LA CADUTA DI MILOSEVIC
LA DINAMICA E LE RAGIONI DELLA CADUTA DEL REGIME E LE PROSPETTIVE CHE SI APRONO PER LA JUGOSLAVIA


6 ottobre 2000 intervista ad Andrea Ferrario, responsabile di Notizie Est

 

Un'intervista a caldo (due giorni dopo gli avvenimenti) ad Andrea Ferrario, responsabile di Notizie Est. Si tratta di una mailing list, che pubblica notizie in lingua italiana relative ai Balcani, con una frequenza di circa 10/15 numeri al mese. Per abbonarsi gratuitamente basta semplicemente inviare un messaggio con la relativa richiesta a est@ecn.org, indicando il vostro indirizzo e-mail. I numeri arretrati si possono leggere nell'archivio di Notizie Est, a sua volta parte del più vasto sito I Balcani. Ferrario è redattore anche del quadrimestrale del Centro di Iniziativa Politica sui Balcani Balkan.

 

Milosevic è in un angolo, le strutture dello stato sembrano ancora intatte, le masse sono uscite dalla passività. Che prospettive si aprono per la Jugoslavia?

I giorni scorsi hanno visto, per la prima volta dopo anni, una grande capacità di mobilitazione del popolo serbo contro un sistema oppressore. Si tratta di qualcosa che molti altri paesi dell'Europa Orientale hanno già vissuto svariati anni fa, ottenendo il risultato fondamentale di riuscire a consegnare agli archivi della storia regimi polizieschi e sfruttatori. Da questo punto di vista, il 5 ottobre è stata una grande vittoria democratica per i serbi. Non va dimenticato tuttavia che la rivolta del popolo serbo è stata egemonizzata da forze politiche i cui programmi ricalcano pari passo quelli applicati con effetti disastrosi dai "riformatori" giunti al potere in tutta l'Europa Orientale nel biennio 1989-1990. Vi è poi in più, nel caso della Serbia, la pesante eredità di dieci anni di politiche guerrafondaie, di oppressione sistematica contro altre nazioni e di stragi, i cui princpali attori, o ideologi, siedono ancora fisicamente ai massimi vertici dello stato. La quasi totalità dei partiti dell'opposizione che hanno conquistato il potere a Belgrado ha un pessimo curriculum vitae, anche da questo punto di vista. L'aspetto positivo, però, è che si apre la possibilità di uno sfaldamento di tutta la macchina burocratica e ideologica che per anni è riuscita a mandare avanti in parallelo uno sfruttamento brutale dei lavoratori e la contemporanea giustificazione ideologica di tutto questo richiamandosi a miti nazionali o a una fraseologia di sinistra. La coalizione dell'opposizione "democratica" mi sembra molto più debole da questo punto di vista. Senz'altro non disporrà della capacità del precedente regime, per esempio, di coprire la rapina effettuata contro i lavoratori con una retorica "socialista" e con un sistema di sussidi di facciata, che ha consentito nei fatti una connivenza tra lavoratori e manager, e quindi anche con il regime. Qui si aprirà senz'altro un nuovo capitolo.

Ci puoi fare un quadro del personaggio Kostunica e delle forze che lo sostengono?

