Ci è piaciuta l'idea di essere guardati-valutati dall'altra parte. Quella di cui, come insegnanti, parliamo sempre e che, forse, "ascoltiamo" e "vediamo" poco, troppo presi a "guardarci" e "proteggerci" dalla parte che ci sta sopra.
Dirigenti scolastici d'assalto, sindacati che definiscono e premiano la nostra "professionalità", buro-pedagoghi che sanno sempre più di te e che ti "spiegano" quello che devi fare, quando lo devi fare e come lo devi fare. Quelli che ti devono appiccicare, se lo meriti, il "bollino qualità" e, da ultimo, anche quelli che, nelle scuole, si sentono tanto più bravi di te da proporsi come "funzione" guida (anche loro!... come non ne avessimo già abbastanza!).
Forse, in realtà, gli unici a cui dobbiamo rendere conto sono proprio quelli e quelle che stanno dall'altra parte: ragazze e ragazzi, bambine e bambini e "misurandoci" con loro potremmo scoprire che il nostro potrebbe ancora essere un bel lavoro e che "alleandoci" con loro potremmo scrollarci di dosso i "pesi" che stanno uccidendo voglia di fare, fantasia, relazioni significative, libertà.
Abbiamo deciso di ascoltare e far sentire altre voci "fuori dal coro".
In questo caso si tratta dell'esperienza di un gruppo di "animatori" del Giambellino.
Riproponiamo un opuscolo prodotto da loro stessi suddividendolo in due parti.
Quella qui di seguito, frutto della loro riflessione "organica", e una parte consistente in interviste a ragazzi e genitori che pubblicheremo sul prossimo numero di Filirossi.
CHI HA SCRITTO E PER CHI
Quando si discute di scuola, o di esperienze come la nostra che affiancano i percorsi scolastici dei ragazzi, sono solitamente insegnanti, educatori, pedagogisti a prendere la parola, a esprimere un punto di vista. Questa volta abbiamo cercato di dar voce ad altri "esperti": ragazzi e genitori in primo luogo.
Sono loro i soggetti inascoltati di un mondo che, accanto a formidabili opportunità di emancipazione, porta con sé storie di esclusione e di negazione di diritti.
Lo abbiamo fatto raccogliendo testimonianze - interviste, in primo luogo, ma anche materiale scritto - che ci hanno reso in modo vivo e diretto il senso dell'esperienza di chi sta "dall'altra parte".
Questo ha significato anche parlare dell'esperienza del Doposcuola per quello che è stata e che ancora oggi è: percorso di costruzione di un'alleanza salda tra ragazzi e adulti, là dove ognuno è soggetto e guida per l'altro.Almeno due cose ci hanno colpito in modo particolare riordinando il materiale e trascrivendo le interviste fatte ai ragazzi.
La prima riguarda ciò che alcuni di loro dicono, usando un metro di giudizio e talvolta anche un linguaggio che non appartiene ad essi.
Franco, parlando delle bocciature, dice che se uno non fa niente tutto l'anno (come capita a lui) è giusto bocciarlo, "perché quello gli serve da lezione".
E' certo che per lui la bocciatura sarebbe sì una lezione, ma di quelle lezioni che non insegnano niente, che semmai lo allontanerebbero ancor più dalla scuola. E' certo che non pensa che gli farebbe bene essere bocciato, eppure
Cosa lo porta ad assumere modo di pensare e di esprimersi così lontani dalla sua esperienza, dalle sue speranze, dalle sue più profonde convinzioni?
Franco, forse, se riuscisse ad aprirsi lasciando da parte le aspettative di chi lo ascolta, direbbe che la scuola potrebbe anche essere un luogo in cui è piacevole andare, dove si trae soddisfazione dalla scoperta di capacità nascoste, dove si impara divertendosi. Forse direbbe anche che la sua esperienza è tutt'altra: che a scuola lui impara poco o niente, che si annoia, che si sente in gabbia Non viene fuori nulla di tutto questo, né in positivo né in negativo: è come se Franco non avesse parole per esprimere ciò che sente.
