La guerra del Kosova: anatomia di un'escalation.
Recensione del libro di Giovanni Scotto ed Emanuele Arielli. Editori Riuniti. Di Davide Volante. Dicembre 1999.


Fino ad alcune settimane fa erano pochissimi i testi in lingua italiana che si ocupavano del Kosovo. Il Kosovo non faceva notizia, nonostante quasi dieci anni di lotta non violenta (caratterizzata dalla instaurazione di una società parallela totalmente autogestita) e ben tre guerre (in seguito divenute quattro) combattute sul territorio della ex Jugoslavia durante gli anni novanta.
Dopo l'intervento armato della NATO per molte case editrici è divenuto un imperativo avere in catalogo un testo riguardante il Kosovo.
Il recente libro di Arielli e Scotto ricostruisce le vicende che hanno scosso il Kosovo dal 1981 in avanti. Il testo ha alcuni importanti meriti: non criminalizza il movimento nazionalista albanese, riconosce che dalla fine degli anni ottanta in Kosovo si è instaurato un regime di apertheid, e riconosce che le potenze occidentali non si sono mai adoperate per sostenere il diritto all'autodeterminazione del Kosovo; vi sono però gravissime semplificazioni e superficialità che nè compromettono il rigore e la "scientificità". Ciò non toglie in ultima analisi che "La guerra in Kosovo" rimanga un testo onesto e stimolante, anche se continuiamo a preferire "Il dramma del Kosovo, dall'origine del conflitto fra serbi e albanesi agli scontri di oggi", Thomas Benedikter, Datanews, Roma 1998 (pag. 138, lire 20.000). Segnaliamo infine che da pochissimi giorni è stato tradotto in italiano l'imperdibile "Storia del Kosovo" di Noel Malcolm editore Bompiani (534 pag. lire 24.000). A questo testo andrebbe affiancato "Between Serbs and Albanian - A History of Kosovo", Miranda Vickers, Hurst, Londra 1998 (purtroppo, attualmente disponibile solo in lingua inglese) testo che si segnala per rigore scientifico, utilissimo per chi intende approfondire la storia del Kosovo lungo il novecento.

La parte migliore del libro di Scotto e Arielli è quella in cui si descrive l'ascesa e la natura del regime di Milosevic. Alcuni esempi: "Come in altri paesi dell'Europa Orientale la crisi della Jugoslavia pose alle elite delle singole repubbliche il problema del mantinimento delle proprie posizioni nel quadro della trasformazione del potere. In serbia la risposta fu il blocco del processo di riforma, l'attacco alle strutture federali del paese e l'adesione ad una politica nazionalista. Intorno a questo nucleo politico ideologico si formò una vasta ed eterogenea alleanza: l'ala dura della Lega dei Comunisti contraria alla democratizzazione, il nazionalismo borghese impersonato dallo scrittore Dobra Cosic, i gruppi cetnici (i nazionalisti radicali rappresentati da Seselj), settori dell'esercito e delle forze di sicurezza." così dopo la soppressione della autonomia concessa al Kosovo nel 1989 e l'inizio dei licenziamenti di massa degli albanesi: "gli anni che vanno dal 1990 al 1995 vedono in Kosovo la progressiva attuazione di un regime di discriminazione sistematica della popolazione albanese in campo politico, economico, sociale, educativo e culturale da parte delle autorità serbe. La risposta del movimento nazionale albanese si base su tre scelte di fondo: evitare l'escalation violenta del conflitto, negare la legittimità delle istituzioni controllate da Belgrado e e costriure allo stesso tempo istituzioni parallele della comunità albanese. Quindi organizzano una risposta nonviolenta alla repressione."
Per coloro che rimpiangono Tito: "Va ricordato che tuttavia che fin dalla nascita della Jugoslavia socialista le relazioni tra gli albanesi e le autorità del nuovo stato furono caratterizzate da conflitti e repressione".
Anche gli intenti di Rugova vengono individuati in maniera corretta: "La meta finale dell'indipedenza secondo Rugova avrebbe dovuto essere preparata da un protettorato internazionale temporaneo", opportunamente gli autori ricordano che la nonviolenza di Rugova e del suo movimento è "passiva" e "statica" e che con gli accordi di Dayton, verso cui gli albanesi nutrivano molte aspettative (in seguito disattese), in Kosovo si iniziano a manifestare dissensi verso la dirigenza politica kosovaro-albanese.

Le prime 100 pagine sono le migliori e le più accurate del libro anche se vi sono alcune affermazioni che risultano fuorvianti (oltre che discutibili) come: "In Bosnia fu proprio il riconoscimento della CE (della Croazia e della Slovenia) a dare il segnale d'inizio della guerra" o quando si definisce "irrealistica" la meta della LDK, ossia, l'indipendenza del Kosovo.
Le successive 114 pagine invece ricostruiscono in maniera spesso approssimativa tutto ciò che è avvenuto a partire dal 1998, in sostanza dall'apparizione dell'UCK.

Anche se in alcuni punti cruciali ci troviamo d'accordo con i due autori "Probabilmente l'UCK è nato da un gruppo di ufficiali albanesi dell'esercito jugoslavo e da gruppi del movimento marxista-leninista dei primi anni ottanta riuniti nel movimento LPK"; "Alla fine di Febbraio il rappresentante speciale degli USA ......Gelbard sottolinea durante un incontro con Milosevic che la soluzione del conflitto non sarà un cambiamento unilaterale delle frontiere e definisce terroristiche le attività dell'UCK", così facendo l'amministrazione USA darà il LA all'offensiva di Marzo-Giugno delle forze di sicurezza serbe in Kosovo "poichè la guerriglia si muove tra la popolazione locale come un pesce nell'acqua, si tratterà di togliere l'acqua al pesce; in concreto le operazione militari dei serbi si orientano da un lato allo scontro militare con l'UCK , dall'altro alla distruzione di interi villaggi e alla messa in fuga dei civili nelle zone in cui è presente la guerriglia" che porterà sì ad una sconfitta sul campo dell'UCK, ma non alla sua uscita di scena.
Purtroppo gli autori nel descrivere gli avvenimenti successivi perdono spesso la bussola così definiscono la missione dell'OSCE (almeno nella sua componente Inglese e Statunitense) come schierata a favore dell'UCK, dimendicantosi ad esempio le responsabilità che questa ha in episodi come quello del massacro di Racak (storia che Andrea Ferrario in Notizie Est http://ecn.org/est/balcani ricostruisce in maniera esauriente) e dimenticandosi ancora di enunciare le violazioni serbe degli accordi (pur inaccettabili) dell'Ottobre 1998 o di ricordare le divergenze all'interno del movimento nazionalista albanese circa l'opporunità della firma degli accordi di Rambouillet (ciò porterà alle dimissioni del rappresentante politico dell'UCK Adem Demaci).