LE MAESTRE E IL PROFESSORE
convegno nazionale dell'autoriforma gentile

Clara Bianchi, maestra elementare di Milano, maggio 2001

Il 28 e 29 aprile, presso la Terza Università di Roma si è tenuto un incontro nazionale promosso da insegnanti di ogni ordine e grado, donne e uomini che fanno riferimento al movimento dell'autoriforma della scuola.
Il convegno partiva da questa chiave di lettura della realtà: esiste nella scuola italiana una gerarchia maschilista che fa sì che man mano che si sale negli ordini di scuola si debba emancipare l'insegnamento dai legami affettivi attraverso cui passa l'apprendimento nell'infanzia, atteggiamento tipicamente femminile incarnato dalla "maestra", per passare al sapere neutro condensato nella figura del "professore", considerato più nobile perché più vicino al Sapere accademico.
Per rovesciare questa gerarchia, durante il convegno, a partire da alcune esperienze portate da maestre di asili nido, scuola dell'infanzia e scuola elementare, si è aperta un'interrogazione su cosa sia quel "di più" che negli ordini più bassi dell'istruzione è presente molto spesso, e che ha ricevuto riconoscimenti internazionali, ma che fatica ancora ad essere detto. Se finora infatti le maestre hanno preso poco la parola per dire questa specie di valore aggiunto che è osservabile e palpabile a chiunque voglia vedere cosa accada in un'aula di scuola elementare o d'infanzia, ora questo "silenzio irresistibile" si è rotto.
In apertura tre maestre elementari si sono proposte con una comunicazione molto interessante e toccante, frutto di un'osservazione reciproca nelle loro classi.
Attraverso una forma espressiva molto simile al diario, una delle tre, che svolgeva il ruolo di osservatrice all'interno delle due classi, ha raccontato ciò che accadeva dal suo punto di vista, e mi ha colpito quando sottolineava come fosse forte il linguaggio del corpo della maestra e quanto fosse importante ed efficace il gesto, la postura in relazione ai bambini/e.
Nel gioco dell'avvicinarsi e dell'allontanarsi - diceva - c'era una sorta di linguaggio non verbale che spesso incideva più delle parole, nell'incoraggiare, nel comprendere empaticamente i bambini e le bambine.
Le maestre hanno raccontato come l'età stessa dei loro alunni/e sia una specie di età dell'oro per l'apprendimento; si può dire siano naturalmente disposti/e e curiosi/e per tutto ciò che c'è da imparare e che tutto questo faciliti molto il loro compito alla motivazione; l'entusiasmo è sempre vivo e presente... le maestre, anche per questo, vivono una forte implicazione personale nel proprio mestiere; ogni partner di maestra, volente o nolente, sa spesso tutto della storia personale dei bambini e delle bambine della propria compagna che, anche nei momenti privati, sente il bisogno di raccontare per capire e condividere questa esperienza estremamente coinvolgente. Questo forte coinvolgimento è testimoniato spesso dalla sensazione di estrema fatica emotiva che le maestre vivono e reggono quotidianamente.
Anche la ricerca in didattica da qualche anno sottolinea con enfasi il legame tra affettività e apprendimento, ma questo non sortisce effetti: la legislazione scolastica e il ministero dimostrano di non recepire nulla, perché per farlo dovrebbero capovolgere i criteri del valore e le sue gerarchie. A riprova di questa mentalità troppo spesso dominante, nell'ultima stesura della riforma i riferimenti al senso relazionale dell'insegnamento sono limitati ai gradini più "bassi" dell'istruzione; nei gradi "alti" la scuola sembra dover soccombere alla certificazione minuta delle competenze e al tecnicismo esasperato perché lì si giocherebbe il valore supremo del sapere.
Nella realtà molti/e docenti delle scuole superiori testimoniano che, soprattutto con queste ultime generazioni di ragazzi e ragazze, questo modo di porsi produce frustrazione e perdita di senso sia tra chi insegna che tra chi apprende e un preoccupante fallimento nell'apprendimento.
E' come se le tradizionali regole e patti più o meno taciti all'interno della scuola, che funzionavano fino a qualche anno fa, fossero saltati e i ragazzi/e oppongono una muta ostilità e apaticità nei confronti dell'istruzione e dei propri insegnanti.
Le insegnanti e gli insegnanti dei gradi d'istruzione superiore hanno portato all'interno del convegno l'aspetto della fatica e della crisi di quel pezzo di scuola; il rapporto con l'adolescente, segnato dal distacco e dal conflitto, non facilita il loro ruolo anzi lo complica e a maggior ragione richiede attenzione alla relazione pedagogica se davvero si vuole uscire dalla crisi di senso e di ruolo.
Oggi sempre più i livelli di scuola più alti hanno da imparare dalle "maestre" un particolare modo di vivere la relazione educativa.
Non unica, ma immediata è la diversa qualità degli spazi e della cura che ad essi viene dedicata.
Il messaggio forte che è uscito dal convegno è che ogni forma di apprendimento vero del sapere, indipendentemente dal grado di istruzione, avviene all'interno di una relazione educativa consapevole e piena di senso per entrambi i soggetti in gioco e che nelle scuole di istruzione più bassa ciò è stato costruito perché questi gradi di scuola sono abitati da donne che portano all'interno di questi luoghi un punto di vista femminile del mondo.
Chi vuole può leggere le relazioni iniziali delle maestre e delle educatrici d'infanzia in Internet nel sito http://members.xoom.it/autoriforma/, attorno ad esse vogliamo raccogliere altri contributi per aprire un dibattito più allargato su ciò che veramente conta a scuola.


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