BERLUSCUOLA? La scuola al tempo delle destre
Quale progetto per il sindacato, quale ruolo per la sinistra sindacale

Relazione introduttiva di Beniamino Lami all'Assemblea nazionale di Lavoro/Società, Cambiare rotta (area programmatica della sinistra CGIL)

Roma, 16 giugno 2001


Dal manifesto sulla scuola sottoscritto dall'attuale ministro della P.I.:

  • libertà di scelta alle famiglie in un quadro di competizione tra diverse e moderne offerte formative
  • la famiglia deve recuperare la propria sovranità e libertà di scelta assieme al senso di responsabilità sull'avvenire dei figli
  • lo stato, attraverso le regioni, assegna ad ogni famiglia un buono da spendere nell'istituto pubblico (statale o privato che sia) che giudica migliore
  • il buono corrisponderà alla cifra che già oggi spendono i contribuenti, per ogni studente, a seconda del ciclo di studi
  • è necessario (il buono) per dare finalmente vera autonomia ai singoli istituti e per introdurre competizione culturale e spirito di emulazione tra istituto e istituto
  • ai genitori compete il diritto di scegliere il tipo di educazione da dare ai propri figli in accordo con le proprie convinzioni filosofiche, culturali, morali, religiose
  • una libera competizione tra gli insegnanti, garantita però da precise regole di tutela, non può che riportare l'intero corpo insegnante ad un nuovo entusiasmo per il proprio lavoro, ad un desiderio di aggiornamento e di continua crescita personale, e a un pieno riconoscimento sociale, morale ed economico delle proprie qualità
  • la scolarizzazione di massa degli anni 60-70 ha permesso anche ai figli dei meno abbienti di studiare e diventare dottore. Ma oggi non è più così: la scuola statale è diventata una scuola classista. Chi ha più soldi, infatti, può mandare i propri figli a studiare all'estero o in scuole private d'eccellenza. Chi invece si trova in condizioni di disagio è costretto a parcheggiarli in una scuola sempre più dequalificata. Il buono scuola permette anche ai figli dei dei più poveri di accedere agli istituti migliori.
  • Si volta pagina, dunque! Come per molti altri settori dello stato sociale, anche nella scuola sta per entrare il vento forte del liberismo. Il governo Berlusconi, grazie al sistema elettorale maggioritario, possiede ora una maggioranza parlamentare che gli consentirà di fare cose e realizzare programmi che nel '94 non ebbe il tempo di concretizzare. L'intervento sulla scuola rappresenta una delle priorità assolute che intende affrontare nei primi cento giorni di governo. Non è un caso, questo interesse per la scuola.
    I motivi sono diversi. Da un lato c'è da pagare il prezzo dell'appoggio del Vaticano e della Confindustria, che sulla scuola avevano fatto richieste esplicite e pressanti. Non si tratta solo di una questione di finanziamento delle scuole private, laiche o cattoliche che siano, che di per sé rappresenterebbe solo il male minore, ma dell'indipendenza e della formazione e della cultura, così come lo sancisce la Costituzione. La scuola laica e plurale, di tutti, dell'accoglienza e dell'integrazione, che manteneva una propria indipendenza rispetto al mercato, dovrà lasciare il posto ad una scuola che diventa essa stessa mercato, in cui il principio della supremazia dell'uno sull'altro, farà della differenza economica, sociale, religiosa ed etnica, non un elemento di ricchezza e di comprensione, ma un elemento di discriminazione.
    E' vero quello che afferma la Moratti nel manifesto per una "grande scuola" che ha sottoscritto solo qualche mese fa, poco prima delle elezioni: "chi ha più soldi può mandare i propri figli a studiare all'estero o in scuole private di eccellenza". E' vero, ma si tratta di un fatto numericamente irrilevante, che nessun tipo di società sarà mai in grado di tenere sotto controllo. Il dato politicamente rilevante è che lo stato, per quanto può e gli compete, offre a tutti le stesse opportunità: è questo il fatto di democrazia sostanziale che si vuole scardinare.
