Libera riduzione di un articolo dal titolo: "La scuola ai tempi dell'economia globale: Cosa c'entra la globalizzazione con la scuola? Molto. Troppo". (E' possibile leggerlo per intero, all'indirizzo web http://www.ecn.org/reds/glob0107scuola.html).
La globalizzazione capitalistica interessa anche la scuola e i lavoratori della scuola? La contestazione al G8 di Genova del prossimo luglio riguarda anche studenti e insegnanti? Certamente interessa tutti, lavoratori e studenti, poiché la scuola - anche quella italiana - è da anni ormai nell'occhio del mirino della speculazione capitalista. Ancora di più oggi, che abbiamo in Italia un governo di centrodestra che su questo terreno ha intenzione di imprimere un'accelerazione di vasta portata nella direzione privatistica e affaristica e, come tributo alle componenti cattoliche della coalizione, anche familistica.
Già nel 1955, Milton Friedman affermava che le scuole saranno più efficienti se saranno sottoposte alle leggi del mercato ed entreranno in concorrenza tra loro per attirare i loro clienti: gli studenti. A questo scopo, proponeva un sistema di buoni-scuola, che i genitori di figli in età scolare avrebbero potuto girare alla scuola di loro scelta, compresa una scuola privata o confessionale. Oggi in Italia questa è la stessa politica che intende perseguire il nuovo ministro della P.I., Letizia Moratti. Un documento da lei sottoscritto, dal titolo "Scuola libera! Appunti per la nascita di un movimento" sostiene che oggi la scuola statale è diventata una specie di gabbia classista sempre più dequalificata per i figli di coloro che si trovano in condizioni di disagio, mentre chi ha più soldi può mandare i propri figli a studiare all'estero o in scuole private d'eccellenza. Il buono-scuola è il rimedio che permette anche ai figli dei più poveri di accedere agli istituti migliori. In quello stesso documento, parlano di globalizzazione, si ribadisce "che, se l'Europa e in essa l'Italia vorranno mantenere i livelli di benessere raggiunti, dovranno portare la propria efficienza economica e tecnologica a livelli di eccellenza". La globalizzazione viene da questi esponenti del nostro padronato assunta come un dato di fatto che non merita neppure di essere definita, tanto meno analizzata e giudicata.
La Relazione del novembre 1999 della "Iniciativa democratica para la educacion en las Americas" afferma: "La maniera in cui la globalizzazione si sta attualmente sviluppando, rappresenta una minaccia contro la democrazia e l'uguaglianza sociale, così come contro i sistemi di istruzione pubblica che si basano su questi valori. L'educazione è l'area dove gli stati spendono di più ed è dunque un terreno potenziale di privatizzazione. Si tratta, per il progetto neoliberale, di una fetta di mercato potenzialmente vasta, ed è di importanza centrale per l'intera economia. In generale poi sarebbe un problema per le multinazionali se l'educazione avesse successo nel formare cittadini critici".
La scuola rappresenta dunque per il capitale una nuova frontiera di investimento e di profitto; ciò impone la necessità ovunque di riformarla. Nel nostro paese è il motivo per cui, da vari anni, anche "a sinistra", parlando di riforma non si intende più allargamento degli ambiti democratici e innalzamento dei livelli culturali e della scolarizzazione, ma efficienza, aziendalizzazione, legame col mondo del lavoro. Gli interventi riformatori del governo di centrosinistra sono tutti informati di questa stessa ideologia neoliberista. La neoministra della Casa delle libertà s'innesta sulla dinamica in atto con l'intenzione di imprimerle una velocità maggiore. La conclusione che si legge nel manifesto sopra citato è la seguente: "La scuola italiana ha e avrà bisogno in prospettiva di risorse crescenti e la nostra proposta vuole contribuire a mobilitarle. Noi pensiamo che vi siano molte energie che possono progressivamente rafforzare il nostro apparato formativo. Esse vanno fatte scattare come una molla. Il sapere è una risorsa. L'impresa deve quindi trovare proficuo e vantaggioso investire nella scuola. Da questo punto di vista gli Stati Uniti possono insegnarci qualcosa".Ed è vero che gli Stati Uniti possono insegnarci qualcosa! Anzitutto ci insegnano che proprio lì il buono-scuola incontra fortissime resistenze sia da parte dell'opinione pubblica che delle forze politiche e sociali. È recentissima la sconfitta del neopresidente Bush sulla questione del buono-scuola al Senato, dove si è creato un fronte anti-vaucher formato dai democratici e da tredici senatori repubblicani. La campagna anti-vaucher dei democratici è sostenuta anche dai sindacati degli insegnanti americani, in particolare dall'Aft, che hanno ben chiaro come il buono-scuola significhi sottrazione di fondi alle scuole pubbliche. Questa battuta d'arresto giunge dopo le altrettanto sonore sconfitte nei referendum della California e del Michigan dei mesi scorsi. Il buono-scuola è stato bocciato anche in Svizzera e incontra ostacoli anche da noi: a Bologna sono state raccolte in poche settimane le 9.000 firme necessarie per sottoporre a referendum i buoni emessi per asili nido e scuole materne comunali dalla giunta Guazzaloca.
