Dopo l'assemblea di Genova.
Le nostre considerazioni sulle giornate di Genova e sulle prospettive del movimento. REDS. Settembre 2002.


 

Nei giorni 19-20-21 luglio il movimento no-global si è rivisto a Genova per discutere delle prospettive, confrontarsi, ritrovarsi. L'appuntamento è riuscito: la manifestazione del 20 è stata partecipata, i gruppi di lavoro e l'assemblea generale hanno visto un dibattito vivace e dai contorni chiari. Ma è risultato anche altrettanto evidente che i nodi del movimento ancora non sono stati sciolti.

L'evento
La partecipazione alla manifestazione del 20 è stata significativa. Non le cifre che sono circolate (chi ha detto cinquanta, chi centomila), ma quel che è certo è che si trattava di un numero tale da essere considerato più che soddisfacente dai partecipanti, ed è la cosa più importante. La Rete Lilliput ha organizzato la settimana precedente una presenza a Genova che è risultata abbastanza fallimentare quanto risonanza e numero di partecipanti: molti dei suoi attivisti che erano a Genova un anno fa, hanno partecipato in realtà alle iniziative "di movimento". Cofferati era presente alla commemorazione di Carlo Giuliani, e pure Violante che però è stato fischiato dalla folla. Più tardi in conferenza stampa non si è lagnato troppo della cosa affermando anzi che "se l'aspettava" e che "gli errori politici si pagano". All'assemblea del 21 hanno partecipato circa un migliaio di persone, non sempre presenti contemporaneamente. Il dibattito ha visto un confronto a tratti teso, ma mai aspro, tra le varie componenti. Qui di seguito le nostre considerazioni.

La questione della violenza
La Rete Lilliput non ha ufficialmente partecipato né alla manifestazione né all'assemblea. In realtà sia all'una che all'altra, come abbiamo scritto, non solo erano presenti molti lillipuziani, ma anche "in forma ufficiale" diversi nodi. Quello di Genova, ad esempio. Alex Zanotelli, comunque, padre spirituale del movimento, ha mandato una lettera rivolta all'assemblea e letta in quella sede dove, tra le altre cose, chiedeva al movimento di fare autocritica "riguardo alla violenza". La lettera è stata ascoltata con rispetto, ma i suoi toni hanno infastidito i più e messo in a disagio i lillipuziani presenti.

Le reazioni venute da tutte le componenti ci sono sembrate estrememnte ragionevoli, e le condividiamo. E' stato ribadito che il rapporto con la Rete Lilliput interessa, perché essa rappresenta "un lavoro", ma che la questione della violenza è totalmente "fuori" rispetto ai temi che agitano il movimento. Non vi è letteralmente alcuna componente interna al movimento che predichi o pratichi modalità violente di proteste sociale. Pretendere invece che tutte le componenti aderiscano alla nonviolenza strategica vuol dire mancare di rispetto verso le identità di storie e tradizioni diverse che in ogni caso non dovrebbero impedire accordi ed alleanze.

L'intervento di Zanotelli in effetti era totalmente avulso dai veri problemi che ha il movimento, e che non sono poi tanto diversi da quelli della Rete Lilliput. E cercare di alimentare polemiche su questioni inesistenti ha l'involontario effetto di distogliere l'attenzione dai nodi irrisolti che, come vedremo, non sono pochi. In Lilliput è prevalsa l'anima più settaria, tesa a separarsi in maniera plateale dal movimento, alimentando diffidenze nei suoi confronti. E ciò paradossalmente proprio quando i contenuti di Lilliput (non violenza, consumo critico, boicottaggio, solidarietà fattiva al Terzo Mondo, ecc.) conoscono, nell'assenza di culture "pratiche" alternative, un crescente successo nel movimento. Far credere che in un movimento nel quale dentro vi è la moderatissima CGIL e l'ancor più moderata ARCI, abbia problemi con la violenza, è ridicolo, ed appare a tutti come una giutificazione forzosa della propria voglia di separatezza. Questo atteggiamento non condiviso comunque da una bella fetta base di Lilliput, che però in quest'ultimo anno, insieme al resto del movimento, si è in parte passivizzata.