Dice anche: "Io adesso mi sto calmando, non prendo più note". Lo dice seriamente, a suo modo, ci crede anche se il diario, aperto davanti a noi, dice il contrario.
Nel primo caso ("bocciare serve da lezione") adotta i modi dell'adulto.
Nel secondo rovescia addirittura la realtà, immedesimandosi nel ragazzo che il genitore, l'insegnante, l'animatore del doposcuola si aspettano che lui sia: quello che migliora, che va bene a scuola, che non viene sospeso.
Il ragazzo che possiede strumenti culturali adeguati e che non è stato segnato da esperienze troppo dolorose è in grado di comunicare con noi su un piano sufficientemente paritario, che permette uno scambio di idee, convinzioni, esperienze. Chi non ce la fa comunica ugualmente, ma in un modo che ci è molto più difficile interpretare. A volte, con il rischio di agire in modo arbitrario e poco rispettoso, dobbiamo provare a rovesciare le parole che ascoltiamo sostituendo "bene" a "male", "vicino" a "lontano ", "piacere " a "dolore" Altre volte ancora possiamo tentare di lavorare sull'immagine che queste parole ci lasciano impresse nella mente: Franco, a proposito dell'assenza del padre nel rapporto con la scuola, dice: "Gli hanno telefonato, dopo la sospensione. Era partito domenica sera e allora il lunedì mi doveva accompagnare. Sono andato da solo".
Le cose più vere, più profonde, Franco riesce a comunicarle così.Questo opuscolo è stato scritto per noi stessi, per cercare di mettere ordine nell'esperienza che abbiamo accumulato in questi quattro anni di doposcuola.
E' stato scritto per i ragazzi e per i genitori, per restituire loro il senso del nostro lavorare, gioire e faticare insieme.
E' stato scritto per gli insegnanti con i quali collaboriamo e per quelli che ancora non ci conoscono.
E' stato scritto per i nuovi animatori che potranno accostarsi a questa esperienza sapendo che tipo di impegno si richiede loro e che traccia è rimasta del lavoro precedente il loro arrivo.
Infine, è stato scritto per quel ragazzo che ancora non conosciamo e che più di ogni altro saprà insegnarci qualcosa su di lui e su di noi.
IL DOPOSCUOLA E IL COLLETTIVO DEGLI ANIMATORI
Il rapporto con i ragazzi che per primi avrebbero partecipato alle attività del doposcuola inizia nell'estate del 1995, dopo la conclusione dell'anno scolastico.
Si tratta, per la gran parte, di ragazzi che abitano nel gruppo di case popolari prospiciente il Centro Diurno via Bellini, via Giambellino, via Bruzzesi, via Vespri Siciliani -; solo alcuni, pur abitando nella zona, provengono da altre vie.
Viene fatta loro la proposta di partecipare ad attività estive e ad una breve vacanza al mare, a conclusione della quale si pone il problema di come mantenere per il resto dell'anno un rapporto che era piaciuto a loro e a noi. Alcuni ragazzi chiedono di essere aiutati nello studio, nel fare i compiti: è lo spunto per dare inizio, ad ottobre, con una riunione nella quale si definiscono i termini della proposta, all'attività di doposcuola che continua sino ad oggi.
In questa prima fase dell'anno i ragazzi sono dieci e altrettanto gli animatori; da gennaio questi ultimi aumenteranno e i ragazzi diventeranno dodici. La struttura è molto simile a quella di oggi: due giornate di studio, suddivise in due turni, in modo da permettere un rapporto 1:1, o al massimo 1:2, tra animatori e ragazzi.
Pensato per fronteggiare la selezione e l'abbandono scolastico, il doposcuola viene proposto subito ai ragazzi delle medie e a quelli delle superiori; ai primi per il rischio che corrono di uscire dalla scuola media senza possedere quei minimi strumentali che li mettano in grado di scegliere se continuare o meno gli studi. Ai secondi per l'alta probabilità di essere immediatamente estromessi nel biennio superiore.