Le difficoltà che incontra oggi il buono scuola erano chiare da tempo agli stessi uomini d'affari americani che ne hanno approfittato in passato per creare nuove scuole private. In una conferenza a Nashville nell'agosto 1997, alcuni investitori erano "inquietati per il timore del fallimento politico del sistema dei «buoni», poiché tutti i sondaggi effettuati mostrano che la maggior parte dei genitori è contraria". I partecipanti al convegno erano però tutti "d'accordo sulle misure suscettibili di rendere la «industria» scolastica redditizia: ridurre il numero di insegnanti (cioè aumentare il numero di alunni per classe); ridurre la massa salariale degli insegnanti arruolando un maggior numero di giovani e di professori non abilitati; ridurre o sopprimere gli organismi che rilasciano i diplomi di insegnamento e affidare la valutazione delle competenze degli insegnanti ai «manager» delle scuole (parola che essi preferiscono a «direttore»)".I tagli agli investimenti sono uno degli aspetti fondamentali della politica neoliberale sul piano scolastico; in tutti i luoghi il processo è accompagnato da un incremento dell'istruzione privata: si stabiliscono così due livelli di educazione. La globalizzazione neoliberale persegue quindi l'obiettivo di creare un sistema integrato pubblico-privato secondo il quale lo stato finanzia il sistema e il privato lo gestisce, introducendo le regole e i valori del mercato e della competizione. Moratti e soci, che di questa linea sono i portavoce, sostengono: "Particolarmente le scuole professionali, le imprese, le aziende artigianali, le associazioni di categoria potrebbero essere interessate a partecipare alla gestione di istituti che hanno per scopo quello di preparare i lavoratori di cui esse hanno bisogno. Tutto ciò favorirebbe una maggiore osmosi tra mondo della scuola e mondo del lavoro". Oltre alle imprese e alle aziende artigianali ci sono le grandi imprese multinazionali specializzate nella formazione a distanza. Anche i governi, che agiscono per conto delle imprese nazionali, sono impegnati in questa competizione, all'interno e al di fuori dei propri confini, promuovendo ad esempio lo sviluppo di agenzie formative a distanza: in Francia, il ministro Allègre ha lanciato nel febbraio '98 un'agenzia per la promozione della formazione all'estero sostenendo: "Venderemo all'estero il nostro savoir-faire; ci siamo fissati un obiettivo di due miliardi di franchi di fatturato in tre anni. Sono convinto che questo sia il grande mercato del XXI secolo. Un solo esempio: un paese come l'Australia guadagna 7 miliardi di franchi esportando formazione"
Da un lato "lo sviluppo dell'educazione a distanza offre la via più semplice per i progetti educativi transnazionali: portata a tutte le frontiere dalle nuove tecnologie, risulta meno cara l'educazione transnazionale che qualsiasi altra forma d'educazione. I vantaggi di produrre capitale nell'area educativa sono simili ai vantaggi di fare cinema o televisione. I corsi possono essere sviluppati per il mercato e la maggioranza dei costi possono essere recuperati. Con un piccolo investimento addizionale questi corsi possono essere offerti in altri Paesi, a basso costo. Non sorprende che l'educazione a distanza sia sostenuta come la forma d'educazione dell'era della globalizzazione. Gli USA sono il maggiore esportatore d'educazione, pertanto non deve meravigliare che tra le intenzioni dell'OMC ci sia anche quella di ridurre le barriere che impediscono la crescita dell'esportazione educativa in altri Paesi, sia sviluppati che in via di sviluppo". Dall'altro però gli USA in questo settore non sono i soli; si trovano ad affrontare sicuramente la concorrenza delle società informatiche europee riunite nell'Ert (Olivetti, Philips, Siemens, Ericsson, Bertelsmann, British Telecom, ecc.), che dalla fine degli anni '80 sostengono che "industrie e istituti scolastici e universitari dovrebbero lavorare «congiuntamente per lo sviluppo di programmi di insegnamento», in particolare con il ricorso al «teleapprendimento», al «teleinsegnamento» e alla messa a punto di «Software didattici» (per l'apprendimento attraverso il computer)". L'invito è stato accolto dalla Commissione europea, che a più riprese ha adottato risoluzioni in questa direzione, seguita dall'Ocse che sostiene: "l'apprendimento a vita non può fondarsi sulla presenza permanente di insegnanti", ma deve essere assicurato "da prestatori di servizi educativi. La tecnologia crea un mercato mondiale nel settore della formazione. La nuova possibilità di proporre programmi didattici in altri paesi, senza obbligare studenti e insegnanti a spostarsi, potrebbe avere senz'altro importanti ripercussioni sulla struttura del sistema scolastico e formativo su scala mondiale". Se il ruolo dei pubblici poteri non viene disconosciuto, è comunque limitato ad "assicurare l'accesso all'apprendimento a coloro che non costituiranno mai un mercato redditizio, e la cui esclusione dalla società in generale si accentuerà nella misura in cui gli altri continueranno a progredire". L'Ocse esprime a chiare lettere un concetto inquietante: gli insegnanti residuali si occuperanno della popolazione "non redditizia".
