Perché Haider viene
in Italia?
Indaghiamo
le ragioni delle sue frequenti visite in Italia, la natura del suo successo.
Un'analisi sul rapporto tra classi al potere e nazione dominante. Un confronto
con il fenomeno Lega Nord. Una riflessione sul ruolo finora mancato della sinistra
e sul senso della solidarietà con gli immigrati. Di Michele Corsi. Ottobre
2000.
Haider ci viene spesso a trovare. Ha compiuto le sue sortite di luglio a Jesolo (Venezia, quando è stato fatto cittadino onorario dal sindaco ex leghista Renato Martin), a Udine, quindi a Venezia. Ha provocato ogni volta manifestazioni dei centri sociali e del PRC ed anche, in agosto, un intervento del Ministro degli Esteri Dini presso il governo austriaco. L'ultima visita, a sorpresa questa volta, è avvenuta a Trieste a settembre ed ha messo in imbarazzo la giunta di centrosinistra.
Come si spiega questo interesse di Haider per l'Italia? Qual è il fine che si propone? Per poter rispondere a questa domanda dobbiamo compiere qualche passo indietro, per cercare di comprendere chi è Haider.
Haider è fascista?
Haider, capo incontrastato, anche se non più formalmente presidente, del FPÖ austriaco (26,9% alle ultime elezioni del 1999), è il rappresentante di più largo successo di una nuova estrema destra europea che ha fatto la sua prima apparizione in Francia con il Front National di Le Pen, e ha visto poi lo sviluppo del Vlaams Blok fiammingo, del DFP danese, del FRPN norvegese, dell'UDC svizzera, della Lega Nord. Tutti partiti che hanno raggiunto consistenti risultati elettorali (tra il 5% e il 15%) in questi anni. Rimandiamo ad altri materiali che stiamo elaborando per REDS un'analisi più scientifica di queste formazioni, qui ci limitiamo all'essenziale.
La natura della nuova destra europea pone a noi marxisti non poche domande e qualche scossa ad antiche certezze. Per esempio siamo abituati ad interpretare il fascismo ed il nazismo facendo uso delle categorie di "classe" e dunque a interpretarli, a seconda degli autori, dei periodi o delle tradizioni di pensiero, come prodotti del "capitalismo monopolista" o della reazione della "piccola borghesia". Eppure oggi questa estrema destra non può essere considerata come una creazione del grande capitale, dato che i governi europei, certo ben in sintonia con le classi dominanti, si sono coalizzati contro il neogoverno FPÖ-ÖVP decretando persino delle sanzioni. Quanto alla piccola borghesia, oggi nei Paesi industrialmente avanzati può essere incolpata di ben poco: è una classe in declino costante e già ridotta in alcuni Paesi (USA e Gran Bretagna) al di sotto del 10% della popolazione economicamente attiva, dato che si allarga a macchia d'olio il lavoro dipendente, anche nella sua variante di lavoro "parasubordinato". I lavoratori autonomi e gli artigiani insomma hanno se non i mesi, gli anni contati. Inoltre vari studi testimoniano di come questa destra goda di grande favore nella classe operaia: per rimanere al solo FPÖ, questo è passato da un 4% di voto operaio nel 1979 al 47% del 1999 (quando la socialdemocrazia raggranella il 35%).
Il problema sta proprio nell'utilizzare ai fini dell'analisi una strumentazione teorica che considera solo le classi sociali come attori dei conflitti sociali e politici. Come REDS noi proponiamo invece chiavi di lettura più complesse che tengono conto del fatto che esistono più piani di conflitto sociale, ognuno dei quali caratterizzato da leggi proprie e attori specifici. Uno di questi piani è il conflitto di genere che contrappone da decine di millenni uomini e donne. Un altro piano è la lotta tra le nazioni, che produce tra l'altro "equilibri di dominazione" tra nazionalità dominanti e nazionalità oppresse. Abbiamo già visto in un altro articolo di REDS (E' vero che il capitalismo è xenofobo?) come solo questa chiave di lettura ci possa permettere di comprendere la natura del "razzismo popolare" nei confronti degli immigrati ed anche di individuare gli strumenti che ci consentano di affrontarlo per sconfiggerlo.