Kostunica non è un "nazionalista moderato", come è stato definito da molti, bensì uno sciovinista convinto e coerente. La sua comparsa sulla scena politica la si è avuta nel 1974, quando è diventato "dissidente" per avere partecipato, quale insegnante universitario, alla campagna di opposizione alla nuova costituzione jugoslava con la quale veniva ampliata l'autonomia per il Kosovo, che per lui invece non doveva esserci. Negli anni novanta ha sostenuto con convinzione il partito di Radovan Karadzic in Bosnia, arrivando a definire l'eccidio di Srebrenica (più di 7.000 civili musulmani massacrati) un "atto di autodifesa". E' sempre stato uno degli esponenti più di destra di un'opposizione già di per se stessa conservatrice, e tra tutti è stato quello più esplicitamente anticomunista. E' molto vicino alla chiesa serba e negli anni ha mantenuto buoni contatti con gli ambienti monarchici. Il suo successo è dovuto a un'immagina, abilmente promossa, di persona "ragionevole" (non ha, per esempio, i toni esagitati di un Draskovic, le cui posizioni di fondo nei fatti condivide) e "onesta". Il suo nazionalismo revanscista, inoltre, costituisce evidentemente una garanzia di continuità anche per tutto l'apparato di burocrati "socialisti" che si è imposto con la stessa ideologia negli ultimi dieci-venti anni. Va ricordato però che Kostunica è stato eletto presidente della Jugoslavia, una carica in larga parte solo rappresentativa, un po' come Ciampi in Italia. Il suo ruolo è importante in questo momento come garante di un passaggio pacifico dei poteri. Alle sue spalle c'è una coalizione composita e frammentata, costituita da ben 18 partiti. Il più forte di tutti è il Partito Democratico di Zoran Djindjic, che negli ultimi dieci anni ha saputo miscelare politiche revansciste e un'assoluta supinità nei confronti dell'Occidente. Vi sono anche forze moderatamente di sinistra, come il Partito Socialdemocratico di Zarko Korac, o che più si distanziano dal nazionalismo sciovinista, come la GSS un tempo guidata da Vesna Pesic. Ma ci sono anche due partiti di ex generali dell'esercito, come la Socialdemocrazia di Vuk Obradovic, o il PDS di Momcilo Perisic, quest'ultimo noto per avere raso pressoché al suolo la città di Mostar in Bosnia e per avere condotto le azioni militari in Kosovo nel 1998, quando ancora era capo di stato maggiore dell'esercito. L'unica cosa positiva di questa opposizione è che è molto divisa e fragile, e quindi, si presume, molto più cedevole rispetto al precedente regime di Milosevic & Co.

Il merito di una soluzione così forte e determinata va al DOS e a Kostunica?

E' ancora presto, a mio parere, per parlare di una soluzione forte e determinata - lo si vedrà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. La ricomparsa sulla scena di Milosevic non lascia sperare molto bene. DOS e Kostunica, comunque, sono stati solo i mediatori di una crisi che nel momento decisivo ha avuto come fulcro il popolo serbo.

Studenti, operai, centro e periferia... Ci puoi fare un quadro delle forze sociali che hanno dato vita a questa rivolta?

Gli studenti sono stati tradizionalmente i più attivi in questi anni, come dimostra anche la grande diffusione del movimento Otpor, che ha trovato origine in tali ambienti, anche se con programmi e modalità di azione molto confusi. Gli operai sono stati la grande novità delle mobilitazioni di questi giorni e il fatto che il loro attivismo prosegua o meno sarà con ogni probabilità decisivo per il futuro della Serbia. Nei loro confronti, come si accennava prima, l'opposizione dispone di una capacità di manipolazione molto inferiore rispetto agli oligarchi del regime di Milosevic, e quindi si aprono nuovi, importanti spazi per i lavoratori. Va notato tuttavia che pesa l'eredità di lunghi anni di passività e di assimilazione nelle strutture del regime. Per fare un confronto, in Croazia e in Romania i lavoratori negli ultimi dieci anni hanno saputo costruire una capacità di autorganizzazione e di mobilitazione che ai loro colleghi serbi purtroppo per ora manca. Infine, la "periferia" è stata in questi anni quella che ha opposto la maggiore resistenza al regime. E' nella periferia, per esempio, che nel 1999 si sono maggiormente diffuse le manifestazioni dei disertori contro la guerra, mentre a Belgrado si facevano allegri e innocui concerti sotto il simbolo "target". Anche questa settimana le mobilitazioni sono cominciate in provincia prima e in maniera più massiccia, rispetto alla capitale. Il fondamentale sciopero delle miniere Kolubara si è anch'esso svolto lontano da Belgrado. Nel giorno decisivo del 5 ottobre, gran parte della massa sulla strada era giunta a Belgrado da fuori e a sfondare all'interno dell'edificio della televisione serba sono stati i manifestanti provenuti da una media città di provincia, Cacak, chiaramente molto più organizzati dei belgradesi.