Alla fine di questo anno , circa metà dei nostri ragazzi verrà bocciata.La scuola da cui proviene la quasi totalità di loro presenta questo dato:
Respinti in 1°media nell'anno scolastico 95/96 Milano e provincia 6,3 SMS Dante Alighieri 23,6% Aprire il doposcuola, dunque, ha sì significato continuare il rapporto iniziato durante l'estate con alcuni ragazzi del quartiere, ma è stato anche il tentativo di opporsi ad una selezione che allontana dalla scuola molti ragazzi, quelli che si accostano ad essa con meno risorse.
Dove va cercato infatti il grosso di quel 23,6% di bocciati, se non tra chi vive in famiglie che per diverse ragioni - di ordine economico, sociale, culturale e di tutto questo insieme - non riescono a sostenere i figli nel loro percorso di studio?
Ragazzi che vivono con un solo genitore, in famiglie dove si fatica a tirare la fine del mese o dove i genitori hanno lavori precari, saltuari, con orari impossibili rappresentano più la regola che l'eccezione in quell'esercito di respinti.
Il doposcuola è stato pensato soprattutto per loro anche se non tutti i ragazzi che lo frequentano si trovano in situazioni limite; al contrario, s'è creato un equilibrio tra chi vive condizioni di "normalità" a casa e a scuola e chi manca di riferimenti educativi.Ci sono voluti due anni di lavoro perché riuscissimo a far nostra un'immagine più nitida e più complessa del doposcuola, della sua identità, dei suoi obiettivi. Due anni in cui i passi avanti sono stati segnati da un "fare" che ci ha permesso di acquisire una maggior dimestichezza nel rapporto con i ragazzi ma anche da specifici momenti di riflessione che ci hanno permesso di precisare oltre al "come" anche il "perché" del doposcuola.
Nell'estate del '97 si è tenuto il I° Seminario, dedicato al progetto del Doposcuola.
Questo primo momento di riflessione sui dati della nostra esperienza e sull'aspetto della progettualità è servito a costruire un collettivo fatto di persone che condividono le modalità e gli obiettivi del loro essere animatori.
Nel frattempo il doposcuola è cresciuto nel numero dei ragazzi e degli animatori: i primi sono ormai tredici e sedici i secondi.
Non si ripeterà, nell'anno 96/97 il disastro dell'anno precedente; al contrario tutti i ragazzi saranno promossi, ma non cambierà il clima di totale disaffezione verso la scuola.
Questo dato occuperà buona parte della riflessione seminariale e porterà il collettivo a ragionare sul fatto che il ritardo scolastico rappresenta soltanto uno degli elementi della selezione sociale; non meno grave è il fatto di completare il ciclo dell'obbligo senza essere in grado di leggere un giornale, scrivere una lettera, saper calcolare correttamente... in sostanza considerando sé e la sfera dell'imparare due mondi estranei.
Dunque l'attenzione nel fare doposcuola - per quanto riguarda il rapporto con la scuola - andrà posta soprattutto sull'acquisizione dei minimi strumentali e sull'evitare in ogni modo che le bocciature preludano all'abbandono della scuola.
Il nostro rapporto con gli insegnanti, attraverso i colloqui e la nostra presenza nei Consigli di classe, acquista sempre maggior peso.Nel corso del II° Seminario, svoltosi nel giugno '98 e dedicato alla struttura del Doposcuola, viene messa a fuoco l'immagine del doposcuola come insieme di rapporti.
