SPAZIO DONNE
PREC COPERATIVA SUADA DILBEROVIC'
A GINEVRA PARTE LA MARCIA MONDIALE DELLE DONNE
DOPO L'EUNUCO FEMMINA
HOME
SUCC
 

 

 

 

 

 

COOPERATIVA SUADA DILBEROVIC'

Durante l'ultima riunione del coordinamento ticinese per la Marcia delle donne, abbiamo avuto il gran piacere di incontrare e conoscere un gruppo di donne serbe e croate che da anni lavorano all'interno di un progetto di cooperativa nella città di Sarajevo. Quest'anno in occasione della giornata della donna, hanno prodotto delle bellissime bambole-donne fatte a mano, per poi rivenderle sia in Italia che in Svizzera durante l'8 marzo e nei futuri incontri della Marcia.
La Cooperativa Suada Dilberovic' prende il nome della prima donna vittima della guerra in Bosnia. Essa è nata come associazione nel 1993, durante la guerra e i bombardamenti su Sarajevo. Scaturita da un gruppo di donne la quale principale necessità era di avere un luogo dove poter aggregarsi e stare insieme, un luogo dove ci si poteva sostenere ed aiutarsia vicenda, dove poter trovare un momento in cui ci si poteva staccare in parte dalla realtà cruda e triste a cui una guerra può portare.
La principale occupazione del tempo era dedicata nel fare lavori a maglia tradizionali e in modo artigianale, come necessità personale visto il periodo di profonda crisi nel quale il paese era finito.
Piero Giudici, inviato di guerra in quel periodo, vedendo il lavoro svolto da queste donne, ha iniziato a portare fuori dal paese i loro lavori, instaurando in seguito una rete di commercio solidale.
Finita la guerra le donne hanno continuato ad incontrarsi e hanno fatto si che dall'idea iniziale si è potuto creare un'attività lavorativa e di guadagno. Quindi di dare a queste donne la possibilità di rendersi indipendenti dal lato economico e più autonome a livello sociale , trasformando anche il loro ruolo famigliare specialmente pensando a una società fortemente maschilista e patriarcale.
Così grazie all'aiuto di varie associazioni umanitarie e di paesi e sindaci di varie città italiane come ad esempio Bolzano, che hanno contribuito alla raccolta di vario materiale da lavoro ; nel 1996 l'associazione riesce a tramutare in cooperativa no profit e solidale ; con uno statuto proprio che assicura un'indennità per la maternità, assicurazione malattie,ecc. Ogni donna riesce a guadagnare uno stipendio fisso al mese di circa 350 DM, all'interno della cooperativa vi sono diciotto donne fisse, più altre collaboratrici esterne che lavorano quando viene richiesta una produzione più ampia ; il gruppo é formato dalle donne che vi partecipano fin dal '93 cioè che hanno dato vita a questa esperienza a donne che si sono aggregate nel trascorrere degli anni, la loro età varia dai 20 anni ai 60. Esse sono sia di etnia serba che croata, quindi vi è anche il lato non evidente della multietnicità, proprio in un paese in cui il fattore etnico è la causa di scontri e di disagi.
Tutto quello che la cooperativa produce a livello principalmente artigianale (come maglioni di lana, canotte, tappeti, centrini, ricami, tovaglie, tende,...), viene venduto all'estero cioè in Europa, perché in Bosnia ancora oggi non vi è la possibilità di instaurare una rete di mercato efficiente e duratura. Tutto il guadagno viene investito per gli stipendi e reinvestito per il funzionamento del lavoro.
Il fatto di commercializzare prodotti con paesi come l'Italia e la Svizzera ha promosso lo scambio culturale fra le varie donne che vi partecipano.
La cooperativa Suada Dilberovic' è gestita per la gran parte dalle donne che vi lavorano, in parte vengono aiutate nella contabilità e nel lato informatico. Proprio per questo da due anni a questa parte, grazie a un finanziamento ottenuto dalla comunità europea, varie giovani donne e non solo stanno partecipando a dei corsi di formazione in Europa, come diritto, economia aziendale, informatica e corsi di lingue; proprio per arrivare a possedere un'autonomia totalmente propria a livello di gestione.
I progetti futuri di questa cooperativa sono prima di tutto trovare una sede fissa e più grande, anche perché oggi hanno una casa in cui pagano molto d'affitto e in cui non hanno la sicurezza di poterci restare per altri anni ; il secondo progetto è quello di aprire una scuola di apprendistato in attività artigianali del luogo e non solo ed infine di riuscire ad allargare i contatti con l'estero per potere avere una certa sicurezza di stabilità continua nel tempo.
Per ora i punti vendita sono in Italia a Bolzano, Brescia, Trento, Trieste e in Svizzera a Lugano, tutti basati sul volontariato.

La cooperativa offre pure l'opportunità e l'ospitalità a volontarie/i che avrebbero voglia di andare a Sarajevo a farsi un'idea a riguardo e per dar loro una mano. Per ulteriori informazioni telefonare al Molino e rivolgersi al Gruppo donne.