Che prospettive si aprono ora per le nazionalità oppresse della Jugoslavia (ungheresi della Vojvodina, musulmani del Sangiaccato, montenegrini) e per il Kosova?

Ogni cambiamento che aumenti il grado di democrazia, e quello verificatosi in Serbia sicuramente lo è stato, apre nuove prospettive per le lotte di emancipazione nazionale. Al di là di questa constatazione generale, si possono constatare alcune differenze. Forze politiche democratiche del Sangiaccato e della Vojvodina fanno parte della DOS e hanno la possibilità di incidere direttamente sulle sue politiche. Inoltre, in queste due province non si intravede, almeno al momento, un sostegno massiccio a ipotesi separatiste, quindi è possibile una convivenza pacifica delle loro forze politiche con quelle serbe dell'opposizione e l'apertura graduale di nuove prospettive. Molto più complessa è la situazione per quanto riguarda Montenegro e Kosova. Riguardo al primo, è chiaro da mesi che l'opposizione, seppure in modo più diplomatico e moderato rispetto al regime di Milosevic, condivide gran parte delle politiche assimilazioniste di quest'ultimo. Riguardo al secondo è ancora peggio e la DOS è stata sempre univocamente a favore di un Kosova pienamente integrato nella Serbia, con la concessione solo di diritti culturali e linguistici (con l'eccezione di alcune forze minori che sono favorevoli a qualche forma di autonomia politica all'interno della Serbia). I principali esponenti del Consiglio Nazionale Serbo di Mitrovica, la formazione che gestisce la città kosovara divisa in due, sono tutti membri del DSS, il partito di Kostunica. Sono loro che nel giugno del 1999, in collaborazione con le forze della NATO, hanno diviso in due la città impedendo agli albanesi dei quartieri a nord di tornare alle loro case e sono loro che, sempre in collaborazione con la NATO, difendono la linea di spartizione della città da più di un anno. Vi sono chiaramente progetti di spartizione del Kosova, fino a oggi tenuti "nel cassetto", ma che torneranno all'ordine del giorno, visto anche il mai sopito interesse degli imperialisti a fare della Serbia uno dei loro pilastri nei Balcani.

Nell'ambito di alcuni organi di informazione leggiamo spesso interpretazioni del tipo che questo esito è stato voluto e pianificato dagli USA e dall'Europa. In che misura possiamo affermare che dietro a questi eventi c'è "la mano della CIA"?

Gli eventi di questi giorni sono stati contrassegnati da un grande attivismo di masse di serbi che trova le sue motivazioni nella presa di coscienza dell'impossibilità di sopportare oltre un sistema oppressivo e sfruttatore. Tali eventi trovano quindi radice nella società e in una realtà chiaramente leggibile, non negli uffici nascosti degli agenti segreti di questo o quell'altro paese. La concatenazione dei fatti di questi ultimi giorni andrà letta più con calma e con il senno di poi. Molte cose indicano con chiarezza che vi siano state sì pesanti intromissioni, anche dietro le quinte, da parte occidentale (e della Russia), ma che queste siano state univocamente mirate a garantire un futuro tranquillo al loro ex compare, ufficiale o di fatto, Milosevic e, soprattutto, all'intero sistema militare e burocratico che ne ha costituito la base.