Ragazzi Animatori DS scuola Famiglie L'ipotesi è che l'attività di doposcuola debba tener conto contemporaneamente:
- del rapporto educativo e didattico tra animatori e ragazzi;
- della loro situazione scolastica, per la definizione di percorsi individuali;
- del contesto familiare, come elemento di conoscenza per noi e per la responsabilizzazione dei genitori;
- della riflessione interna al collettivo degli animatori per far sì che il lavoro con i ragazzi sia frutto di scelte consapevoli e condivise, e non si trascini come pura attività di supplenza.Ognuno di questi rapporti rimanda a degli strumenti:
- rapporto con i ragazzi: momenti di studio; attività extrastudio (laboratori, gite, vacanze, feste)
- rapporto con la scuola: colloqui individuali animatore/insegnante; presenza nei Consigli di classe
- rapporto con le famiglie: riunioni animatori/genitori; colloqui individuali; momenti informali (incontri, cene)
- rapporto tra gli animatori: riunioni del Collettivo; gruppi di lavoro su progetti particolari; riunioni di fine turno; seminari.Il III° Seminario (giugno '99) è stato dedicato alla scelta dell'impegno volontario; alla possibilità di tenere insieme il piacere e la fatica che derivano dal rapporto con i ragazzi e la capacità di leggere lucidamente il contesto delle politiche sociali e scolastiche entro cui si inserisce l'attività di doposcuola.
COME FUNZIONA IL DOPOSCUOLA
Il rapporto con le famiglie
Fin dal momento in cui è stato progettato il doposcuola si è data importanza al nostro rapporto con le famiglie dei ragazzi. Negli anni si è faticosamente cercato di costruirlo e consolidarlo e ancora oggi è in evoluzione. In breve è accaduto questo: all'inizio incontravamo molto raramente i genitori, salvo sentirli per telefono quando si ponevano gravi problemi legati alla frequenza dei figli; col tempo abbiamo creato più occasioni di incontro: il momento dell'iscrizione per la reciproca conoscenza, la spiegazione dell'attività e la condivisione del progetto educativo; i colloqui individuali, le riunioni.
Non sono mancati momenti più informali ma altrettanto significativi come le visite a casa o le cene, nelle quali abbiamo cucinato e mangiato insieme.
Il primo approccio, il momento dell'iscrizione al doposcuola, è decisivo per far comprendere al genitore che tipo di responsabilità si deve assumere affinchè la frequenza del figlio abbia buon esito: è la cosiddetta "lotta contro il parcheggio".
Se da un lato è comprensibile che un genitore si senta tranquillo sapendo che il proprio figlio è al doposcuola anziché per strada, dall'altro è indispensabile che si senta anche responsabilizzato rispetto all'impegno che lui, insieme a noi e a suo figlio, si sta prendendo.
L'atteggiamento da combattere è quello della delega, del "tanto ci pensano loro".
Al genitore si chiede non solo di controllare la frequenza del figlio, ma anche che esca da casa per arrivare puntuale, con il diario e i materiali per lo studio.
Soprattutto, gli si chiede di considerare il doposcuola una risorsa che si aggiunge e non si sostituisce al necessario impegno richiesto nel rapporto con la scuola: i colloqui tra insegnante e animatore, deve essere ben chiaro, non sostituiscono quelli tra insegnante e genitore, perché diversi sono gli obiettivi e diverse le responsabilità che ciascuno si assume. Infine gli si chiede di condividere con noi e con gli altri genitori i passi avanti e le difficoltà legate al percorso scolastico ed educativo dei figli: a questo servono le riunioni.
I genitori mostrano di apprezzare questa chiarezza.
Una mamma dice: "Il rapporto con il Doposcuola è stato subito chiaro, si sono interessati subito, hanno incontrato subito i professori e il tutto è stato fatto con serietà".
I colloqui individuali tra animatore e genitore sono estremamente importanti.
Attraverso la conoscenza dei genitori (quasi sempre la mamma) si conoscono meglio i ragazzi: cosa hanno preso dalla famiglia come qualità, linguaggio, abitudini; come reagiscono agli eventuali limiti della famiglia, quali sono i loro bisogni. Per l'animatore, conoscere di più il ragazzo significa imparare ad "accoglierlo" a "fargli più spazio dentro di sé".