Anche in Italia oltre al conflitto di classe esiste un conflitto che si colloca su un altro piano, che spesso si sovrappone e a volte si interseca con quello di classe: quello della lotta tra la nazionalità dominante italiana e le nazioni straniere che stanno immigrando in Italia. Questo flusso è favorito dagli stessi capitalisti che hanno interesse alla disponibilità di manodopera, ma si scontra con la resistenza degli "italiani" che non intendono rinunciare ai propri privilegi. Per una argomentazione esaustiva rimandiamo all'articolo su citato. La percezione soggettiva che hanno dell'immigrazione gli italiani, e più in generale gli europei, e più in generale ancora le nazioni dominanti, è quella dell'"invasione". Dato che, in quanto nazione dominante, considerano il territorio come cosa propria, il vederlo occupato da altri suscita astio, timori, e poi razzismo, spinta all'autodifesa, ecc. E' un sentimento primordiale, nel senso che è purtroppo assolutamente tipico di tutte le società di qualsiasi periodo della storia dell'umanità, anche se noi comunisti lottiamo, o dovremmo lottare, perché non vi sia più. In Austria il tasso di intolleranza nei confronti degli stranieri è andato aumentando con l'aumento del numero di immigrati, specie profughi del'Est. Un sondaggio del 1990 (riportato da Piero Ignazi "L'estrema destra in Europa") rilevava come il 21% degli austriaci dovesse considerarsi "fortemente xenofobo". In Austria gli immigrati costituiscono il 9% della popolazione e da noi il 2%.
Il nazismo era una corrente politica espressione non di una classe ma di una nazione, la nazione dominante tedesca. Non stiamo affermando che esso rappresentava le idee di tutti i tedeschi. Dire ad esempio che un partito di sinistra è "espressione politica della classe lavoratrice", non significa affermare che in quel partito si riconosce la totalità dei lavoratori, ma che soggettivamente quel partito si ripropone di difendere gli interessi di quella certa classe sociale, lo affermiamo quindi anche quando quel determinato partito prende solo il 5% (come il PRC). Se noi considerassimo le teorie di Hitler una sorta di "trucco" usato dalla borghesia tedesca per confondere gli operai, del nazismo capiremmo ben poco. Non capiremmo perché la borghesia tedesca, pur traendo il massimo profitto dalla situazione, non fu mai nazista, anche se sperò ad un certo punto di servirsi del nazismo per liberarsi di un movimento operaio troppo organizzato. Non capiremmo perché il nazismo dovendo scegliere se difendere gli interessi del grande capitale tedesco o perseguire i propri progetti etnici, scelse decisamente questi ultimi: i nazisti arrivarono a farsi distruggere l'intero apparato industriale, ma sino all'ultimo giorno fecero strage di ebrei. Il progetto dei nazisti era innanzitutto un progetto di dominazione etnica, un progetto di dominazione di un intero popolo sugli altri. Quando pianificarono di liberare tutto l'Est Europa dagli ebrei e dagli slavi sognavano di ripopolarlo con contadini tedeschi; un progetto che ha assai poco a che vedere con la mentalità di un tipico capitalista, al quale non verrebbe mai in mente di spopolare una regione eliminando così un intero mercato e milioni di potenziali consumatori.
