Riportiamo una parte di un articolo apparso sulla rivista "Il bambino e l'acqua sporca" nel novembre del 1998, relativo ad un Progetto per l'educazione "Semillita del sol"- in Chapas. Ci è sembrato interessante e inerente uno degli obiettivi che come "Filirossi" ci siamo dati. "Ci sono altri punti di vista".
L'educazione non competitiva
Qui commenteremo un'altra testimonianza che ci mostra un ulteriore aspetto molto caratteristico del concetto di processo educativo.
Ci troviamo in un'altra comunità, anch'essa molto isolata, per un corso di formazione di venticinque giovani delegati di differenti ejidos. Il corso è di dieci settimane ed ha come fine quello di formare educatori per le rispettive colonie.
Alcuni dei partecipanti si erano alfabetizzati in precedenza nelle scuole delle comunità cui appartenevano. Altri non sanno né leggere né scrivere e non conoscono nemmeno i numeri; nelle loro colonie non ci sono scuole. Il corso si tiene in tojolabal. Tutti imparano a leggere e a scrivere nella loro lingua, materia che non si insegna in nessuna delle scuole.
Un giorno mi dicono: "Fratel Carlos, facci fare un esame". Sanno che nelle scuole si fanno esami. I corsi che facciamo non prevedono mai esami. Per un bel pezzo parliamo e dialoghiamo. Tutti siamo coscienti di ciò che sappiamo e che ci sono ancora tante cose da imparare.
Non chiedo perché vogliano fare un esame. Sottopongo loro un problema affinchè lo risolvano. Poi tutti e venticinque si avvicinano l'uno all'altro per risolvere la questione in gruppo. Parlano tra loro animatamente, rapidamente trovano la soluzione e me la dicono.
Immediatamente ci mettiamo a parlare del problema e soprattutto della maniera di focalizzarlo e risolverlo. Lo confrontiamo con gli esami, quelli che si danno nelle scuole. Lì, spiego, quando si fa un esame non si permette agli alunni di avvicinarsi gli uni agli altri, bensì ognuno siede distante dagli altri perché nessuno veda quello che scrive il compagno vicino.
Sorgono le domande. Perché si fa così?
Spiego che gli esami si fanno per vedere quali alunni sanno rispondere bene alle domande, per cui non si permette agli alunni di parlare tra di loro. Non è nemmeno permesso copiare le risposte dai compagni. Questi comportamenti sono squalificanti per gli alunni. La ragione di tutto questo metodo di allontanamento, separazione e assenza di comunicazione è che non interessa la conoscenza del gruppo bensì quella individuale di ogni alunno.
Detto in altro modo si stabilisce la competizione tra gli alunni. Quello che saprà rispondere meglio riceverà il voto più alto e verrà considerato l'alunno migliore. I voti alla fine dell'anno si baseranno, in gran parte, sugli esami dati durante il ciclo scolastico. L'alunno che si distinguerà per i migliori voti conseguiti sarà il candidato per una possibile borsa di studio o un altro tipo di premio. In ogni caso verrà considerato il miglior alunno del corso o classe. In questo modo vediamo che la competitività è una caratteristica dell'educazione offerta nelle scuole.
Mentre espongo questo tema mi interrompo spesso per chiedere cose poco chiare a spiegarsi. Non starò a ripetere le domande per non allungare troppo la testimonianza. Una cosa risulta evidente: il modo di dare gli esami nelle scuole diventa tema di un animato scambio di idee.
Ai tojolabal non convince questo metodo degli esami competitivi. Discutono di una della abitudini ben radicate nelle loro colonie: quando si presenta un problema, la gente della comunità si riunisce e tutti insieme lo si soppesa. La ragione della riunione è ovvia e il gruppo dei venticinque alunni serve da esempio rappresentativo della comunità. Gli studenti all'unanimità esprimono questa idea: venticinque teste pensano meglio di una. Così come cinquanta occhi vedono meglio di due. Per questo non li convince per niente dividere il gruppo per far sì che ognuno competa con gli altri. I problemi nella vita reale sono tali da richiedere la migliore soluzione e per trovarla è necessaria la comunità e non l'individuo isolato.
La competitività, senza alcun dubbio, caratterizza non solo l'educazione, ma tutta la cultura non indigena.
Una delle esigenze fondamentali della modernizzazione attuale è che tutti dobbiamo essere competitivi. Ci viene detto che solo così potremo "competere" sul mercato mondiale. La produzione deve essere competitiva, così come l'educazione e tutti i restanti rami della società. La competitività non è una questione che si possa mettere in discussione. Si parte con alcuni presupposti che si presentano come se fossero accettati da tutti: tutti vogliamo modernizzarci e la modernizzazione presuppone la competitività. Questa, infine, rappresenta il funzionamento del mercato, che, a sua volta, regola le interazioni sociali nel campo economico, politico, educativo.
I tojolabal, invece, vedono che la competitività distrugge la comunità, consolidata dall'intersoggettività. Di nuovo notiamo che i due tipi di società scelgono cammini contrastanti, per non dire incompatibili. Gli uni rafforzano la comunità; gli altri, gli individui competitivi, non ammettono la comunità. Le due opzioni si spiegano per le loro rispettive cosmovisioni e prospettive differenti.I difensori della società competitiva possono asserire che non sono a favore dei gruppi perché questi ostacolano lo sviluppo individuale. Dalla loro prospettiva, la società intersoggettiva è solo collettivismo che distrugge l'individuo e lo spiegarsi di tutta la sua capacità di iniziativa o creatività
L'obiezione trae molti argomenti a suo favore. È ben pensata e giustificata dal punto di vista di quelli che vedono l'impossibilità di partecipare alla società intersoggettiva.
Senza alcun dubbio, al passare da una società all'altra, qualcosa di noi deve morire. Dobbiamo scartarlo coscientemente, farlo morire; disfarci dell'attaccamento alla cosmovisione che ci ha formato dalla nascita, e questo perché le due cosmovisioni sono così differenti.
Non è possibile passare dall'una all'altra senza una trasformazione profonda. Il cambiamento da una cosmovisione all'altra, differente fino alle radici, implica cambi radicali per le persone coinvolte. Non possiamo andare di cosmovisione in cosmovisione come passiamo di quadro in quadro in una galleria o in un museo. La cosmovisione non è solo una questione visiva, ma ci tocca nella totalità fatta di corpo e cuore. Non ci trasferiamo in un'altra cosmovisione così come ci cambiamo un vestito.
Solo che dalla prospettiva intersoggettiva c'è spazio per un'ulteriore osservazione: la comunità non distrugge gli individui e nemmeno impedisce lo sviluppo delle loro capacità creative. Al contrario ci si aspetta da ogni membro individuale la partecipazione responsabile alla vita della comunità. Non ci si aspetta contributi induviduali perché poi uno possa vantarsene, ma perché ognuno si veda riflesso nel consenso della comunità.
La ragione è che, nel contesto tojolabal intersoggettivo, la comunità e gli individui non rappresentano poli opposti ma elementi complementari. Quella non può essere senza la collaborazione di questi e viceversa.
In sintesi, educandi ed educatori dicono no alla competitività. La loro finalità è quella di fomentare la comunità nel consenso e, in questo contesto, lo sviluppo degli individui, tanto donne che uomini.
Questo tipo di educazione è un'altra consistente manifestazione della comunità di eguali, cioè del lajan lajan 'aytik.