Oggi il Corriere della Sera è uscito con un editoriale molto preoccupato in cui si invitava la popolazione "alla calma", ad evitare "il bagno di sangue", ecc. La maniera in cui Milosevic è stato cacciato sembra non corrispondere esattamente ai desiderata dell'imperialismo italiano. Qual è stato l'atteggiamento dell'Italia nelle sue varie espressioni (governo, forze economiche, mass media) verso il regime di Milosevic?

L'Italia svolge un ruolo di primissimo piano nei Balcani, a livello economico, militare e politico. Non si tratta per nulla di un imperialismo straccione, bensì di un imperialismo che non esita a spendere migliaia di miliardi per sostenere regimi corrotti e oppressivi, ottenendone in cambio la possibilità di ampliare la propria penetrazione coloniale nella regione. Pochi altri paesi sono stati altrettanto coerentemente e capillarmente impegnati in tal senso nei Balcani come l'Italia. Nel curriculum del ceto politico italiano e delle grandi, medie e piccole aziende del nostro paese sono scritti a chiare lettere i sostegni concreti e massicci dati a Milosevic, a Tudjman, a Berisha e a Nano, al governo bulgaro. Proprio per questo una delle preoccupazioni fondamentali dei manager di stato e aziendali italiani è stata quella di garantire che di fronte a ogni cambiamento di potere, passibile di creare disordine e instabilità, venisse garantita la permanenza dei quadri burocratici alti e medi che sono gli unici in grado di dare garanzie affidabili per gli affari italiani e per l'espansionismo militare e coloniale italiano. Questo vale oggi per gli oligarchi e i manager aziendali del regime serbo appena deposto, così come è stato ieri nel caso dell'Albania e della Croazia, e sarà domani in Bulgaria o in Romania.

Una rivolta di massa nel cuore dell'Europa. E ancora una volta all'Est. E ancora una volta ci pare che la sinistra italiana assista attonita alle masse che si ribellano alle dittature (Albania, Germania Est, ecc.) con un misto di diffidenza e indifferenza. Quanto possono essere considerati di sinistra partiti come il PSS e la JUL?

Penso che i lettori di "Reds", grazie alla rivista, abbiano avuto molti spunti di riflessione sulle pesantissime carenze della sinistra in questo campo. Nel caso della Jugoslavia, in particolare, pesa una diffusa ostilità irriflessa della sinistra italiana a ogni critica all'esperienza del "socialismo" di Tito, a ogni lotta di liberazione nazionale, a ogni posizione antimperialista che non si limiti a slogan giusti, ma vuoti di sostanza, contro la NATO o le politiche USA, ma promuova una solidarietà attiva con tutte le popolazioni oppresse. Si tratta in gran parte dell'ancora ingombrante eredità dello stalinismo (PCI e sinistra extraparlamentare) e della tradizionale difficoltà, come minimo, a formulare una critica radicale dell'imperialismo italiano. Il Partito Socialista Serbo di Milosevic, o la JUL di sua moglie, non sono partiti di sinistra, ma partiti di banchieri e sfruttatori senza scrupoli, che non hanno mai disdegnato gli affari miliardari con i capitalisti occidentali. Nonostante questo, vi sono a sinistra persone che li sostengono o li considerano comunque come interlocutori, trascurando questi fatti e avallandone la retorica demagogica di sinistra, priva di ogni sostanza. Ancora più diffusa è l'opinione che Milosevic sia stato magari un criminale, ma un "ostacolo oggettivo" all'imperialismo, o comunque un male minore rispetto alla NATO. Altri, infine, tacciono o si nascondono dietro slogan di comodo, ma privati di ogni contenuto effettivo, come "né con Milosevic né con la NATO". Senza una chiara visione di come le politiche del regime di Belgrado e quelle delle burocrazie occidentali si siano intrecciate su più piani per anni, spesso in aperta connivenza, e di come questo sia un modello costante in tutta l'Europa Orientale, al di là degli slogan di sinistra o antioccidentali di alcune dirigenze locali, non sarà possibile combattere con efficacia le politiche

 


 

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