L'attuale scuola capitalista, come del resto l'economia borghese, è il risultato degli sforzi compiuti nel passato. In un determinato periodo storico essa costituì un passo avanti, una tappa necessaria: che è anche l'ultima. Oggi, nella misura in cui noi la subiremo passivamente o ne usciremo trionfalmente, la scuola avrà una involuzione o si apriranno per essa nuove prospettive.Qual è stato, da una parte, lo sforzo che la società ha compiuto per darsi il tipo di formazione più confacente ai suoi bisogni, e, dall'altra, qual'è stata l'azione che singole persone, o gruppi, hanno svolto per modificare e sviluppare questo tipo di formazione? Che forma ha assunto questa azione nell'attuale società e in quale misura potremo orientarla in direzione di una scuola del proletariato? Ecco i problemi di maggiore interesse che intendiamo esaminate.
La società del Medio Evo non s'occupava affatto della educazione dei figli del popolo, i quali imparavano empiricamente il mestiere paterno. Anche per i ricchi la istruzione era per lo più di tipo professionale: aveva più lo scopo di abituare il futuro nobile e signore alla sua vita di guerre e di mondanità che di far maturare in lui l'uomo.
Anche l'educazione era di tipo tradizionale. Solo quando i principi, per governare, cominciarono a servirsi della religione si incominciò a parlare di educazione. Pochi rudimenti di istruzione accompagnavano questo tipo di educazione. Risalgono a questo periodo le prime scuole per il popolo, come quella di Ch. Demia, a Lione, istituita verso la fine dei XVII secolo. Ma anche in queste scuole l'istruzione è nulla: si tende solo alla "cristianizzazione" degli allievi.
La scuola borgheseLa Rivoluzione francese, per reazione, volle scuotere il popolo dalla sua apparente apatia. E, mentre distruggeva la religione, tentava di diffondere l'istruzione. Un'idea sacrosanta, questa dell'istruzione, per i nostri antenati dell'89. Non v'era ancora ombra di meschina mercatura nella loro azione. Ispirati da grandi ingegni, erano sinceramente convinti che dai lumi della ragione sarebbe derivato necessariamente lo sviluppo della moralità e del bene sociale.
Victor Hugo, molto tempo dopo, avrebbe detto: "Per ogni bambino che apprende si guadagna un uomo".
I risultati si sarebbero fatti attendere a lungo, ma, in compenso, lo Stato aveva scoperto un nuovo strumento di potere: la Scuola, con l'aiuto della Chiesa, inculca nei giovani intelletti il culto della Patria. La concezione napoleonica dell'Università appare allora come l'inatteso risultato degli sforzi rivoluzionari in favore dell'educazione del popolo.
A partire dal XIX secolo, però, l'economia subisce una profonda trasformazione: da tradizionale ed empirica diventa scientifica. L'industrializzazione si va sviluppando e, con essa, il capitalismo e la concorrenza. Da questo momento in poi parole nobili come giustizia, fraternità, patria, oppure umanità, nascondono i veri incentivi: gli interessi del capitale. Se la scuola si perfeziona, è sicuramente per sviluppare l'essere umano, per favorire il progresso, affermare, tatticamente o in buona fede, i bravi borghesi. In realtà il capitalismo nascente ha bisogno di materiale umano appositamente educato a servire i suoi interessi. E questo genere di educazione gliela garantisce la Scuola borghese.
La scuola borghese si porterà dietro per sempre il marchio capitalista. Verrà data scarsa importanza alla formazione dell'uomo. L'educazione sarà sommaria o del tutto inesistente. Al contrario, si cercherà di istruire molto, in misura sempre maggiore, man mano che aumenteranno i bisogni della concorrenza capitalistica. Alla sete di possesso, - saccheggiando all'occorrenza -, al desiderio di dominio con la forza, che caratterizzano oggi l'azione sociale, corrisponde una situazione analoga nella scuola: il capitalismo della cultura. Estendere incessantemente il campo della conoscenza, ipertrofizzare il sapere pretendendo, in tal modo, di sviluppare il potere vitale dell'uomo; ignorare, quindi, le forze spirituali dell'uomo e l'armonia sociale, che potrebbero, invece, garantire la felicità umana; offrire una cultura che produce profitto capitalista: ecco le caratteristiche dell'attuale scuola capitalista. "L'errore fondamentale dell'attuale sistema formativo - dichiara un personaggio di Ibsen - è dare importanza solo a ciò che si "sa", invece di darla a ciò che si "è", e ne vediamo bene le conseguenze. Possiamo verificarle su quelle centinaia di uomini ricchi di capacità che mancano di equilibrio: esiste un vero abisso tra quelle che sono le loro azioni e quelli che sono i loro sentimenti e le loro attitudini".
