Dall'utensile alla cultura

di Célestin Freinet, 1967


... L'utensile, strumento specifico di progresso e civiltà, non ha altra funzione che quella di accelerare i primi incerti tentativi per un più rapido adattamento agli atti essenziali della vita.
In altre parole, ogni individuo non compie meno sforzi nel costruire questo "edificio simbolico" che è l'immagine della propria vita. E lo costruisce faticosamente, seguendo il ritmo della propria specie, se deve ripercorrere tutte le esperienze tentate dai predecessori. Riuscirà più in fretta in questa costruzione se avrà strumenti più perfezionati che gli permettano di superare, ad andatura accelerata, le tappe dell'esperienza necessaria ed indispensabile.
Ma vi è un'evidente tentazione: che l'individuo sia portato a basarsi semplicemente sull'esperienza altrui, considerata come sicura e definitiva. Ogni individuo, alla fine della propria esistenza, lascia un "pezzo di muro" più o meno consistente. C'è chi parte da ciò, come se questo "pezzo di muro" fosse un prodotto naturale del suolo, una collina da cui si domini già la vallata, e di cui non ci si preoccupa minimamente di verificare la solidità e l'inclinazione.
La civiltà fa di questo "pezzo di muro" una specie di trampolino partendo dal quale l'uomo raggiunge più facilmente i frutti della scienza. E il bambino vi appoggia il piede incerto, cerca un equilibrio, si issa sulle pietre traballanti e raggiunge i rami generosi dell'albero. Questo risultato gli dà fiducia sulla solidità e l'utilità del "pezzo di muro" che egli utilizzerà allora come base della propria costruzione, senza averlo ripensato, riedificato, riverificato. Finché un bel giorno, dopo averlo scalato più in fretta per arrivare audacemente in alta, rimarrà sbigottito nel vedere l'edificio tremare sulla sua base fragile e tarlata sino ad aver bisogno di puntelli più o meno efficaci ed armoniosi per evitare il crollo totale o parziale.

Noi insistiamo sul pericolo, presente nella scuola, di partire in questo modo (malgrado la tendenza evidentemente contraria dei ragazzi) considerando le acquisizioni precedenti come definitive e certe, e quindi imposte come indiscutibili, senza riesaminarle, ripensarle e riviverle; quello stesso pericolo che c'è nel credere che il progresso arriverà al punto da fare evitare agli uomini ogni minima incertezza nella costruzione della loro personalità.

... L'individuo che da sé ha costruito la propria personalità si è, in un certo qual modo, appropriato degli utensili che usa. Questi utensili rappresentano allora per lui ciò che sono nella loro essenza: il prolungamento della mano e delle dita, ciò che permette di andare più in là, di agire con maggiore efficacia tanto nell'attacco che nella difesa. In questo tipo di appropriazione l'uomo considera come sua principale preoccupazione la conservazione del proprio equilibrio, senza il quale, anche col prolungamento delle suo mani non sarebbe che un povero infermo. Questo bisogno d'equilibrio è istintivo e generale e riguarda tanto l'aspetto mentale, che quello psichico e quello fisico.

... All'origine, mimica, gesti, grida e parole vengono usate esclusivamente per prolungare la propria personalità, per imprimerle una nota di supremazia e efficacia. Si tratta di una emanazione di noi stessi, di uno strumento prezioso che ci permette di andare più in là e più profondamente di quanto ci sia possibile con i migliori utensili. La parola, il "verbo" ha conservato queste virtù e questo valore personale per lungo tempo quasi fosse un utensile raro di cui si ha cura e che viene impiegato coscienziosamente nel timore di rovinarlo e di indebolirlo.
La parola è una parte di noi stessi, la parte più nobile, noi buttiamo in avanti, o innalziamo per cercare un punto d'appoggio. E, nella sua forma emotiva e superiore, questa sua spiccata caratteristica, che, oltre al mutamento della lingua, esteriorizzano, canti, una parte della loro personalità, un frutto del loro e del loro cuore che si distacca ancora palpitante e fremente per risvegliare le vibrazioni affini di altre menti, cuori, di altre vite.
Ma al linguaggio è capitato la stessa cosa che all'utensile e le affinità che abbiamo loro riconosciuto ci rendono più sensibile questo loro comune destino.
Come l'intima conoscenza dell'utensile non poteva essere acquisita che attraverso un effettivo lavoro, così la spiegazione non può assumere altra forma che non sia l'azione stessa. Esattamente come nel bambino che, non potendo ancora parlare con sufficiente chiarezza, vi prende per mano per mostrarvi e spiegarvi, attraverso l'osservazione diretta e l'azione, ciò che non riesce a farvi capire in altro modo. E', in definitiva, il mezzo più sicuro. Ma è lento: ha bisogno della vostra presenza e del vostro sforzo personale, e non esiste senza di voi né dopo di voi, e d'altronde non è sempre possibile. Tutte considerazioni che, a questo stadio, sono di danno all'accelerazione dell'esperienza.
Quando ci si spiega attraverso il gesto, la mimica, il disegno, la parola e la scrittura, si può risparmiare lo spostamento; si può economizzare l'azione materiale, ciò che rende tutto più rapido, se non più sicuro, e favorisce in ogni caso la tendenza dell'uomo a economizzare lo sforzo per raggiungere il massimo dell'efficacia.
Allora il modo di esprimersi attraverso il gesto, la parola o la scrittura tende a sostituire a poco a poco l'azione stessa.