Social Forum Europeo
A novembre avrà luogo a Firenze il Social Forum Europeo e la questione ha calamitato gli interessi di gran parte degli intervenuti. Il settore ATTAC-Social Forum, prende questo appuntamento molto sul serio, partecipando alle istanze europee che preparano l'incontro. Il settore dei disobbedienti ha criticato il fatto che vi siano "quindici persone" che decidono tutto e chiede che venga lasciata la possibilità di promuovere azioni dimostrative a Firenze per dar voce alle vittime del neoliberismo. Il proposito ha suscitato fastidio in settori dell'antogonismo fiorentino vicini un po' ai cobas e un po' al prc che ci hanno tenuto a precisare che Firenze non deve aspettare le azioni dei disobbedienti per vedere l'opposizione sociale al neoliberismo: esistono già centri sociali, sindacati combattivi, case occupate, ecc. Tutti hanno espresso l'auspicio che il Forum sia aperto e la preoccupazione che ci sia meno burocratizzazione possibile.

Le critiche e le preoccupazioni manifestate in molti interventi riguardo ad una gestione verticistica della preparazione dell'evento sono a nostro avviso da prendere molto sul serio. Abbiamo altre volte criticato le modalità di partecipazione ad eventi simili (compresi Porto Alegre I e II) dove apparentemente tutto è "aperto" e "democratico" ma poi nei fatti parlano gli esperti, i guru, e i leader dando vita a uno spettacolo intellettuale dove lamassa deve far da pubblico. Ma non è stata formulata alcuna proposta concreta di gestione alternativa dell'evento. Ci ha lasciato perplessi che a sparare contro i 15 che decidono tutto (critica sulla quale potremmo anche concordare) siano stati a loro volta dei leader. Perché nessuna componente del movimento è esente, nei suoi meccanismi interni di funzionamento, da leaderismo e dirigismo, pur dichiarandosi tutti ferocemente contrari a questi fenomeni.

La questione dei DS
Stimolati dall'intervento di Heidi Giuliani, la gran parte degli interventi ha sostenuto che astrattamente l'avvicinamento dei DS al movimento è positivo, ma che le ragioni di diffidenza superano i motivi di soddisfazione. Molti hanno sottolineato la necessità di una previa autocritica, altri i pericoli di strumentalizzazione.

L'atteggiamento nei confronti dei DS emerso dalla maggior parte degli interventi ci è parso corretto: misurare l'adesione sulla base di discriminanti riguardanti temi fondamentali: immigrati, guerra, neoliberismo... La questione DS comunque non è di secondaria importanza: se il problema fosse l'adesione di personaggi quali Violante o D'Alema, francamente non varrebbe la pena occuparse. Ma vi è una fetta del movimento che vota partiti dell'Ulivo. Magari non i partecipanti all'assemblea di Genova, ma, come testimoniato dall'indagine di Della Porta, tra i partecipanti alle manifestazioni di movimento. Eventuali divieti organizzativi ai DS dunque finirebbero per pesare negativamente presso la massa di "cani sciolti" che costituiscono il grosso del movimento e che, non appartenendo a componenti organizzate, sarebbero sfavorevoltemente colpiti da un rafforzarsi del settarismo.

Il movimento sindacale
Tutti gli interventi che hanno affrontato il tema hanno considerato che lo sciopero generale è un appuntamento centrale per tutto il movimento. I disobbedienti hanno posto l'accento sulla necessità di ampliarlo, portandolo a 24 ore, e ad allargarne la base sociale anche al precariato. Il settore cobas ha posto come condizione per manifestazioni unitarie una gestione "paritaria".

Come abbiamo già sottolineato in un altro articolo (La crisi del movimento antiglobal) quella sindacale è la questione centrale del movimento e la ragione di fondo della sua attuale crisi. La scena è stata rubata da un altro soggetto, il movimento sindacale, e la qualità e i tempi della costruzione di una relazione con esso determinerà anche i destini del movimento antiglobal. La coscienza di questo aspetto cruciale all'interno dell'assemblea ci è parsa debolissima e ravvisabile solo in qualche intervento: per la maggioranza la questione nettamente più importante è lo svolgimento del Social Forum Europeo. E' positivo comunque che lo sciopero generale, con la scadenza che la CGIL deciderà, sia stato adottato dall'assemblea, ma speriamo fortemente che non prevalga la logica emersa dai leader dei cobas: quella cioè di una adesione condizionata all'accettazione da parte della CGIL di "pari condizioni" con gli stessi cobas. Significa nei fatti già da ora prevedere la separazione tra le manifestazioni noglobal/sindacalismo di base da un lato e CGIL dall'altra.