Le scoperte scientifiche, mentre sono servite alla società nella misura in cui hanno dato un più ampio respiro al capitalismo, hanno ipnotizzato la Scuola con la crescente massa di nozioni da imparare. Il capitalismo, nel processo di sviluppo del suo macchinismo, badava assai poco al benessere del popolo, mettendo in primo piano solo gli interessi dei padroni. La stessa Pedagogia, invece di essere la scienza della formazione dell'uomo, è stata per molto tempo lo studio dei metodi più idonei a consentire e facilitare l'acquisizione del maggior numero possibile di nozioni. Frutto di questa mostruosa concezione della scuola è stato, nel periodo bellico e postbellico, l'"imbottimento dei crani".
Eppure non ci sono mancati pedagoghi di alta ispirazione. Forse che tutti i pedagoghi degni di questo nome non si sono fieramente scagliati, in termini rivoluzionari, contro una concezione grossolana e interessata della scuola e della società? (1) Basta citare Rousseau, - il padre, assieme a Pestalozzi, della nuova pedagogia -, il quale ha detto: "Ricco o povero, potente o debole, ogni cittadino indolente è un farabutto" (2); e Pestolozzi: "Abbiamo solo scuole di compitazione, di scrittura e di catechismo, mentre abbiamo bisogno di scuole di uomini" (3), perché ci si possa rendere conto dell'abisso che separa la loro vera pedagogia dalle nostre scadenti realizzazioni.
Per quale miracolo, quindi, la scuola borghese e capitalista è riuscita ad assimilare prima, e deviare poi, le idee di questi grandi innovatosi per metterle al servizio degli interessi di una casta? E' questo un argomento sul quale è opportuno soffermarsi.
Rousseau era rimasto essenzialmente un teorico. Della sua vasta opera ci si è limitati a isolare quel che serviva, definendo utopistico tutto ciò che non si riusciva a comprendere o che era troppo umano. Pestalozzi invece era passato dalla teoria alla prassi. Aveva, con l'esempio, mostrato come impiegare la lezione delle cose e del linguaggio con cui pensava di rigenerare l'umanità. I suoi discepoli e i suoi seguaci hanno applicato il metodo ma poco alla volta ne hanno tradito lo spirito. E quel metodo che secondo il Maestro doveva sviluppare l'uomo nel bambino serve oggi per favorire la memoria e la capacità di apprendimento.
Pestalozzi, il cui sogno era educare i figli del popolo, aveva introdotto nelle sue scuole il lavoro manuale vero e proprio. Vedeva in questo la salvezza attraverso il lavoro per i suoi piccoli poveri. La Scuola del Lavoro è nata in Germania, ma non corrisponde affatto allo spirito umanitario di Pestalozzi.
Froebel subì la stessa sorte. Trovò immediatamente grossi ostacoli alla realizzazione della sua eccellente opera, proprio perché era troppo bella e troppo grande (il governo prussiano e il Consiglio federale ordinarono, nel 1826, la chiusira dell'Istituto tedesco di Wielhau, da lui fondato e diretto). L'idea froebeliana, però - come accade oggi per il metodo Montessori -, ha subìto minori deformazioni; forse perché si riferisce soprattutto ai bambini più piccoli, che interessano poco al capitalismo.
