Il vivace dibattito che si è sviluppato intorno alla realizzazione dell'autonomia scolastica ha messo in luce una tendenza a liquidare qualunque critica con l'accusa che quelle posizioni sarebbero dettate da una sorta di conservatorismo, anche di sinistra, incapace di fare i conti con la "modernizzazione" del sistema. Di fronte a questo classico esempio di spostamento del confronto sul terreno ideologico, è necessario riproporre con ostinazione il confronto di merito sulle modalità concrete con cui l'autonomia sta prendendo corpo attraverso i vari provvedimenti attuativi. A tale scopo può essere utile anche l'analisi di un provvedimento "minore" come il Regolamento per la gestione amministrativa e contabile delle istituzioni scolastiche che, se si escludono gli addetti ai lavori, si sta definendo nella più generale disattenzione.
Il suo carattere, almeno sulla carta, meramente organizzativo, in qualche misura potrebbe giustificare la mancanza di un dibattito su questi temi. In realtà, dalla lettura delle varie bozze, sembra chiaro che intorno al Regolamento si sta giocando una partita di ben più rilevante spessore che riguarda il ruolo degli Organi Collegiali, sullo sfondo di un assetto più apertamente privatistico dell'organizzazione scolastica.
Va detto subito che le procedure seguite ripropongono l'uso spregiudicato della normativa secondaria per intervenire su questioni di grande delicatezza, al riparo dagli impacci di una discussione trasparente nelle sedi parlamentari, che ha avuto nell'ex ministro Berlinguer uno dei massimi interpreti. Inoltre, così come era avvenuto per il Regolamento sull'Autonomia, è stata messa in pratica una idea quanto mai perniciosa di democrazia diretta, aprendo una sorta di sondaggio per via telematica, pomposamente definito consultazione delle scuole.
Per quanto riguarda i contenuti, la prima bozza, presentata nel mese di febbraio, puntava apertamente alla concentrazione dei poteri nelle mani del Dirigente Scolastico, con il Consiglio di Istituto privato di ogni competenza decisionale e ridotto al ruolo di notaio delle decisioni del dirigente, la Giunta Esecutiva addirittura cancellata! Per tentare di dare legittimità ad una operazione così spregiudicata, il testo era accompagnato da un compiacente parere del Consiglio di Stato che, in sostanza, giudicava il Testo Unico n. 297/94 superato di fatto dalle norme sulla dirigenza e non più applicabile. E' stupefacente costatare come un organismo così autorevole non si sia accorto, si fa per dire, che la legge Bassanini, che istituisce la dirigenza scolastica, descrive i poteri del dirigente subordinandoli esplicitamente al "rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici".
Del resto, si tratta sempre di quel Consiglio di Stato che, con la stessa logica e con identiche motivazioni, pochi mesi dopo, avrebbe avallato la cancellazione, addirittura con una circolare ministeriale, del potere del Collegio dei Docenti di eleggere i collaboratori del capo di istituto.
Per fortuna, nonostante la limitata circolazione delle informazioni, le prese di posizione di sindacati e associazioni professionali, cui si aggiunge un deciso pronunciamento del CNPI, portano al ritiro di quella bozza e alla redazione di un nuovo testo, ancora in fase di perfezionamento, formalmente più rispettoso della normativa vigente.
Ciò non significa, tuttavia, che i problemi siano superati. Intanto, perfino nel linguaggio, traspare una concezione che individua nel dirigente il motore dell'iniziativa gestionale, su cui il Consiglio di Istituto "interviene". Su numerose materie il Consiglio può solo stabilire criteri generali, e l'esperienza ci dice cosa questo normalmente significhi. In sostanza si realizza, senza dichiararlo, l'obiettivo di uno svuotamento di funzioni degli organismi di partecipazione democratica.
Inoltre, se si analizzano le cosiddette attività negoziali, viene in evidenza l'impostazione privatistica cui dovrebbe ispirarsi la gestione delle scuole. Tra queste spiccano i contratti di sponsorizzazione (se ne sentiva proprio il bisogno!) e i contratti di prestazione d'opera con esperti; ma ci sono anche l'affitto dei locali della scuola, l'accensione di mutui, l'acquisto di titoli sul mercato finanziario, le intese con privati per attività formative e addirittura, cito alla lettera, la possibilità di organizzarsi per la vendita di beni o servizi per conto e a favore di terzi.
Si può dire, perciò, che anche con questo provvedimento si concretizza una linea di trasformazione delle finalità della scuola e, in ultima analisi, del suo carattere pubblico, attraverso modelli di funzionamento direttamente improntati a logiche aziendalistiche.
Come si vede si tratta di questioni di grande importanza per le quali si rende assolutamente opportuna qualunque iniziativa volta ad accrescere il grado di attenzione e di vigilanza democratica. Anche a rischio di passare per conservatori.
(Per un approfondimento della questione consulta il decreto interministeriale di gestione amministrativo-contabile delle istituzioni scolastiche. N. d. R.)