Al peggio non c'è mai fine.
La Riforma dei cicli abbondava di ambiguità al suo esordio nel 1997, ma almeno apriva qualche grande speranza.
I termini della sua approvazione nel 2000 facevano piazza pulita di molte speranze, introducevano elementi sicuramente sbagliati e non condivisibili, lasciavano irrisolte molte ambiguità sia sul piano pedagogico, sia su quello professionale, sia su quello sindacale.
Sul piano pedagogico la mancata generalizzazione della scuola pubblica dell'infanzia e il mancato inserimento del suo ultimo anno nell'obbligo, conseguenza della fretta di approvare una legge sulla parità prima che fosse ridefinito il sistema, rimetteva in discussione la sua piena cittadinanza nella scuola riformata e produceva la riduzione dell'obiettivo dei dieci anni di obbligatorietà a nove.
Questa assenza a sua volta minava il carattere educativo e non istruttivo del ciclo di base, sul quale pesava l'ipotesi di possibili incursioni disciplinariste, corrispondente alla calata di docenti della secondaria inferiore nel suo ambito.
Infine il carattere orientativo e unitario del primo biennio della secondaria, veniva completamente perso, a favore di una canalizzazione precoce spostata dai 14 ai 13 anni, in barba a vent'anni di dibattito sulla posticipazione delle scelte. La cosa era talmente grossa che il piano attuativo ne prometteva pudicamente un'attenuazione pratica, attraverso passerelle sospese sul vuoto pedagogico e organizzativo.
Sul piano professionale il mancato coinvolgimento delle scuole, la mancata valutazione delle sperimentazioni, la messa in discussione delle competenze professionali in relazione alle diverse fasce di età, il sapore di riforma a costo zero determinava nella maggioranza della categoria un atteggiamento variabile dall'opposizione allo scetticismo.
Sul piano sindacale il rischio di una riduzione degli organici e i problemi connessi con gli aspetti contrattuali (orario, inquadramento ecc.), anche a fronte degli allarmi in categoria e alla loro strumentalizzazione, avrebbero dovuto indurre Cgil e Cgil Scuola almeno a rivendicare come condizione pregiudiziale per la sua attuazione una risposta positiva a richieste riguardanti misure strutturali di carattere pedagogico, professionale e sindacale indispensabili a garantirne il carattere democratico, qualitativo e condiviso.
Ma se altri hanno strillato al lupo, e qualcuno tra questi ne ha anche ottenuto i benefici, l'intenzione di Cgil e Cgil Scuola di non disturbare comunque il manovratore, non solo ha permesso che il lupo arrivasse ma non ha neppure tratto i benefici che altri con la loro opposizione opportunista hanno guadagnato.
L'indirizzo con cui il Parlamento ha approvato la legge non lascia dubbi in merito e costituisce il terzo gradino che la legge ha disceso nell'affossare insieme alla riforma probabilmente anche l'idea stessa di riforma della scuola.
Dal punto di vista pedagogico il testo non lascia dubbi.
Sulla scuola di base la scelta di procedere alla "frantumazione dell'onda anomala" e di fissare in 30 ore l'orario, facendo sparire qualsiasi riferimento alla possibilità di aumento dell'orario fino a 40, ne determina la trasformazione in scuola delle discipline. La stessa scelta del 2 + 3 + 2, sembra più funzionale ad una precoce trasformazione del "corpo centrale" che a rassicurare il "quinquennio elementare" e la promessa della "riduzione d'orario a 18 ore" sarà anche solleticante per i maestri e per qualche sindacato (che la venderà come risultato della sua "opposizione"), ma ha come premessa la costruzione di un sistema satellitare di discipline intorno al corpo centrale del team docente. La fine del tempo pieno nella scuola elementare e del tempo prolungato nella scuola media è più vicina e con loro il carattere educativo del ciclo in tutte le tipologie organizzative possibili.
Nel biennio della secondaria la preoccupazione di ribadire che la "possibilità di passare da un modulo all'altro anche in aree ed indirizzi diversi non può in alcun modo deprimere la caratterizzazione specifica dell'indirizzo" e l'introduzione del concetto di equivalenza disciplinare, diverso e più vago rispetto alla presenza di una quota di materie identica in tutti gli indirizzi, da cui sarebbe disceso il carattere almeno unitario del biennio, riproduce la volontà di insistere oltre l'inverosimile sulla strada della canalizzazione precoce accentuandone tutti gli elementi più gretti.
Sul piano professionale, poi, il lupo perde il pelo ma non il vizio: "possibilità di articolazioni di carriera, con la definizione di diversi gradi di docenza", "criteri di valutazione e di certificazione nonché l'individuazione dei soggetti valutatori". Sono termini che non lasciano spazio ad equivoci e ricalcano il frasario che supportava l'art. 29 del contratto. Il che a sua volta non lascia spazio ad equivoci circa l'accoglienza che questa cosa avrà in categoria.
Prima che il Senato approvi definitivamente il testo occorre che queste caratteristiche vengano radicalmente cambiate. Per fare ciò occorre che anche la Cgil e la Cgil Scuola pongano in termini pregiudiziali le questioni del profilo educativo della scuola di base, della gestione del personale e della conservazione degli organici, del ruolo unitario e orientativo del biennio superiore, della valorizzazione della professionalità di tutti i docenti.