    Su "La Repubblica" di lunedì 21 maggio, Scalfari, in un editoriale di commento ai risultati elettorali e sui flussi, rileva come si siano espressi per l'Ulivo ed i partiti di sinistra, "il grosso del mondo della scuola, la maggior parte della classe medica di base, quasi tutto l'universo femminile delle donne emancipate, metà dei professionisti, i lavoratori dipendenti del centro nord, il "Gay Pride" nelle sue varie declinazioni sociali e professionali, gran parte degli addetti alla nuova economia e ai settori della tecnologia avanzata, buona parte del mondo del volontariato, i cattolici più sensibili ai valori della solidarietà, gli ambientalisti, i seguaci delle religioni minoritarie."
    Come dire che la maggior parte delle persone acculturate si riconosce nei valori della solidarietà della democrazia, dell'eguaglianza.
    L'articolo si conclude con queste parole: "Molto si giocherà sulla cultura. Vorrei anzi dire che tutto si giocherà sulla cultura. Ricordatelo, voi che pensate che il denaro e la sua conquista, il potere e la sua conquista, la felicità materiale e la sua conquista siano tutto. Denaro, potere, felicità materiale non si conquistano senza cultura ma soprattutto non sono tutto: ci sono spazi di fantasia, realizzazione di sé e donazione di sé che stanno oltre la linea del semplice benessere. Questo fa la differenza. Su questo si può vincere ancora."
    La scuola italiana, pur con tutti i suoi numerosi limiti e difetti, è scuola che va modificata e riformata, rappresenta essa stessa un modello di società e di convivenza civile, ed indipendentemente dal fatto che al suo interno convivano insegnanti di destra, centro e sinistra, e così è anche per gli studenti, è questo messaggio educativo profondo che viene trasmesso.
    Questa scuola è oggettivamente antitetica al mercantilismo della confindustria, al familismo della Chiesa cattolica, al particolarismo ed al separatismo della Lega, al liberismo spinto della Moratti, alla vacuità, al personalismo e alle promesse senza riscontro del berlusconismo.
    Si apre quindi un'aspra battaglia per il controllo della formazione e della coscienza civile del popolo italiano.
    Purtroppo c'è chi si è dato enormemente da fare per facilitare il cammino della casa delle Libertà.
    Come Ciampi, di fronte alle reiterate richieste di porre una soluzione al conflitto di interesse, ha risposto che c'erano stati cinque anni di tempo per pensarci, così, bisogna dire che ci sono stati cinque anni di tempo per fissare dei paletti saldi a difesa della Costituzione e della scuola pubblica, ma che si è invece fatto tutto l'opposto, convinti della propria immortalità politica.
    Così come forse si pensava di tenere in ostaggio Berlusconi non affrontando il problema del conflitto di interessi, così si è pensato di fare dei diritti costituzionali merce di scambio per la sopravvivenza del proprio governo.
    Privatizzazione del rapporto di lavoro del pubblico impiego, dirigenza scolastica e un certo sviluppo dell'autonomia scolastica, decreto 112 e riforma federalista che hanno affidato alle regioni la titolarità della formazione, senza parlare delle leggi regionali che hanno visto partire per prime le regioni governate dal centro-sinistra. Tutto ciò rappresenta l'autostrada sulla quale potrà correre la politica del nuovo governo in materia di scuola.
    Quando si stabiliscono delle regole è opportuno fare attenzione a che queste siano valide in ogni occasione ed in ogni contesto politico. Quando è stata fatta la legge di parità forse si è pensato che il governo successivo sarebbe stato ancora dello stesso segno e che si sarebbe potuto tenere sotto controllo le enormi opportunità di privatizzazione del sistema che questa offriva. Con la dirigenza scolastica si pensava forse di introdurre soltanto un pochettino di aziendalismo e liberismo, facilmente controllabili.