È anche per agevolare queste dinamiche privatistiche che nel citato documento del centrodestra leggiamo: "si giunga all'abolizione del valore legale del titolo di studio", mentre fino a ieri abbiamo avuto "solo" una cauta insistenza sulla "certificazione oggettiva delle competenze". Ciò corrispondeva all'idea messa in campo dalla Commissione europea di una «carta di accreditamento delle competenze», pensata per aggirare le normative nazionali in fatto di attribuzione e riconoscimento dei diplomi.Oltre ad essere un mercato da sfruttare, l'educazione è quindi una delle chiavi per la nuova fase dello sviluppo economico capitalistico. La diffusione della tecnologia sta riducendo la quantità di produzione lavorativa che non richiede addestramento; le imprese dimostrano quindi un crescente interesse nell'educazione orientata a soddisfare le necessità dell'impresa. Va da sé che quando l'istruzione si privatizza ed acquisisce fini commerciali, le aree didattiche culturali e sociali perdono interesse. Insieme alla tecnologia ogni genere di merci ha invaso la scuola ridotta sempre più a mercato, come denuncia Naomi Klein nel suo "No logo", facilitate dalle politiche neoliberiste di tagli e ristrutturazioni che hanno costretto le istituzioni scolastiche a sottoporsi ai ricatti delle imprese per sopravvivere. Il caso del canale televisivo Channel One è paradigmatico: esso "fornisce alla scuola l'equipaggiamento audiovisivo di cui ha bisogno e in cambio la scuola s'impegna a fare in modo che ogni alunno guardi Channel One, la cui programmazione quotidiana di venti minuti comprende informazione, reportage, sport, meteo, pubblicità per Channel One e due minuti di spot commerciali. Questo tipo di audience è molto ricercato da diverse agenzie ed ogni spot pubblicitario di 30 secondi è venduto da Channel One a 200.000 dollari". Ma la cosa più grave è che "Channel One non si limita a vendere le scarpe da ginnastica e le caramelle dei suoi clienti ai ragazzini delle scuole. Sta anche vendendo il concetto che il suo programma è un supporto educativo d'immenso valore, un metodo che contribuisce alla modernizzazione delle risorse educative aride ed obsolete, rappresentate dai libri e dagli insegnanti. Nel modello rappresentato da questa emittente, il processo d'apprendimento è poco più che un trasferimento di «roba» nel cervello degli studenti. Che si tratti dell'ultimo successo della Disney oppure del teorema di Pitagora, il risultato è lo stesso: più roba inculcata". È la negazione del ruolo dell'insegnante, è il superamento di ogni pedagogia innovativa. La scuola perde la sua funzione civica e democratica, di garanzia di autonomia e libertà.
Chi crede nella funzione civile e democratica della scuola ed è convinto che suo compito sia quello di favorire la crescita serena dell'individuo in rapporto con la società, fornendolo di strumenti di lettura e comprensione della realtà; chi si pone come obiettivo quello di capacitare i giovani ad affrontare i problemi e gli aspetti contraddittori del nostro mondo e della relazione con il prossimo, senza contribuire a ridurli al rango passivo di clienti e consumatori, non può che opporsi con forza ai processi sopra descritti, che trovano espressione nell'ideologia ora dominante del neoliberismo e concretizzazione nelle politiche governative. Chi è convinto di ciò può vedere oggi nel movimento cosiddetto "di Seattle", che si oppone alle logiche neoliberiste, uno strumento efficace di opposizione e di rilancio di una nuova politica, anche scolastica, in cui siano centrali non i bisogni del mercato ma quelli della persona e delle comunità civili e democratiche.