Haider, Bossi, Blocher, Le Pen, appartengono alla stessa famiglia politica che ha nel nazismo la sua punta estrema. Tutti loro, nelle condizioni date, si propongono di difendere gli interessi della propria nazione in quanto nazione dominante, operando perché lo diventi sempre di più, anche a scapito della volontà e degli interessi della classe dominante locale. Sono nazisti moderni, nel senso che hanno adeguato ai nuovi tempi la stessa ideologia, così come i liberali di oggi non si sognerebbero mai, a differenza di quelli di ieri, di dare battaglia per limitare il diritto di voto ai soli cittadini provvisti di alti redditi. Certo non fanno uso massiccio della violenza, ma questo è dovuto semplicemente ai rapporti di forza, alle caratteristiche del periodo, ecc. Ci vuole molto poco per mutarle, abbiamo visto con che rapidità ad esempio nella ex Jugoslavia quadri dell'ex partito comunista si sono trasformati in fascisti nazionalisti autori di massacri etnici tra i peggiori della storia del dopoguerra. Del resto dobbiamo ricordarci che gli stessi nazisti cominciarono le uccisioni di massa degli ebrei solo dopo aver invaso la Russia, mentre sino a quel momento progettavano una pulizia etnica fatta di incentivi all'emigrazione, di trasporto forzato in altri Paesi (Madagascar), ecc. Se i nazionalisti di destra possono raggiungere i loro fini con gli strumenti dell'economia e dello stato faranno ricorso a questi. Non è un caso che la destra più violentista è quella che non può sperare, a causa del proprio minoritarismo, di influire sullo stato (Germania, Gran Bretagna). Si potrebbe obiettare che la nuova destra nazionalista possiede un tasso piuttosto basso di antisemitismo (Haider afferma: "gli ebrei d'Austria? Nessun problema: sono austriaci") rispetto ai nazisti di ieri ed anche ai gruppuscoli neonazisti di oggi. Ma anche questo è un adeguamento ai nuovi tempi. Gli ebrei in Europa non ci sono più, mentre prima erano milioni. Hitler doveva "purificare" la nazione e i territori che immaginava le appartenessero di diritto da 365.000 ebrei tedeschi (oggi con una popolazione del 50% più numerosa ve ne sono 63.000), 180.000 austriaci (8.000 oggi, quasi tutti a Vienna), 3.275.000 ebrei polacchi (oggi ve ne sono 10.000), e così via. Nell'epoca attuale il "pericolo" è quello degli immigrati. Per la nuova estrema destra gli immigrati sono i nuovi ebrei. Come i nazisti nei confronti degli ebrei, la nuova estrema destra incolpa gli immigrati di ogni male, progetta di rispedirli indietro, si lamenta della loro prolificità, ecc. La nuova estrema destra è liberale (ma sempre sino ad un certo punto: nei programmi di questi partiti si accentuano sempre più le caratteristiche "sociali") per il solo fatto che il liberalismo in economia si è mostrato una buona formula per proiettare le fortune del proprio imperialismo nel mondo, ma diverrebbe statalista in pochi minuti, se arrivasse alla conclusione che solo in tal modo si garantirebbe il prevalere della propria nazione sulle altre.
Perché le sanzioni dell'Europa?
Solo questa chiave di lettura (la nuova estrema destra come espressione della nazione dominante e non della classe dominante) ci permette di comprendere perché questa corrente politica ispiri la massima diffidenza nella classe di potere europea, pur in presenza delle professioni di fede neoliberale dei suoi protagonisti. Dopo aver fallito le pressioni perché nascesse il governo nero-blu, l'Unione Europea ha deciso il 31 gennaio una serie di sanzioni diplomatiche nei confronti dell'Austria.