    Adesso è pronta una legge di revisione costituzionale che tende ad abolire una parte dell'art. 33 della Costituzione e l'ANP si è premurata di chiedere, oltre ad un notevole aumento contrattuale, anche la possibilità di assunzione diretta degli insegnanti. Non c'è neanche più bisogno di cambiare la Costituzione sulla libertà di insegnamento. Nei fatti non esisterebbe più.
    Errori politici che non solo pagheremo caro, ma che hanno anche determinato una crisi di identità e di credibilità nella gente di sinistra.

    E il sindacato?
    Il sindacato, la CGIL, non è stata da meno. Anzi, in taluni casi è stata determinante nel perseguire obiettivi sbagliati.
    E si persevera tutt'ora.
    E' solo di pochi giorni fa, la conferenza stampa in cui abbiamo promesso tuoni e fulmini se verrà bloccata la legge di riordino dei cicli e se verrà attuato il programma elettorale del polo sulla scuola. Non regge lo spazio di un giorno la teoria del meno peggio. Cioè, se non trova attuazione la legge di riordino dei cicli, trova attuazione il programma di Berlusconi.
    Il problema vero è che questa legge, non solo ha avuto parere negativo del CNPI, del Consiglio di Stato, e del Tar del Lazio, ma ha anche contro di sé una diffusa opinione negativa tra i docenti. Su questa frontiera la CGIL rischia di rimanere totalmente isolata e di fare una battaglia inutile e perdente. Le responsabilità vanno cercate a monte. Una legge che si è presentata blindata, senza possibilità di modifica e senza la ricerca del consenso almeno da parte degli insegnanti. La legge di riordino contiene delle parti di qualità che nessuno ha mai disconosciuto, ma ne contiene anche altre che richiedono di essere profondamente riviste. A questo occorreva pensare prima senza tacciare di disfattismo chi avanzava dei dubbi e delle perplessità. Adesso è tardi. Si sta ripetendo esattamente la stessa storia che abbiamo vissuto durante il concorsone. I sindacati firmatari del contratto si sono defilati uno dopo l'altro, lasciando sola la CGIL-scuola nella bufera. Così avviene adesso. Nella ricerca affannosa di un rapporto privilegiato con la nuova compagine governativa, tutti sono pronti ad alzare il dito accusatore contro la legge di riordino. Anche la UIL-scuola che era quella con la posizione più vicina alla CGIL.
    Siamo soli, questa è l'amara verità, e non ha molto senso il discorso che dice che nelle elezioni delle RSU ha vinto il sindacato che sosteneva le riforme. Certo che è un elemento positivo, l'essere un sindacato che sostiene la riforma della scuola. Ma quale riforma? Una riforma che ha un sapore di affermazione politica, oppure una riforma capita, discussa, condivisa?
    Certo, Cofferati ha ragione quando dice che si deve contrapporre contenuto a contenuto. Questo contenuto però è necessario costruirlo, tutti insieme, anche tenendo conto del mutato quadro politico.
    Dal confronto con i lavoratori, con i propri iscritti e militanti, è necessario ricostruire una linea politica, sia sul versante sociale che su quello contrattuale, adeguata alla nuova fase che abbiamo davanti.
    Vale a dire che non sarà sufficiente essere solo un po' liberisti, un po' aziendalisti, un po' nuovisti ed un po' efficientisti, perché ci troviamo di fronte chi lo è molto di più e a maggior ragione lo può fare molto meglio.
    Se vogliamo effettivamente difendere i diritti dei lavoratori e della cittadinanza tutta, non sarà possibile, anche se comunque occorrerà farlo, semplicemente dire no agli attacchi che con tutta probabilità dovremo affrontare; dovremo essere in grado di contrapporre una linea alternativa, un modello di società, di rapporti tra le persone, tra le persone e le istituzioni, diverso e convincente.
    Occorre quindi riflettere seriamente e serenamente su quello che abbiamo fatto fino ad oggi, occorre far tesoro delle cose giuste e sbagliate, e da qui ripartire.
    Soprattutto bisogna capire gli errori, perché altrimenti la sconfitta diventa disfatta.