Il difetto non ha fatto che accrescersi e aggravarsi. La parola e la scrittura in particolare sono diventate degli utensili universali, la perfezione, la sottigliezza, la nobiltà ideale dei quali hanno a poco a poco sostituito la grandezza dell'azione stessa. E' come se si trattasse di un meraviglioso e duttile utensile, che si offre a noi in ogni occasione e di cui noi abbiamo la tendenza a servirci indifferentemente per la soluzione di qualsiasi difficoltà. Al punto che linguaggio, scrittura e cultura si pongono come antitesi all'azione: chi parla bene ci tiene a conservare le mani pulite; chi possiede il dono di maneggiare la lingua scritta si specializza nella sola attività di pensatore, di scrittore ed eventualmente di scribacchino; qualcun altro legge in tale misura da trascurare qualsiasi altro lavoro. Gli uni e gli altri dimenticano che la loro personalità non è - nonostante le apparenze - un'attività essenziale, che non bevono, non mangiano, non amano e non si riproducono attraverso la parola e la scrittura. Il divorzio è nato tra la realtà delle cose, il lavoro effettivo e l'espressione orale e scritta: arriverà ad approfondirsi sempre più al punto di separare talvolta totalmente l'opera dalla sua espressione, il gesto da ciò che lo sostituisce, il lavoro dalla sua ragion d'essere.

Il divorzio non era ancora cosi totale e drammatico fino a quando si trattò della parola. Per quanto insidiosa possa diventare, non resta per questo meno integrato alla vita dal momento che si corregge e si perfeziona con l'esperienza stessa della vita. Per molto tempo, d'altra parte, il bambino preferisce l'azione alla parola. Parla molto solo quando non vuole, o non può, agire. Dategli l'occasione di procederne praticamente attraverso l'esperienza a tentoni che gli è indispensabile, di realizzarsi attraverso un lavoro che risponda alle sue necessità funzionali, e allora non indulgerà in vane parole allo stesso modo del pastore tra le sue bestie e del contadino tra i suoi campi. Il linguaggio utensile aiuterà la vita ma non vi si sostituirà.
Le cose sono molto più gravi per quello che riguarda la scrittura, la stampa e la lettura. Presentate tutt'in una volta al bambino un utensile di cui non conosce né il significato né l'utilità. Voi lo fate luccicare ai suoi occhi, lo agitate, lo smontate, lo abbellite, lo fate funzionare per spingere il bambino ad imparare il modo di maneggiarlo. Ma egli, a dire il vero, non sa a cosa servano quei segni che danzano sulla pagina; non è in grado di distinguerne i rapporti con il suo proprio divenire e sviluppo. Tuttavia arriva al punto da scegliere le immagini, ed in seguito le idee astratte che la scrittura stampata esprime, ma non riesce a collocarle sul piano della vita. Può darsi che voi riusciate a familiarizzarlo con il modo di maneggiare questo utensile; potrà anche acquistare una certa destrezza, ma non se ne servirà per la propria costruzione. Per questo, egli ha i suoi metodi, più o meno empirici. Ed effettivamente, nella pratica, la maggior parte degli individui che è andata a scuola dove ha apparentemente imparato il meccanismo e il modo di maneggiare l'utensile, non se ne serve mai per costruire la propria esistenza: non vedrete mai la gente del popolo scrivere i propri pensieri e le proprie osservazioni a meno che essi non abbiano, da soli, ripensato la loro cultura, e non si siano riappropriati, come autodidatti, del senso e dell'uso. Alla gente è sufficiente sapersi destreggiare, con abilità più o meno grande, nel prendere nota delle dimensioni di una stanza, della data di una semina, del debito di un amico (ed è per questo che il far di conto è una delle tecniche più apprezzate fra quelle insegnate a scuola); non scrive mai, o le sue lettere sono banali e stereotipate perché gli manca il vero utensile. E se legge è per stordirsi a quel luccichio che le si fa balenare davanti agli occhi, per evadere in quelle raffigurazioni strane e bizzarre che sono permesse solo a parole, e non per fortificare e arricchire la propria vita.

Attraverso questa concezione errata dell'utensile si è scavata una fossa che va colmata da una nuova concezione dell'educazione fondata sull'esperienza empirica e sul lavoro, con l'impiego di utensili che corrispondano al prolungamento della mano, integrati allo sviluppo della personalità.

In particolare non ci può essere, si capisce, un apprendimento separato della lingua, della scrittura, della lettura e della stampa. Ci sarà soltanto, con l'aiuto di questi utensili, una formazione sempre più sviluppata della personalità umana, individuale e sociale.
Partiremo quindi da questo principio pedagogico: le parole, i concetti più o meno logici ch'essi esprimono, costituiscono un arricchimento solo quando costituiscono il frutto e la materializzazione della nostra esperienza personale, integrati alla nostra vita, legati al nostro divenire. Non vi è che un solo mezzo per arrivare alla vera scienza, che è forza: si tratta di partire umilmente dalla base, dall'esperienza empirica per tentativi, dall'esperienza metodica e scientifica, ed arrivare alla comprensione graduale e profonda dei vari utensili e del linguaggio che è il più perfetto degli utensili, con un processo accelerato che permette ad ogni individuo di costruirsi la propria personalità con un massimo di dignità e di forza.

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