi come caratteristica della pianificazione dell'intervento educativo: ancor prima della centralizzazione del feed-back come sistema autoregolativo della stessa procedura pedagogica e valutazione formativa, la disponibilità al mutamento e l'apertura all'innovazione si incardinavano nella filosofia della ri-centralizzazione dell'allievo, i suoi bisogni e i suoi specifici stili cognitivi, sulla funzionalità coattiva dell'insegnamento. Contro il formalismo, la visione dialettica destrutturante l'alienazione: perché?; perché il pensiero è scissione, rottura, conflittualità, frutto di dialogo e discussione critica , per questo, autentica riflessione conoscitiva. È un destino di 'sofferenza e dolore', che richiede sforzo costante, impegno, assiduità, metodo, 'dolore della conoscenza', come già rilevava Giordano Bruno, secondo il quale "chi acquista sapere, acquista conoscenza". Dunque produce crisi, ma crisi produttiva, creativa. Il pensare costa fatica, deve rimuovere certezze, sicurezze apparenti, forti sedimentazioni. Deve collocarci in una condizione di ricerca aperta, precaria, problematica, mai garantita da articoli di fede autoritativi: un'educazione che non tiene conto delle condizioni del contesto in cui viene applicata è nulla, per il fatto stesso di essere isolata dalla realtà ed inoltre perché può diventare uno strumento sempre meno utile. Era Paulo Freire che affermava che la massima aspirazione dell'educazione "depositaria" (termine che sottintende l'insegnamento nozionistico) è "parlare della realtà come qualcosa di fermo, statico, suddiviso e disciplinato, o addirittura dissertare su argomenti completamente estranei all'esperienza esistenziale degli educandi" (P. Freire: La pedagogia degli oppressi, Mondadori, 1971, pag. 81). Essa non svela le ragioni che fanno dell'uomo un essere in divenire nel mondo, per cui ne inibisce la creatività, preparandolo ad adattarsi alla realtà di fatto. "La liberazione - scrive ancora Freire - è un parto. Un parto doloroso. L'uomo che nasce da questo parto è un uomo nuovo che diviene tale attraverso il superamento della contraddizione oppressori-oppressi, che è poi l'umanizzazione di tutti" (pag. 54).
Naturalmente lo sforzo cognitivo, a cui ogni strategia didattica volta all'autoapprendimento (=autonomia dell'apprendimento/scoperta apprenditiva nella propria struttura) deve riferirsi, è in rapporto con la spinta motivazionale propria di ogni soggetto e che ogni soggetto matura in tempi non preordinati. Quello che si definisce 'disponibilità all'apprendimento', non è un dono, ma il risultato di rinforzi appropriati. Il successo dello sforzo cognitivo, porta alla ripetizione della catena di eventi che ha condotto al risultato positivo. Una strategia didattica finalizzata all'insegnamento individuale e non individualizzato, non risolve le aporie, contraddizioni e lacune presenti nel rapporto tra nuovo materiale da apprendere e propria struttura cognitiva, proprio stile cognitivo. (Su questi temi vedi anche F. Dubla: Il metodo come creatività e liberazione - Sul rapporto tra strategie didattiche e processi cognitivi, Taranto, 1997, parzialmente scaricabile anche in http://www.dubladidattica.it/manuali.html).
Ma cosa ha a che vedere questo con la flessibilità delle persone? Non con la flessibilità mentale, si badi, di quella s'è già evidenziata prima l'importanza pedagogica, ma la mobilità selvaggia al servizio delle imprese.
Che sfidano la didattica con un paradosso contraddittorio per niente dialettico perché irrisolvibile: l'alta e rapida specializzazione e la riconversione altrettanto rapida alla dequalificazione meccanica. E così, da una parte si richiede al mondo della scuola di preparare al lavoro, naturalmente alle esigenze strettamente contingenti delle aziende, riducendo al minimo o addirittura cassando una forte e dialettica preparazione di base, che, come si sa, comprende anche discipline senza un ritorno immediato in termini di competenze tecniche; dall'altra, senza quella preparazione, anche la mobilità selvaggia, alias la flessibilità senza diritti delle persone, lavoratrici e lavoratori in carne e ossa, diventa impossibile o risulta improduttiva, inefficace. Insomma, vorrebbero che i nostri allievi fossero ora asini ora ingeneri, ora api ora architetti, sicuramente integrati, ma nello stesso tempo provvisori, precari. Con grandi capacità cognitive, prima di base poi specialistiche, ma scarsa interpretazione dialettica della realtà.
Ecco perché, una controriforma come questa dei cicli scolastici, ha un impianto così pasticciato: in realtà saranno gli attori protagonisti della pedagogia a sconfiggere questa nuova anti-pedagogia.