Sta inoltre nell'educatore la capacità di stabilire un rapporto paritario e di scambio con il genitore che permetta di comunicarsi idee, informazioni e progetti per la crescita del ragazzo.
Questa forma di collaborazione è certamente delicata, e mai uguale.
C'è sempre una fase di primo approccio in cui si saggiano a vicenda le disponibilità e le barriere e poi una di dialogo collaudato in cui si mettono a frutto le risorse di ognuno.
E' una direzione da percorrere
Il rapporto con i ragazzi
Nel nostro rapporto con i ragazzi pensiamo che sia importante tener presente tre concetti essenziali che rimandano a tre parole-chiave: autonomia, intelligenza, immagine di sé.
AUTONOMIA
"Autonoma è una persona che non ha bisogno di dipendere in ogni momento dagli altri, è capace di elaborare e di esprimere giudizi personali sulla realtà, sa in cosa crede e sa battersi per le sue idee, ed è capace di sopportare bene la solitudine. La persona autonoma non è, in genere, poco socievole; al contrario, è capace di gestire i rapporti interpersonali occasionali, i rapporti di amicizia e quelli a più forte componente affettiva, con sicurezza e disponibilità, ma anche salvaguardando propri spazi di libertà. La persona non autonoma, invece, ha bisogno degli altri, e non per scambiare comunicazione ed affetto ma perché ne dipende: non riesce a star sola, ha bisogno di continuo di essere rassicurata, guidata, confermata, sostenuta affettivamente. La persona non autonoma vive imprigionata in una alternativa drammatica: quella fra la sua solitudine e la sua dipendenza dagli altri. Non sopportando la solitudine questa persona ricerca ciò che potremmo chiamare una dipendenza fusionale o un solidarismo simbiotico nei confronti di altre persone, come garanzia di difesa contro angosce e insicurezze".
(G.Jervis- Manuale critico di psichiatria).
Noi pensiamo che si debbano stimolare i ragazzi a sviluppare la propria autonomia perché è una condizione necessaria per potersi muovere un giorno liberi nel mondo. Spesso i giovani non autonomi sono quelli che nella famiglia, ma anche nella scuola, hanno scarsa o nulla capacità contrattuale e che hanno come vissuto una continua svalutazione delle proprie capacità. Questo toglie ai ragazzi libertà concreta e libertà psicologica. Questa non-autonomia rende impossibile l'assunzione di una propria identità e, in prospettiva, di un ruolo adulto.INTELLIGENZA
I bambini "normali" possono essere più o meno dotati, ma tutti possono raggiungere, attraverso un'adeguata educazione, un livello pressochè uguale. Il problema è che spesso vengono ritenuti meno intelligenti a causa della condizione sociale, per problemi disciplinari e difficoltà nell'utilizzare concetti astratti.
A volte questi stessi bambini o ragazzi hanno dimestichezza con il campo pratico, ma difficilmente la scuola riconosce questo genere di capacità. Andrebbero trattati "nell'ambito di un sistema educativo che assicuri a tutti uguali opportunità, e miri caso mai a favorire chi è più debole, non chi è privilegiato in partenza" (op. citata). Questo non accade mai.
Il messaggio che spesso arriva ai nostri ragazzi, soprattutto dalla scuola, è che sono meno intelligenti degli altri. Emma dice:"Non riesco a capire, non mi ricordo niente Magari leggo, tento di ripetere, ma non riesco". Ogni volta che siamo andati a colloquio con i suoi professori la sua insegnante di italiano non ha mancato di ripeterci che "Emma è limitata". Emma è una ragazza sveglia, intelligente; ciò che le è stato trasmesso è la sua inadeguatezza, la sua incapacità nello svolgere qualsiasi attività intellettuale.IMMAGINE DI SE'
E' importantissimo per ogni persona avere una buona immagine di sé, a maggior ragione per dei ragazzi che attraversano una fase della vita in cui la propria immagine coincide con quella che se ne fanno gli altri: la nostra autostima dipende strettamente dal giudizio che riceviamo dagli altri.