 

Elisa

 

 

 

 

La ricorrenza dell'8 marzo, giornata dedicata alla donna, è la commemorazione di un drammatico evento: nel periodo di piena espansione industriale, persero la vita le operaie di un'industria tessile statunitense che vennero rinchiuse e bruciate nella fabbrica dove lavoravano perché stavano scioperando per ottenere condizioni pari agli uomini. Ricordiamo il reale significato di questo anniversario anche per dissociarci da una logica consumistica che abitualmente, ormai, accompagna le feste del nostro calendario.
Lo ricordiamo per suscitare un’ulteriore riflessione sulla condizione della donna, poiché se da allora l’emancipazione delle donne, almeno nella nostra società, si è evoluta portando miglioramenti rispetto alla loro condizione sociale, politica, lavorativa e di persone che in quanto tali meritano il riconoscimento della loro dignità, la situazione di molte ancora oggi è terribile, o comunque contaminata da discriminazioni a cui non possono sottrarsi. In molti paesi le donne non hanno il diritto di lavorare, di esercitare attività pubbliche, di essere curate, di ricevere un’istruzione, di vestirsi come vogliono; fin dalla nascita sono discriminate a causa del loro sesso, poiché in quasi tutte le culture i maschi sono preferiti e privilegiati, rispetto alle femmine; nel mondo sono milioni le bambine che lavorano, devono prostituirsi, vengono sfruttate come schiave o mutilate.
Se nessuno si mobilita contro queste ingiustizie, ciò significa che le donne sono ancora lontane dall’aver ottenuto sufficienti riconoscimenti a livello democratico.
In ogni caso ovunque esse sono particolarmente soggette a violenze e sfruttamento: molte, per vergogna o poca stima di sé, non reagiscono alla sottomissione; i lavori meno qualificati e per questo mal pagati, la precarietà, la flessibilità e il lavoro non remunerato, pesano in modo specifico sulle loro spalle. Troppe donne ancora si assoggettano ad un ruolo, imposto loro dalla tradizione, che si basa su un modello patriarcale che le vuole e le considera esseri inferiori.

Nell’individuare strategie per combattere queste iniquità, comunque, non possiamo che riconoscerci nella lotta al sistema capitalista ed alla logica neoliberista che questo propugna. Anche in questo caso al contrario delle apparenze, infatti, la mondializzazione non corrisponde ad un criterio d’integrazione per la donna nella società, bensì nuovamente di discriminazione, a livello lavorativo ed identitario, poiché questo orientamento accentua ulteriormente la precarietà del lavoro e l’individualismo. La donna si ritrova ad essere vittima privilegiata di queste piaghe, poiché subisce doppiamente le conseguenze delle frustrazioni da queste provocate, ossia direttamente come parte della "massa", e indirettamente in quanto moglie o compagna, madre o figlia, quindi con ulteriori responsabilità a proprio carico oppure come persona che più spesso deve cedere alla sottomissione.
In questo senso ci si trova a dover considerare il destino dell’umanità intera, ed in quest’ottica la lotta si proietta al di là dei rapporti tra uomo e donna. Ed è per questo che non si rivela necessario essere un’accesa femminista, e nemmeno essere donna, per riconoscere che è giusto lottare per dei principi che rivendicano una vita migliore per tutti e tutte.

Per questi stessi prinicipi sono uniti i più di 3000 gruppi nel mondo che aderiscono alla Marcia mondiale delle donne 2000, che ha preso il via proprio l’8 marzo.
In tutto il mondo in questa giornata le donne hanno organizzato eventi per il lancio della Marcia.

A Lugano è stato organizzato organizzato un sit-in: una manifestazione a Ginevra ha promosso la Marcia a livello europeo riunendo circa 3000 persone; il 18 marzo a Bellinzona una manifestazione, seguita da una conferenza di Cristain Marazzi e di una compagna del Coordinamento italiano per la Marcia e da una rappresentazione teatrale del Gruppo Girasole, ha invece dato il via per il Ticino.

l’infanta

 

 

 

 

Dedicato alla piccola compagna Delia Yaxché nata il 10 febbraio 2000.

Yaxché (lingua maya) è l'albero della vita e dell'universo,

i cui frutti furono i pimi ad essere mangiati dagli esseri umani.

...Con l'augurio che tu possa portare tanti nuovi e buoni frutti alla nostra lotta comune ...