La questione delle "pari condizioni" è sbagliata per due ragioni fondamentali. La prima: il movimento antiglobal ha al massimo mobilitato 200.000 persone a Genova un anno fa. La CGIL 2 milioni. Le cifre sono quelle. Se prendiamo per buone quelle fornite dagli interessati i numeri diventano 300.000 e 3 milioni. La proporzione non cambia. Non c'è parità. Parliamo di una struttura che ha 5 milioni di iscritti contro un agglomerato di sindacati che nel suo insieme non supera i 50.000 iscritti. Del resto abbiamo varie volte assistito a scenette in cui a comizi di sindacati di base che si ritenevano "grossi" non venivano fatti parlare esponenti di sindacati di base che si diceva "non contano un cazzo" (tipo LAB e Unicobas). Ci piace tutto questo? No, se fosse in nostro potere elimineremmo il problema alla radice: abolendo il comizio, modalità passivizzante e che non serve a nulla se non a rafforzare la tendenza al dirigismo. E se proprio non se ne potesse fare a meno non chiederemmo certo che a parlare fossero dei leaderini che andrebbero ad aggiungersi ai leaderoni che già ci sono: che parlino i delegati di base delle grandi fabbriche ad esempio. E i leader se ne stiano un po' zitti, per una volta.

Vi è poi una ragione più di sostanza. Perché si aderisce allo sciopero CGIL: perché ci piacciono i suoi dirigenti, o perché ci interessa la sua base? Se è la base quella che ci interessa la priorità dovrebbe essere data all'incontro con quella massa di persone. Quindi la ragione per cui si deve manifestare insieme risiede nell'importanza di far incontrare insieme, fisicamente, questi due pezzi di popolo. Come si fa a porre invece come condizione a questa enorme possibilità che ci sia un leader di un sindacato di base che salga sul palco insieme alla burocrazia CGIL?

La questione organizzativa
Come si deve organizzare questo movimento? Si sono confrontate in assemblea vari punti di vista. Quello di Agnoletto è stato molto preciso. Agnoletto è il personaggio che più di ogni altro si è speso in giro per l'Italia a rappresentare il movimento nel suo insieme, quando invece la gran parte dei leader puntava sostanzialmente a rafforzare la propria componente. In qualche modo Agnoletto esprime un punto di vista assai diffuso nei social forum locali (e diversi nodi di Lilliput), un punto di vista che però non emerge, perché soffocato dalle varie componenti organizzate. Questi organismi, come abbiamo già avuto modo di scrivere, sono in crisi nelle grandi città, in altre si sono trasformate in intergruppi ed in altre ancora sono circoli del PRC allargati. Ma in molte piccole città, paesi e quartieri, sono organismi vivaci, pluralisti, attivi. Ma non contano nulla nel movimento, perché se non si fa parte di una componente organizzata (ATTAC, disobbedienti, cobas, lilliput, arci, sinistra sindacale, ecc.) non si conta nulla. Agnoletto dice: i social forum locali o organismi simili devono darsi una struttura vera, per delegati, che esprima una direzione nazionale, per dar vita ad una soggettività che vada al di là di quella espressa dalle componenti, componenti che rappresentano solo una minoranza del "popolo di Porto Alegre". Le altre componenti criticano questa proposta: l'accusano di essere "troppo rigida", "burocratica", ecc. Agnoletto risponde, secondo noi con ragione, che in assenza di una strutturazione del movimento, chi decide in un finto assemblearismo sono i capi delle diverse componenti, che intervengono "a fare le mediazioni" in negoziazioni ristrette dalle quali i più sono esclusi.

Agnoletto ha ragione? A nostro avviso sì. Ma la sua prospettiva al momento è irrealistica. Il rafforzamento delle componenti nel movimento è un fatto tipico del riflusso dei movimenti. Il fatto non è da demonizzare, ma solo se parallelamente si dà alle persone non allineate del movimento gli strumenti democratici per contare. La proposta di Agnoletto in una assemblea totalmente dominata dallo scontro tra componenti organizzate era destinata fatalmente a cadere nel vuoto, come in effetti è accaduto. E' una proposta che non può che essere fatta marciare dal basso, sperimentata e agita a livello territoriale. Ma occorre che i social forum e i nodi locali che funzionano facciano questo salto, decidendo di prendere in mano il destino del movimento invece di occuparsi solo del proprio territorio delegando il resto ai leader "di riferimento".

