Viaggio in Kosova.
Andrea
Speranza e Davide Volante sono due compagni del "Comitato di Solidarietà
con il Kosova" e nel corso degli ultimi 12 mesi si sono recati più
volte in Kosova. Quanto segue è un lungo estratto della relazione del
viaggio da loro compiuto dal 3 al 13 Agosto di quest'anno. Settembre 1999.
Martedì,
3 Agosto 1999
ARRIVO A PRISHTINA
Alle 14, dopo oltre due ore di volo siamo atterrati all'aeroporto di Slatina (Prishtina). La prima cosa che vediamo scendendo dalla scaletta dell'aeroplano è una sventolante bandiera russa sbiadita dal sole cocente, ma gli unici soldati presenti sono quelli inglesi perchè il contingente russo non ha un'area di esclusivo controllo ma è disseminato nelle zone italiana, inglese, tedesca, francese ed americana. Nel corso del viaggio diventerà chiaro che un'immagine realistica dell'esercito russo lo danno i check point in cui i soldati chiedono sigarette o marchi ai kosovari.
Prishtina è
rimasta sostanzialmente intatta. I bombardamenti della NATO sono stati estremamente
limitati e di una precisione impressionante: la centrale di polizia, l'ufficio
postale e la stazione degli autobus (ove erano nascosti dei tank) sono state
totalmente distrutte ma i tanti edifici adiacenti sono rimasti incredibilmente
intatti. Le milizie serbe si sono "limitate" a cacciare dalla città
quanti più albanesi possibili senza saccheggiare e distruggere sistematicamente
negozi e abitazioni, come invece è stato fatto nelle campagne e in città
come Peja o Vushtrri .
La città si anima verso il tramonto quando la via principale della città
viene chiusa al traffico dai militari della KFOR, e in essa si riversano migliaia
di ragazzi festanti.
In un tripudio generale riecheggiano le canzoni (provenienti dagli impianti
stereo dei numerosi venditori ambulanti) dei vari Arif Vladi, Ilir Shaqiri,
Edona Llalloshi. Sicuramente la cantante più amata è Leonora Jakupi
una ragazza di Skenderaj. Non c'è persona in Kosova che non conosca a
memoria il suo cavallo di battaglia: "Po vritet pafajesia" meglio
nota come "Drenica".
Mercoledì,
4 Agosto
ALBIN KURTI
In prima mattinata
contattiamo il fratello di Albin Kurti e fissiamo un appuntamento per il pomeriggio.
Albin 24 anni, studente di ingegneria, in qualità di membro della UPSUP
(Indipendent Student Union, sindacato studentesco dell'università di
Prishtina) a partire dal 1997 è tra gli organizzatori di una serie di
proteste nonviolente (duramente represse dalle autorità serbe) per riconquistare
il diritto all'uso delle aule dell'università di Prishtina, interdette
agli studenti e ai docenti albanesi dal 1991. In questo decennio gli albanesi
hanno risposto a questo autentico regime di apertheid creando un grandioso sistema
di istituzioni parallele di cui le scuole (per la quasi totalità semplicemente
case private o polverosi retrobottega) sono state la spina dorsale.
Negli ultimi mesi del 1998 Albin diviene il segretario del portavoce politico
dell'UCK, Adem Demaci (in seguito dimessosi da tale carica in dissenso con la
firma da parte albanese degli accordi di Rambouillet). Albin lascia la UPSUP
e ogni attività politica nel febbraio del 1999.
Il 27 Aprile 1999, Albin, suo padre e il fratello Arianit (22 anni) sono stati
incarcerati e duramente picchiati durante l'arresto (e per tutto il periodo
di detenzione). Restano a Prishtina fino al 9 aprile, in seguito vengono spostati
nel carcere di Lipjan ove rimangono per un mese. Una volta firmati gli accordi
di Kumanovo Albin e un numero imprecisato, tra 2000 e 7000, di prigionieri politici
sono stati trasferiti in Serbia nonostante le vibrate proteste (e il colpevole
silenzio dei governi occidentali che negli accordi di Kumanovo non hanno menzionato
la questione prigionieri albanesi) di numerose associazioni di tutto il mondo
comprese le donne in nero di Belgrado. Arianit ed il padre vengono invece liberati.
Arianit ci informa che il fratello attualmente è detenuto a Pozarevac (città natale di Milosevic nei pressi di Belgrado) ma, fino ad ora, non sono riusciti a fargli visita per timore che in territorio serbo possano subire ulteriori violenze, e si sono rivolti (come decine di parenti di altri detenuti politici) alla Croce Rossa Internazionale (inutilmente) per essere "scortati" a Pozarevac. Lo lasciamo con l'impegno di ritrovarci venerdì di fronte al teatro "Adem Jashari" (denominato "Nazionale" sotto in regime di Tito e divenuto "Serbia" con Milosevic) da dove partirà la manifestazione tesa a sollecitare la liberazione dei prigionieri politici o per meglio dire ostaggi, dato che il regime di Belgrado adesso pretende 10000 dollari per la restituzione di ogni persona.
giovedì
5 Agosto
UPSUP
Il giorno seguente
ci rechiamo nella bella sede, nuova di zecca, della UPSUP.