Questa reazione all'ascesa di Haider è stata il frutto della paura della classe dominante europea ad affidare i propri interessi a rappresentanze politiche che non rispondono direttamente ad essa ma alla "nazione". Naturalmente quando la classe dominante di un certo Paese non ne può fare a meno, utilizza o cerca di utilizzare ai propri fini anche queste forze, così come il capitale italiano ha scelto di dare il via libera al fascismo, anche se da questo non si sentiva pienamente rappresentato. Sintomatico il diverso atteggiamento di Chirac (a capo del partito gollista che ha la piena fiducia del capitale francese) e di Schüssel (a capo dei popolari austriaci, partito di fiducia del capitale austriaco). Chirac ha espulso dal suo partito chi promuoveva alleanze locali con Le Pen; forse perché è un sincero antifascista ed ha a cuore gli interessi degli immigrati? Ma andiamo! Si tratta di una concorrenza, sul piano della rappresentanza, che la classe dominante non vuole, perché sa che i nazionalisti di destra, che non rispondono direttamente al capitale, potrebbero prendere strade non controllabili. E' accaduto a suo tempo ad Hitler che ha portato alla rovina la classe dominante tedesca; a Franco, che ha costretto ad una stagnazione economica quarantennale la Spagna, ecc. Per Schüssel invece il problema si pone in termini diversi: in questo caso la borghesia non aveva alternative, e i popolari ci hanno provato per anni a "fare come Chirac" (ricordiamoci che i primi ad inaugurare una alleanza di governo con l'FPÖ furono i socialdemocratici nel 1983), ma i risultati elettorali dei liberali li hanno spinti all'accordo, convinti di costituire una garanzia per la borghesia. Schüssel e con lui la classe dominante austriaca punta al controllo delle spinte nazionaliste di Haider, ma assicurandosi da questo il sostegno alle politiche neoliberali. Del resto così sta agendo anche Berlusconi nei confronti di Bossi.
Le sanzioni dunque sono il frutto della lotta tra rappresentanze politiche della borghesia e rappresentanze delle nazioni dominanti, quindi tra liberalismo e nazionalismo di destra e servono alle prime a lanciare il chiaro avvertimento che, per quanto le seconde possano guadagnare consensi, dovranno comunque sempre collocarsi in una posizione subalterna rispetto ai progetti del grande capitale.
La questione Europa
E qui si gioca la partita decisiva. Le varie classi dominanti europee (anche quella inglese, che per questo ha preferito Blair ai troppo antieuropeisti conservatori) sono arrivate da tempo alla conclusione che, per battere il capitale statunitense e asiatico, si deve dar vita ad un imperialismo unificato europeo. Divergono sui tempi e sui modi, ma sulla sostanza non c'è discussione. Le destre nazionaliste però non rispondono affatto al grande capitale, ma alle "nazioni" dominanti, e dunque sono decisamente contro un destino che le vedrebbe sparire. Una Europa unita, senza più confini, con istituzioni forti ed un capitale potente e unificato, vedrebbe le varie nazioni assolutamente marginalizzate, specie se di entità demografica trascurabile. E' il caso dell'Austria con i suoi 8 milioni di abitanti, che sono nulla contro i 350 milioni di cittadini UE. Haider ha per questo promosso innumerevoli iniziative contro l'entrata dell'Austria nella UE ed oggi vi è dentro solo per fare la voce grossa, assicurare comunque peso all'Austria e per impedire un allargamento ad altri Paesi dell'Est. Un allargamento che aumenterebbe a dismisura la diluizione nazionale austriaca, anche se sostenuto e auspicato da tutte le classi dominanti europee, alle quali delle "nazioni" importa pochissimo. Alle classi che contano importa invece dei propri stati, che è cosa diversa. Ogni borghesia infatti sa che nello scontro con le altre deve fare affidamento su tutti gli strumenti disponibili ed uno tra questi è il proprio stato. E' disposta a farne a meno solo se è certa che anche gli altri facciano altrettanto. Questo, con una semplificazione necessaria perché non è il tema dell'articolo, è il succo della prudenza con cui gli stati europei procedono sulla strada della loro unificazione.
Ma di quale nazione dominante è espressione Haider?