    Noi non siamo quelli che dicono: l'avevamo detto! Ma è pur vero che delle cose le abbiamo dette, inascoltati come Cassandra dalla sua gente.
    Il narcisismo della maggioranza del nostro sindacato e la convinzione di essere onnipotenti ed autosufficienti, ha portato la nostra organizzazione a conoscere una delle più scottanti sconfitte della sua non lunga storia sindacale.
    L'ultimo contratto è stato duramente contestato dai lavoratori della scuola ed è stato riaperto a furor di popolo. Ciò che è stato messo in discussione sono stati due principi fondamentali della strategia sindacale recente: la politica dei redditi (accordo del 23 luglio) e quella premiale della differenziazione meritocratica e gararchica.
    Che quella fosse una impostazione pericolosa e perdente, il sindacato lo sapeva, perché gli era stato detto. Gli era stato detto in più riprese: al varo della piattaforma, durante la fase della contrattazione, in sede di ratifica dell'accordo conclusivo. Quello che abbiamo proposto, non è stata una critica aprioristica, ma è stata di metodo, di merito e corredata anche da una proposta alternativa.
    Quello che in estrema sintesi, per noi non funzionava, era il concetto di carriera, il modello organizzativo del lavoro, tutto teso a sposare e sponsorizzare uno sviluppo dell'autonomia scolastica incardinata sulle figure di comando (dirigenti scolastici e direttori dei servizi) e su una élite, anch'essa in definitiva di comando, di insegnanti.
    Questo non solo indicava l'incapacità di rappresentare sindacalmente l'intera categoria dei lavoratori della scuola, ma introduceva, se pur a piccole dosi, ma in modo strutturale, elementi di aziendalismo e di liberismo.
    Questo noi l'abbiamo denunciato, in tempi non sospetti (cioè molto prima del 17 febbraio) e questa volta siamo stati ascoltati, non dal sindacato, ma dai lavoratori della scuola, che quel contratto hanno voluto riaprire chiedendo una distribuzione diversa dei soldi destinati al merito, e chiedendo più risorse per tutti, perché grazie alla politica dell'inflazione programmata, gli stipendi erano stati decurtati, negli ultimi 10 anni tra il 25 ed il 30% del loro potere d'acquisto. Il rinnovo del secondo biennio economico sancisce definitivamente questa sconfitta: il merito viene accantonato, i tassi di inflazione programmata ampiamente sfondati.
    Soldi ne sono arrivati. Non da diventare ricchi, ma neanche pochi e sicuramente di più di quanto hanno visto i lavoratori di altre categorie nei loro contratti.
    Ma abbiamo detto no anche questa volta, ben sapendo che correvamo anche il rischio di essere impopolari e ben sapendo che non ci sarebbe più stato tempo per un'altra ventata di rivolta.
    I motivi stanno essenzialmente in questo: i soldi del concorsone sono stati in effetti distribuiti a tutti, ma con un sorta di gioco delle tre carte è stato preservato il principio della differenziazione e soprattutto è stato notevolmente rafforzato quello della retribuzione dell'aggiuntività. Mentre da un lato le figure uniche hanno goduto di una operazione di reinquadramento economico di sostanza, per i docenti si è rimandato al futuro contratto con l'introduzione delle carriere professionali, e la parte più debole del personale della scuola, gli ausiliari, non ha avuto nemmeno il recupero dell'inflazione reale, mentre i soldi per fare questa minima operazione c'erano. Si è voluto fare una scelta diversa. Anzi, si sono fatte alcune scelte diverse. Per i docenti il rimando è diretto, ancorché sotto le righe e da decifrare, alla valutazione della professionalità ed al merito. Per il personale ATA, il rimando è a una costruzione gerarchica della carriera ed all'arbitrarietà dei compensi aggiuntivi.