La questione della crisi del movimento
Praticamente tutti gli interventi hanno teso a sottolineare il successo "straordinario" della manifestazione. E tutti ci tenevano ad affermare che il movimento è "vivo e vegeto" a "dispetto di qualche menagramo che ci dichiara morti scambiando i propri desideri per la realtà".

Ci dichiariamo in controtendenza rispetto alla totalità degli interventi assembleari. L'affermazione è impopolare, ma dato che siamo una rivista e non una componente, possiamo permetterci di dire quel che vogliamo. Il movimento è in crisi (Rete lilliput compresa), anche se, certo, è vivo e vegeto. Abbiamo già argomentato la cosa in un articolo precedente (La crisi del movimento antiglobal). Non serve a nulla nascondersi le difficoltà: i problemi si nascondono sotto il tappeto e prima o poi ci faranno inciampare, come accaduto con il flop della manifestazione in occasione del vertice FAO. Abbiamo trovato il continuo riferimento al successo della manifestazione una sorta di ossessivo scongiuro, un po' sospetto, dunque.

Questo movimento non riesce a fare nulla che non abbia se stesso come punto di riferimento. Gli appuntamenti con i quali ci si è lasciati all'ultima assemblea sono quelli dettati da altri (sciopero generale CGIL), oppure quelli dove ci si ritrova al proprio interno per parlare e sentir parlare: i due Porto Alegre, il futuro Social Forum Europeo, gli innumerevoli convegni su un qualche aspetto della globalizzazione. Appuntamenti ai quali accorrono masse di attivisti bianchi, diplomati e laureati, con la pancia piena di prodotti biopoliticamente corretti. I libri usciti nell'ultimo anno sono in gran parte sul movimento (quel che è successo a Genova, raccolte di interviste ai leader, ecc.): ben pochi sulla globalizzazione e, ad esempio, sui suoi effetti in Italia. E' un movimento che sta bene quando si ritrova con se stesso e parla di se stesso. Ma se si vuole cambiare il mondo dobbiamo uscire dai confini della classe media, politicamente ed ecologicamente corretta. Occorre passare dal parlare dei soggetti oppressi, al mescolarsi in mezzo a loro aiutandoli a organizzarsi. Si fa un gran parlare ad esempio di campagne sull'acqua, ma quando è scoppiato concretamente il problema in Italia non vi è stato alcun soggetto (politico, sindacale, associativo) che fosse in mezzo alla gente che spontaneamente protestava. La campagna sull'acqua evidentemente la si vuol fare solo tra quelli che ce l'hanno.

I disobbedienti pongono un problema serio quando affermano che è ora di passare dalle parole all'azione. Ma l'azione che essi intendono è, essenzialmente, un'altra maniera di parlare, cioé di fare propaganda. Le azioni di disobbedienza sono realizzate da avanguardie già preparate, e che non lasciano sul terreno soggetti sociali autorganizzati, sono azioni esemplari, ma "esterne". L'idea che un "centro di accoglienza" venga smontato ci rende felici, ma non è questo che serve, perché altri centri verranno montati in altri luoghi, sino a che gli immigrati non avranno raggiunto un grado decente di autorganizzazione, cosa che in Italia è ben lungi dall'essere. E allora quel che serve è aiutare ad organizzare questi immigrati. Altrimenti avremo sempre gruppi di giovani di classe media solidali, ma sostanzialmente esterni ai soggetti che vorrebbero difendere.

Come già argomentavamo nel numero scorso si deve passare da una azione sostanzialmente propagandistica (le "grandi" manifestazioni, i seminari, le campagne dirette alla classe media) a quella volta all'autorganizzazione dei soggetti sociali oppressi.

I terreni non mancano di certo: quello della scuola ad esempio, dove il movimento incontrerebbe settori che si sono già autorganizzati, in parte prendendo a prestito proprio alcune delle modalità organizzative del movimento. Oppure quello dei migranti dove manca un lavoro costante e quotidiano coordinato a livello nazionale. Ed anche quello già organizzato, il movimento sindacale, ma che per ora ha corso su strade parallele rispetto al movimento antiglobal.