I confini di una nazione non costituiscono un dato fisso e immutabile nel tempo. Ad esempio la Lega Nord conta sulla formazione di una nazionalità padana di cui a tuttora non vi è alcuna traccia. Del resto non sono possibili definizioni "oggettive" di quel che è una nazione. La nazione si autodefinisce. La formazione culturale di Haider è pangermanista, una corrente di pensiero alla quale apparteneva anche Hitler (che era austriaco) e che non riconosce l'esistenza di una nazione austriaca separata da quella tedesca. Ma (come abbiamo visto in La maledizione dei socialdemocratici) le formazioni politiche sono in qualche modo obbligate a rispondere ad una domanda sociale, che, se non viene soddisfatta, produce sconfitte a catena. Così la trasformazione del FPÖ in un partito liberale "vero" attuato nella prima metà degli anni ottanta sotto la direzione di Steager, ha prodotto una reazione che è la vittoria di Haider al congresso del 1986 e che ha "soddisfatto" una domanda in rapida crescita, la domanda che veniva dalla nazione dominante austriaca. In questi ultimi decenni abbiamo assistito alla crescita di una identità austriaca separata rispetto a quella tedesca. In un sondaggio compiuto negli anni a più riprese (e riportato nel libro di Ignazi più sopra citato), risulta che alla domanda "L"Austria è una nazione?" rispondeva affermativamente sì il 47% nel 1964, che divenivano 74% nel 1990 (quando solo il 5% negava decisamente che l'Austria fosse una nazione). Dunque Haider ha ridimensionato il pangermanesimo e lo ha eliminato dalla propaganda, poiché altrimenti avrebbe innestato un conflitto insanabile tra lui e la domanda nazionale austriaca e avrebbe regalato la difesa dell'identità nazionale ad altri soggetti. Per questo il suo nazionalismo austriaco, pur colorato da venature regionaliste (Carinzia, ecc.), appare senza ombre.
Dunque: perché Haider viene in Italia?
L'Austria è uno stato geograficamente chiuso e come nazione è destinata a sparire in una Europa unificata. Ma oggi l'Austria è un Paese imperialista di media grandezza, ed Haider, espressione politica della nazionalità dominante austriaca, fa il suo mestiere cercando di manovrare nello scacchiere geopolitico per assicurare alla propria nazione la continuità di status di Paese imperialista dominante e separato. E' questo anche un interesse della borghesia austriaca? Sino ad un certo punto. La borghesia austriaca ha, al pari delle altre borghesie europee, la necessità di negoziare alle migliori condizioni la scomparsa di uno specifico capitale austriaco, ma se l'Austria fosse popolata da un sacco di musulmani spendaccioni invece che da avari montanari, i capitalisti austriaci si inginocchierebbero tre volte al giorno verso la Mecca. Una diluizione dell'Austria in una grande potenza imperialista europea, da realizzarsi a determinate condizioni, vedrebbe il capitale austriaco grandemente favorevole, dato che è abbastanza pragmatico da comprendere che le sue possibilità di sopravvivenza autonoma in un'epoca di scontro tra colossi quali USA, Giappone, Cina e Europa unificata sono pari ad uno zero assoluto. Ma ciò si scontra con chi difende la "nazione " austriaca, ed è una coalizione trasversale sul piano di classe. Comprende il negoziante che non vuole il turco con una bottega all'angolo con merci a prezzi stracciati, l'operaio che vede giungere forza lavoro disponibile a lavorare a salari abbassati, l'impiegato che nella carriera si vede passare davanti uno straniero, o la famiglia che deve aspettare la casa popolare perché la devono dare prima a dei bosniaci. Da questa composita "nazione", nella quale certo vi sono anche borghesi che non possono sperare di sedersi al banchetto del "grande" capitale europeo, viene una domanda di rinverdire gli antichi allori di un "Austria potenza". In fin dei conti solo fino a ottant'anni fa l'Austria era tra le prime potenze al mondo.