Nel 1970 il movimento delle donne era denominato Women's Liberation. Quando l'appellativo libbers venne abbandonato a favore di "femministe", nessuna si rese conto che, insieme alla parola, era l'idea della liberazione che veniva meno: stavamo optando per la parità.
Le lotte di liberazione non hanno come obiettivo l'assimilazione, ma piuttosto l'affermazione della differenza: si tratta di conferire dignità e prestigio a quella differenza e di insistere su di essa come condizione di autodefinizione e di autodeterminazione.
Il movimento di liberazione delle donne non considerava le potenzialità femminili nei termini della realtà maschile: le femministe visionarie della fine degli anni Sessanta e dei primi anni Settanta sapevano bene che le donne non sarebbero mai state libere se avessero accettato di vivere la vita di uomini non liberi. Le liberazioniste girarono il mondo per capire come potesse essere la vita delle donne se fosse stata loro lasciata la possibilità di definire i propri valori, stabilire le priorità e decidere del proprio destino.
Negli ultimi trent'anni le donne hanno fatto molta strada; le nostre vite sono più nobili e più ricche di quanto non fossero un tempo, ma sono anche diabolicamente difficili. Fin dal principio le femministe si sono rese conto che le cause della sofferenza femminile possono essere raggruppate sotto il titolo di "aspettative contraddittorie". Le contraddizioni in cui si imbatte una donna non sono mai state tanto pesanti come oggi. La donna in carriera non sa se deve svolgere il proprio lavoro come lo farebbe lei o come lo farebbe un uomo? Deve impegnarsi a cambiare l'organizzazione o vi si deve sottomettere? Deve sopportare le molestie o prendere la gente a calci in culo e ricoprirla di insulti? E la maternità è un privilegio o una punizione?

Se anche fosse realizzata, l'uguaglianza sarebbe un ben misero sostituto della liberazione. La retorica dell'uguaglianza viene usata in nome di comportamenti politically correct per mascherare i colpi che le donne stanno subendo. La questione femminile è risolta. È ormai assodato che le donne possono fare tutto quello che possono fare gli uomini. Il femminismo ha raggiunto i suoi scopi, e adesso vada a farsi fottere.
Siamo tutte/i d'accordo che gli uomini e le donne debbano avere pari retribuzione a parità di lavoro, essere uguali di fronte alla legge, che le donne debbano impegnarsi nei lavori domestici non più dei loro compagni, né trascorrere con i figli più tempo di quanto ne trascorrono loro. O no?
Ma se il futuro è quello di uomini e donne che siano gli uni l'immagine calcificata delle altre in un mondo rimasto immutato,bé, allora questo futuro è un incubo.
Ogni bambina al momento del concepimento è una donna intera, che a partire dalla nascita viene progressivamente disabilitata. Il primo dovere di una donna verso se stessa è di sopravvivere a questo processo, quindi di riconoscerlo, e successivamente di adottare le misure per difendersene.
Una donna intera è una donna che non vive per impersonare le fantasie sessuali maschili, che non confida su un uomo per acquisire identità e status sociale, una donna che non è obbligata a essere bella, che può essere intelligente e che invecchiando conquista sempre maggiore autorità.
Appena scorta la donna intera, il marketing occidentale cominciò a blaterare su di lei ricorrendo alla sua vasta panoplia di effetti spettacolari, proclamando con sussiego e strombazzando ai quattro venti il vangelo altamente seduttivo della salvazione secondo la Barbie senza fianchi, senza utero e dalle tette dure. Le forti donne infilarono il loro piede muscoloso nei tacchi a spillo e impararono a trottare. Stiparono i loro utili seni nei reggipetti e invece del latte materno presero a nutrire i loro figli con formule commerciali fatte d'acqua sporca; spesero quei pochi soldi di cui disponevano in rossetti e smalti per unghie, e vennero trasformate in donne moderne.
La legislazione sulla parità non ci farà conquistare il diritto di avere fianchi larghi o gambe pelose, e sentirci a nostro agio nei nostri corpi di donne. Dopo trent'anni la femminilità è ancora obbligatoria per le donne ed è diventata facoltativa per gli uomini, mentre essere genuinamente femmine rimane un qualcosa di grottesco fino a rasentare l'oscenità.
Mentre le femministe occidentali lottavano strenuamente per conquistarsi una chiave d'accesso alle stanze da bagno del potere, lo stereotipo femminile completava la sua conquista del mondo.
Se uguaglianza significa diritto a partecipare all’equa ripartizione dei proventi della tirannide economica, ebbene questa uguaglianza è inconciliabile con la liberazione. La libertà in un mondo non libero significa esclusivamente licenza di sfruttare. Il finto rispetto del femminismo nelle nazioni industrializzate è un’utile maschera per dissimulare la mascolinizzazione del potere e la femminilizzazione della povertà (soprattutto) nelle nazioni emergenti.Ovunque vediamo donne vessate, spossate, mutilate, sole, colpevoli, derise dal successo a caratteri cubitali di pochi. La realtà della vita delle donne è fatta di lavoro, la maggior parte del quale non retribuito e, quel che è peggio, non apprezzato. Ogni giorno ci giunge notizia di vittime di abusi; ogni giorno veniamo a conoscenza di atrocità perpetrate sulla mente e sul corpo delle donne; eppure ogni giorno ci viene detto che non c’e rimasto nulla per cui combattere. Abbiamo percorso un lungo cammino, ma il sentiero si è fatto più ripido, più impervio, più pericoloso, e abbiamo subito molte perdite. Abbiamo raggiunto un punto in cui la strada sembra essere senza sbocchi. I vecchi nemici, invitti, hanno escogitato nuove strategie, nuovi assalitori stanno tendendo un’imboscata.

Non abbiamo altra scelta che voltarci e combattere!!

 

Scintilla

 

Brani liberamente tratti da "La donna intera" di Germaine Greer, testo consigliatissimo a tutte le donne e gli uomini che credono nella vera giustizia e libertà.