NOTE A MARGINE DELLA SINTESI DEL GRUPPO DI LAVORO
"AGGREGAZIONE DISCIPLINARE LINGUISTICO-LETTERARIA"

L'enfasi degli esperti nell'enunciare le finalità del curricolo di Italiano accentua la distanza fra la pratica quotidiana, nelle classi, con i nostri 25 e più alunni in carne ed ossa, e le rispettabilissime ed accademiche petizioni di principio. L'estraneità al vissuto nella scuola di oggi diventa premessa incoerente alla scuola che si vuole costruire domani.

La cancellazione di un anno di corso non modifica le finalità didattiche ed educative del curricolo di Italiano, come se il tempo di scolarizzazione fosse una variabile indipendente ­ e poi in quella fase miracolosa della vita fisiologica, intellettuale ed affettiva che è la pre-adolescenza.
Troncare alla fine dell'attuale II media l'esperienza dell'insegnamento di base di Italiano, come di qualsiasi altra disciplina, può realisticamente significare tarpare le ali alla stragrande maggioranza delle ragazze e dei ragazzi, lasciandoli in mezzo al guado.

E' esperienza di tutti i docenti che quella fra le attuali II e III media è proprio la fase in cui si avviano e si consolidano, ma soltanto nelle personalità più precoci e psicologicamente più costruite, quelle capacità di astrazione, di organizzazione delle conoscenze, di autonomia, che sole possono tradurre in prestazioni più compiute la quantità del lavoro svolto. Dover scegliere allora fra cinque diversi indirizzi di scuola superiore, quando le potenzialità individuali non si sono ancora dispiegate, quando l'insegnamento ricevuto e l'apprendimento ricavato non sono stati lievitati e cementati dalla naturale ed anche spontanea crescita della persona, getta allo sbaraglio alunni e genitori. Alle nuove realtà di scuola superiore toccherà verificare quanti alunni recupereranno l'obiettiva sfasatura tra tempi scolastici e tempi biologici introdotta dalle riforme proposte.

L'introduzione della lingua inglese fin dal primo biennio, di una seconda lingua europea nell'ultimo biennio, l'attribuzione di un monte-ore più cospicuo alle scienze - il riconoscimento, dunque, della necessità di un maggior sapere per le giovani generazioni - non hanno coerentemente ampliato il tempo-scuola, che resta confermato in trenta ore, mentre addirittura si cancella il tempo pieno.

La compressione delle materie si realizza tagliando le ore di insegnamento di Italiano, ridotte in 6a e in 7a da 7 a 4 ore, e le ore di Artistica e di Musica, portate insieme da 3 a 4.

Resto in attesa di conoscere i motivi, a tutt'oggi mi pare non ancora enunciati, che hanno indotto il ministro a calare la mannaia proprio sulle discipline più legate all'espressione di sé, alla comunicazione dei propri bisogni, delle proprie idee, dei propri sogni e progetti, alla creatività ed alla immaginazione, alla dimensione più squisitamente sociale e socializzante del sapere.

Come le finalità, anche le competenze che gli alunni "dovrebbero essere in grado di esercitare" (pag. 25) non pagano alcuno scotto alla riduzione di un anno di scuola ed alla cancellazione di più di 1/3 del monte-ore. Il prudente inserimento qua e là, nella delineazione dei profili di uscita, dell'aggettivo "parziale" e della sua variante avverbiale non tranquillizza rispetto al conseguimento parzialmente globale o globalmente parziale degli obiettivi. Questi ultimi non sono più in discussione: il punto è un altro.

C'è corrispondenza fra gli esiti attesi e la durata e le modalità di svolgimento del curricolo?

La risposta potrebbe essere affermativa solo ritenendo il che cosa si fa, quanto si fa, per quanto tempo ... , del tutto ininfluente rispetto al sapere e al saper fare accumulato; se ritenessimo, in ultima analisi, inutile l'insegnamento!

Solo in spregio all'insegnamento ed al lavoro che in classe conducono allievi e docenti, solo misconoscendo il valore e la funzione dell'applicazione guidata, organizzata, finalizzata, si può demagogicamente dire di voler confermare le prestazioni che coronavano un ciclo di un anno più lungo e con un monte ore di 1/3 più consistente.

L'inevitabile contrazione dei contenuti disciplinari non solo impoverisce gli alunni, ma limita le occasioni e le opportunità - quando gli stili cognitivi, gli apparati affettivi, i tempi di attenzione sono così diversificati - di attuare il passaggio dalla quantità alla qualità, e ciò nella scuola di base è esiziale.

Tutti gli insegnamenti contribuiscono alla crescita complessiva degli alunni, competenze ed obiettivi hanno una valenza trasversale; l'autonomia prevede la gestione diretta di una quota del curricolo. Ipotizzare tuttavia che, nella scuola di base, l'acquisizione delle competenze linguistiche avvenga avulsa da forti centralità, come la classe, e da figure di riferimento, o che si ricavi da un ventaglio di attività diverse, contribuisce ad allargare e ad incrementare quella frammentarietà del sapere, quella dispersione contro cui, con risultati non esaltanti, combattiamo ogni giorno.

Alle bambine, ai bambini, alle ragazze, ai ragazzi vengono riservate scarne, fugaci espressioni di cortesia pedagogica e psicologica.

Dalla centralità dell'alunno nel processo educativo siamo passati alla centralità della disciplina. La prima opzione, quando non ha coniugato la centralità dell'alunno alla disciplina, si è resa corresponsabile di un appiattimento verso il basso dell'istruzione, talora di una abdicazione rispetto al compito di educare e di promuovere effettivamente le persone degli alunni.

La scuola che emerge dalla carta così ignara e irrispettosa dei Bambini e delle Bambine, dei Ragazzi e delle Ragazze, delinea una istituzione crudele, fucina di frustrazione, di emarginazione, di ignoranza.

 

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