I viaggi in Italia di Haider dunque hanno per scopo quello di preparare il terreno ad una influenza geopolitica diretta dell'Austria su determinati territori italiani. Non è certo un caso se Haider visita il nordest e non, per esempio, Alessandria, o Firenze. Veneto, Friuli, Trentino sono stati sotto dominazione austriaca per decenni, e alcuni territori sino ad ottanta anni fa. Nell'ottica imperiale austriaca si tratta di terre che fanno parte della propria possibile sfera d'influenza. Il progetto è meno pazzesco di quanto si possa immaginare. Conta sul labile sentimento nazionale degli italiani, particolarmente labile nel Nordest. Conta su un ricordo "mitico" di buon governo asburgico, diffuso tra i settori conservatori di quelle regioni. Conta sulla debolezza della Lega Nord, percepita, non a torto, come "Lega Lombarda". Conta su un insieme di interessi economici che hanno trovato sbocco anche in accordi formali (euregio) tra regioni confinanti (trasfrontaliere). Per questo Haider non esita a criticare il centrodestra italiano pur sperando che questo vinca. Lo critica perché persegue un progetto concorrente (per quanto sia, di certo il Polo e Bossi non hanno intenzione di veder finire un pezzo dell'Italia sotto influenza austriaca), ma spera che vinca perché ciò comporterebbe un ambiente più favorevole (per via di regioni più autonomizzate dal centro) ai suoi disegni. E' un progetto che lavora sul medio periodo e che per ora deve basarsi su un contagio di mentalità che ha al suo centro la lotta agli immigrati e la lotta ad un'Europa centralizzata. Ecco cosa dichiara al Corriere della Sera del 13 agosto: "In Friuli-Venezia-Giulia, in Veneto, in Lombardia [cioè gli ex territori asburgici, n.d.r.] ci sono molte persone che appoggiano le nostre idee e la collaborazione transfrontaliera lo dimostra". Le idee: "la difesa dell'identità nazionale, l'indipendenza da influenze esterne, la resistenza all'invadenza dei burocrati di Bruxelles". Aggiunge che non è molto importante che gli si continuino a dare cittadinanze onorarie perché gli "preme di più la circolazione delle idee". Questo è per lui un compito fondamentale in un Paese come l'Italia che, tra quelli UE, dimostra da sempre il più forte attaccamento all'idea di Europa Unita. Conoscendo l'origine di questa propensione (e cioè la radicale sfiducia degli italiani nelle istituzioni nazionali), sa che con il tempo potrà modificarsi.
Che fare?
Haider è accompagnato nelle sue escursioni italiane da varie contestazioni. Va bene, male non fanno. Poniamo però una domanda. Haider è l'espressione della nazione dominante austriaca. Perché queste manifestazioni contro Haider quando contro Bossi, che è della stessa pasta, non ve n'è nemmeno una? L'unica differenza tra Haider e Bossi è che il secondo si trova nella situazione svantaggiata di non poter far conto su un diffuso sentimento nazionale "nordico". La popolazione che nel Norditalia aderisce alla Lega lo fa spesso non per ragioni "etniche" ma economiche, o di protesta antisistema, e i tentativi di costruire una identità nazionale separata non stanno dando alcun frutto. Agli italiani non sono bastati 150 anni per costruirsi una solida identità di nazione dominante, figuriamoci come ci potrebbe riuscire Bossi dal nulla e senza poter contare su un sostrato culturale d'appoggio (lingua, religione specifica, tradizioni, ecc.). Però ci prova, e dato che l'identità che vuole costruire è dura da individuare, lo fa contro gli altri, cioè contro gli immigrati. Come mai la sinistra, sia quella istituzionale sia quella antagonista, ha lasciato correre indisturbati i vergognosi banchetti di raccolte firme contro gli immigrati? Eppure una contestazione puntuale e senza tregua avrebbe ben ridimensionato le fortune dei leghisti. Vi