E' dunque essenziale stimare i nostri ragazzini per quello che sono. Questo non toglie che quando notiamo qualche comportamento che non ci piace non si debba intervenire per riprendere, correggere. Non dobbiamo aver paura di sgridarli, anche duramente, di dire loro apertamente che quel modo di fare non ci va proprio giù, magari per timore di risultare loro meno simpatici.
Non dobbiamo assumere modi e comportamenti che ci sono estranei, consapevoli che abbiamo un ruolo e che dobbiamo essere sinceri con loro e con noi stessi: non siamo lì per fare gli "amiconi".
Al tempo stesso, sapendo che i nostri ragazzi non sono meno intelligenti e meno capaci degli altri, pensiamo sia importante far notare loro quando lavorano bene, quando fanno dei progressi, anche piccoli. Questo perché, come si diceva, è importante avere un'immagine di ritorno positiva per avere fiducia in sé stessi.
Alcuni di questi ragazzi ricevono dalla scuola costanti disconferme di ciò che fanno, per come lo fanno, senza che venga proposta loro un'alternativa. Ciò che vogliamo è che si accorgano delle capacità che hanno, che le sfruttino, che costruiscano attraverso queste le proprie sicurezze, la propria vita.
Il rapporto con la scuola
Durante l'anno ogni animatore che segue un ragazzo al doposcuola incontra più volte i suoi insegnanti. In alcuni casi, se esiste reciproca disponibilità, è possibile intervenire nel Consiglio di classe.
Il rapporto con le scuole medie frequentate dai nostri ragazzi è stato in questi anni abbastanza positivo anche se molte sono ancora oggi le incomprensioni, le ambiguità, gli episodi negativi. Ci ha aiutati il fatto che la gran parte dei ragazzi frequenti la stessa scuola, la medesima in cui, da tempo, interveniamo con un'attività di formazione all'interno delle classi. Questo ci ha permesso di trattare con pochi e facilmente individuabili interlocutori; di essere individuati come una risorsa presente nel quartiere su cui far conto per attività che coinvolgono i ragazzi; di non dover inseguire questo o quell'insegnante "di buona volontà" ma di poter contare sul riconoscimento del nostro intervento da parte della Direzione e di un certo numero di Consigli di classe.
E' dunque sul rapporto triangolare animatore-ragazzo-insegnanti che è possibile misurare l'efficacia dell'intervento del Doposcuola: là dove si spostano gli equilibri all'interno della classe - dal punto di vista dell'attenzione alla persona, alle sue difficoltà, ai suoi progressi - è effettivamente riscontrabile l'utilità dell'intervento educativo di cui ci facciamo carico.
Tutto ciò passa per azioni molto concrete: colloqui regolari con gli insegnanti, intervento nei Consigli, accordo su attività di recupero ben definite e condivise.
In ogni caso questo tipo di rapporto con la scuola è molto complesso e molti sono i problemi che pone. Incontrando gli insegnanti, per esempio, non ci siamo quasi mai trovati di fronte ad un esplicito rifiuto di collaborazione e tuttavia ogni volta si è trattato di vincere la "naturale" resistenza di alcuni a mettere in discussione il proprio operato attraverso un confronto con l'esterno. A volte si tratta di una giusta cautela verso persone delle quali va verificata la serietà e la capacità professionale. Altre volte si tratta invece di timore verso la messa in luce di inefficienze, consuetudini sbagliate, trascuratezze sulle quali ci si adagia quando manca ogni possibilità di verifica del proprio operato.
In sintesi, il rapporto tra scuola e Doposcuola ha due significati: proporre un incontro tra soggetti che hanno ruoli diversi e pari dignità; pensare l'attività dei ragazzi in termini di progetto.
Il riconoscimento di queste condizioni minime fa sì che il Doposcuola non si riduca ad un'attività di pura supplenza e che lo scambio di informazioni tra chi segue i ragazzi a scuola e fuori dia dei frutti, anche sotto il profilo dei risultati scolastici.