Misconosciuti sono stati anche tutti gli umili artigiani della Scuola tedesca del Lavoro. Se questi ritenevano opportuno che nella scuola vi fosse un giardino, un laboratorio - quasi un'officina -, una tipografia, intendevano servirsene per preparare i ragazzi alla nobiltà del lavoro - di ogni forma di lavoro, sia manuale che intellettuale -, più che per inculcare nei bambini, con questi strumenti le caratteristiche delle varie discipline e il loro impiego. A vigilare, però, c'erano i programmi, gli esami e la società intera, che costringevano ad occuparsi specificamente dell'apprendimento, la sola cosa necessaria all'ordine capita1ista. I fondatori della genuina Scuola del Lavoro dovettero stabilire un compromesso con le idee dei padroni. E fu necessario provare che il lavoro manuale nei campi e nelle officine facilita, anziché impedire, l'acquisizione delle nozioni; che l'alunno apprende di più realizzando nella pratica ciò che fino allora gli era stato spiegato a parole: in breve, che il lavoro, per come è introdotto in questa scuola, è un aiuto prezioso, la necessaria "illustrazione" di tante belle lezioni. Solo dopo avere fornito queste prove di civismo, la Scuola del Lavoro, penosamente mutilata poté fare il suo ingresso nelle scuole pubbliche tedesche.
Come si può vedere, se i grandi pedagoghi sono stati per lo più degli ardenti rivoluzionari, preoccupati soprattutto di far maturare il bambino in senso sociale e umano, senza dare troppo peso alle contingenze, non si può dire la stessa cosa di quelli che, schiavi del sistema, hanno manipolato le loro dottrine per metterle meschinamente al servizio dell'attuale ordine sociale. D'altra parte, se qualcuno di questi educatori prezzolati avesse avuto intenzione di applicare coscienziosamente le lezioni e l'esempio dei maestri, lo Stato avrebbe immediatamente trovato il modo per ricondurli al "senso della realtà".
Ma non è soltanto con il suo "esercito di educatori" che lo Stato influisce sull'educazione permeandola, come abbiamo visto, di spirito capitalista. Ragioni più nascoste, ma non per questo meno determinanti, si alleano contro una scuola del lavoro libera e umana. Si tratta, da un canto, del disamore generale nei confronti del lavoro in una società in cui il lavoro non sempre garantisce la vita e, dall'altra, dell'avarizia del capitalismo verso tutto ciò che è semplicemente umano, e, ancora, di un fatto assai più grave che sta già cominciando a manifestarsi: il disordine del capitalismo che, nei paesi vinti, - Austria e Germania - uccide la scuola, nell'attesa di condurre anche noi verso la decadenza, a meno che i lavoratori non decidano finalmente di ristabilire l'ordine sociale.
La decadenza e la morte della scuola sono la conseguenza del mastodontico sviluppo del capitalismo: ed è per finire in questo vicolo cieco che per mezzo secolo la scuola "gratuita e obbligatoria" ha istruito i lavoratori. Di fronte al fallimento si può facilmente comprendere quanto sia pericolosa una istruzione che ostacoli il progresso umano; si può capire che non è più sufficiente sviluppare, migliorare, "riformare" l'insegnamento. Bisogna "trasformarlo" (4), come afferma Ad. Ferrière che non è certo un comunista, bisogna rivoluzionarlo.
La scuola attuale è figlia e serva del capitalismo. All'ordine deve necessariamente corrispondere un orientamento nuovo della scuola del proletariato.
(1) "Tutti i pedagoghi sono rivoluzionari - sostiene J. H. Fabre - e quasi tutti i rivoluzionari sono pedagoghi; i migliori sono quelli che hanno abbastanza forza per sfuggire al condizionamento sociale che troppo spesso imbriglia l'individuo... Uomini del genere, ahimé, non sono numerosi... Meriterebbero di essere maledetti da una Società che persevera nell'ingiustizia". L. MATHON, Mes intretiens avec J.-H. Fabre sur l'Education (Le mie conversazioni), Delagrave, 1918.
(2) Rousseau, L'Emile, Libro III.
(3) Cfr. il saggio su Pestelozzi educatore del popolo, comparso su "Clairté", n. 42.
(4) Ad. Ferrière, Transformons l'école (Trasformiamo la scuola), Bâle, Azed.