sono nazionalismi di destra che sono stati soffocati sul nascere da una potente risposta democratica e antirazzista: vedi il caso dell'Olanda e della Gran Bretagna. La contestazione ai propri razzisti è di una estrema utilità: i nazionalisti di destra infatti fanno riferimento ad interessi ben concreti (come abbiamo avuto modo di spiegare in Perché i lavoratori italiani devono solidarizzare con gli immigrati), il nazionalismo di destra cioè si sforza di opporre al piano della lotta di classe quello della lotta tra le nazioni, facendo appello agli interessi della nazione dominante. E' ciò che da un decennio cerca di portare avanti Bossi (e ora ci sta riuscendo) dichiarando che lo scontro non è tra destra e sinistra ma tra il Nord e Roma, che è una maniera di dire che "quel che conta non è la lotta di classe, ma la lotta etnica". Noi di REDS siamo accesi difensori delle nazioni oppresse, ed anzi polemizziamo con quei militanti di sinistra che si oppongono ad una alleanza con queste. Ma allo stesso tempo diciamo leninianamente che siamo tanto più a favore delle nazioni oppresse quanto più siamo contro quelle dominanti, a cominciare dalla nostra, vogliamo dunque allearci con il nazionalismo delle nazioni oppresse (curdi, baschi, palestinesi, ecc.) ma siamo acerrimi nemici del nazionalismo delle nazioni che opprimono (italiani, francesi, statunitensi, serbi, ecc.). Il problema è che da parte di un lavoratore, quella di passare dal piano della lotta di classe, dove si trova dalla parte dei perdenti, a quella nazionale, dove si trova dalla parte dei forti, è una tentazione quasi irresistibile, specie in tempi di riflusso. A meno che noi militanti di sinistra, con l'azione, la contestazione e la propaganda non gli mostriamo chiaramente che esiste sempre una alternativa. Che è non solo più giusto, ma anche più conveniente scegliere la propria identità di lavoratore e non quella di italiano.
La natura del partito di Bossi è assolutamente identica a quella di Haider. Il suo antifascismo è di pura facciata, è antifascista per la semplice ragione che il fascismo fu accentratore e romanocentrico, non certo perché era antidemocratico o antioperaio. Il problema è che per una sinistra come la nostra, divisa storicamente tra movimentismo estemporaneo ed elefantiache e passive burocrazie operaie, rimboccarsi le maniche e cercare di essere presenti nei bastioni del leghismo (la distesa operaia che va da Milano fino a Vicenza), organizzarci insieme agli immigrati, radicarci nella nostra classe invece di stare chiusi nelle nostre sedi, comporta un cambiamento di mentalità, ritmi, priorità, di cui sino ad ora non siamo stati capaci. Il risultato è che il nostro Paese è l'unico in cui non vi è una organizzazione antirazzista di massa, l'unico che lascia raccogliere impunemente le firme contro i fratelli immigrati, l'unico che è convinto che la classe operaia non ci sia più, quando invece esiste, eccome, ed ha subito uno straordinario e radicale ricambio generazionale. Haider e Bossi lo sanno che gli operai esistono, ed infatti conquistano, tra questi, una barca di voti.
Nessuna solidarietà dunque alla sacrosanta lotta degli antifascisti austriaci? Ci mancherebbe. Appoggiamo ad esempio con forza ed invitiamo ad aderire all'Appello contro il razzismo e i nuovi fascismi etnici per rafforzare la grande manifestazione internazionale per l'Europa della solidarietà e della giustizia sociale che avrà luogo il 28 ottobre a Klagenfurt in Austria. Ma restiamo convinti che la solidarietà migliore la faremo quando con orgoglio potremo affermare: non abbiamo lasciato passare nemmeno un razzista italiano senza un fischio, non abbiamo lasciato nella solitudine nemmeno un fratello immigrato, sulla nostra terra.
scheda: L'estrema destra
in Austria