    E' stata velenosamente diffusa in giro la voce che noi eravamo contro la possibilità che le RSU potessero contrattare la destinazione di risorse economiche all'interno di ogni singolo istituto. Questo è falso. Quello a cui noi siamo fermamente e convintamente ostili, è una politica di scomposizione e frammentazione del lavoro e dei suoi processi, che espunge dalla unicità di una funzione la dimensione organizzativa, che viene retribuita a parte e che finisce con l'avere il sopravvento e una superiorità su quella principale che è quella didattica.
    Anche per il personale ATA l'operazione non è molto dissimile perché l'operazione di attribuzione di incarichi e di percorrenza di carriera avviene non sulla base di una concezione unitaria del lavoro scolastico, ma sulla base di una separatezza dei servizi dalla didattica e sulla base di una costruzione funzionale alle figure uniche.
    Il complesso di questa operazione ha contribuito fortemente alla formazione di una deriva corporativa che parte dai dirigenti scolastici, arriva ai direttori dei servizi, sta attraversando una parte del personale ATA e finirà inevitabilmente per interessare anche i docenti, creando divisioni tra ordini e gradi di scuola.
    La corporativizzazione della categoria, rappresenta il viatico più efficace per uno sviluppo autoritario dell'autonomia scolastica.
    Ci sarebbe di che riflettere e fermarsi a pensare un po', ma le sequenze contrattuali pare che siano la cosa più urgente del mondo e quindi il processo va a compimento, senza peraltro discussione alcuna.
    Adesso la CGIL- scuola si verrà a trovare nel paradosso che dovrà lottare contro tutta una serie di misure e proposte che il governo cercherà di adottare sulla scuola e che lei per prima, sia pure in misura ridotta aveva cercato di portare avanti attraverso i contratti. Ma questo discorso non vale solo per il sindacato di categoria, vale anche per la confederazione. Come farà ad opporsi alla subordinazione della scuola alle esigenze del mercato e dell'industria, quando la logica stessa, da lei sostenuta, dell'obbligo formativo, del master plan, del patto di natale, fanno di questa subordinazione un elemento di rivendicazione?
    Come si può uscire da questa situazione, che proposte si possono fare? Noi speriamo che il congresso, oltre ad essere necessariamente il posto in cui si verificheranno e si conteranno i diversi orientamenti, sia anche il posto in cui sia possibile discutere veramente tra le diverse anime.
    Abbiamo un compito, difendere la scuola pubblica statale, difendere la scuola dell'autonomia, difendere l'autonomia della scuola.
    Le elezioni politiche di maggio, oltre a consegnarci un quadro politico mutato, hanno consegnato alla CGIL una grande responsabilità. Gli hanno consegnato la responsabilità, perché è l'unica in grado di farlo, di rappresentare e tutelare gli interessi del mondo del lavoro. E' da questo elemento, dunque, dal lavoro, che bisogna ripartire per costruire una linea ed una pratica sociale e contrattuale vincente. Partendo dal lavoro si crea cultura, si difendono interessi materiali e si dà dignità alle persone. Il lavoro e la sua organizzazione.
    Per tornare a noi, e per concludere, se noi vogliamo difendere una concezione dell'autonomia come decentramento dei poteri e capacità di autogestione, dobbiamo contrapporre ad un progetto aziendalista che ha il suo cardine nell'istitutzione di un principio di autorità, un progetto che il suo cardine nell'introduzione di un principio di responsabilità collettiva. Questo ha delle conseguenze politiche e contrattuali precise: significa costruire una organizzazione del lavoro che ha il suo fondamento nella cooperazione tra i diversi soggetti, che non consente lo scorporo di funzioni e mansioni, ma che ricomprende tutto in una visione unitaria. Sappiamo bene che in particolare la funzione docente è una funzione complessa che difficilmente può essere ricompresa all'interno di un'unica persona. Bisogna sostituire a questa un soggetto collettivo. Non vanno retribuite quindi funzioni e mansioni diverse, vanno retribuiti contratti omogenei, in cui possono essere compresi funzioni e mansioni diverse.
    In fondo questa è la vera essenza del sindacato, quella di costruire soggetti collettivi che, valorizzando le singole personalità, sappiano porsi come protagonisti dello sviluppo sociale.

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