Incontriamo il presidente Driton Lacaj e il direttore del quotidiano studentesco
"Bota e Re" (Il Nuovo Mondo). Questa organizzazione con le eroiche
lotte condotte nel 1997 ha sfidato il regime serbo e allo stesso tempo ha messo
in difficoltà la politica di resistenza passiva della LDK (Lega Democratica
del Kosova) totalmente inadeguata a contrastare il regime di Milosevic. Però
gli studenti kosovari in questi anni hanno pagato duramente il loro impegno,
ad esempio: quando il primo Ottobre del 1997 Albin Kurti, Bujar Dugolli (all'epoca
presidente della UPSUP e adesso ministro dello sport e della gioventù),
Driton Lacaj (all'epoca vicepresidente) e numerosi altri studenti vengono brutalmente
picchiati e arrestati a seguito di una manifestazione assolutamente pacifica;
oppure quando Ardian Haxhaj e Sadik Zegiri che a causa dei loro scritti su "Bota
e Re" sono stati arrestati e deportati in Serbia, ove si trovano tuttora;
senza parlare delle migliaia di ragazzi (e ragazze) che durante il conflitto
si sono arruolati nell'UCK perdendo la vita.
Diversi studenti, conosciuti in seguito, pur riconoscendo i meriti di questo
sindacato ne chiedono una profonda riforma. Non lesinano critiche alla progressiva
"degenerazione" burocratica e la progressiva perdita di autonomia
di questa organizzazione (si cita il fatto che B. Bugolli è rimasto presidente
in carica nonostante avesse trenta anni compiuti, oppure che diverse persone
vogliono sfruttare il loro ruolo all'interno della organizzazione come trampolino
di lancio per una futura carriera politica). In tal senso alcuni studenti (anche
autorevoli) tentano di far passare un principio di rotazione degli incarichi
(con dei precisi limiti di età).
Durante la discussione i rappresentanti della UPSUP ci dicono che siamo la prima
Associazione/organizzazione italiana dichiaratamente di sinistra e a favore
dell'autodeterminazione del Kosova che incontrano. La cosa è stupefacente
perchè la sinistra nostrana ha scritto di tutto (spesso in maniera molto
dura e perentoria) sul Kosova ma non ha mai cercato un reale confronto e conoscenza
della realtà sul campo. Ben diverso è il discorso per gli altri
paesi europei infatti: infatti nel corso degli anni hano collaborato/dialogato
con numerose organizzazioni dell'estrema sinistra francese, scozzese, inglese
e spagnola.
Venerdì
6 Agosto
LKCK
La manifestazione
per i prigionieri politici ha un discreto successo, circa mille persone, considerando
che viene fatta simultaneamente nei principali centri del paese.
La LKCK (Levizja Kombetare per Clirimin e Kosoves), Movimento Nazionale per
la Liberazione del Kosovo, è una presenza discreta ma costante nelle
città kosovare infatti, non è raro trovare scritte che ad un tempo
inneggiano alla LKCK e all'UCK.
Il nostro interesse circa questo movimento è dovuta al fatto che sapevamo
che questa era un'organizzazione di sinistra e l'interesse aumenta quando veniamo
a sapere che nella zona sotto il controllo delle truppe USA (Gjilan) è
stata vietata la distribuzione ed è stato arrestato un giornalista di
"CLIRIMI" (Liberazione, organo della LKCK) a causa un articolo in
cui si criticava la KFOR.
Grazie ad un amico fissiamo un incontro con Sabit Gashi, giovane leader della
LKCK e ministro della cultura nel governo Thaci. Il nostro interlocutore nonostante
il ruolo istituzionale parla con una certa franchezza anche in merito a questioni
piuttosto spinose, molto in sintesi:
Questo movimento politico nasce (in clandestinità) nel 1992 dalla constatazione
che liberazione del Kosova dall'oppressione esercitata del regime di Belgrado
poteva avvenire solo tramite la lotta armata; negli anni successivi iniziano
un lavoro di preparazione politica in tal senso, dato che i tempi per un'insurrezione
di massa vengono giudicati prematuri.
Sono stati contro la firma degli accordi di Rabouillet perchè (nel momento
di massima mobilitazione del popolazione kosovara) non veniva fissata una data
certa per il referendum per l'indipendenza.
Non ripongono molta fiducia nei governi occidentali e nella KFOR (chiaramente
percepita come una potenziale forza di occupazione) infatti hanno sempre sostenuto
che la liberazione del Kosova è da realizzarsi con le SOLE forze dei
kosovari. Si battono affinchè venga fissato il prima possibile un referendum
per l'indipendenza.
Il loro principale obiettivo é l'indipendenza e che nel loro movimento
sono rappresentate varie tendenze politiche con l'esclusione di fascisti e razzisti.
sabato 7 Agosto
BIRRA E LIBERTA'
Il vanto di Peja
è una birra con la sua etichetta nuova di zecca: "EXTRA birre e
Pejes" (EXTRA la birra di peja) "made in Kosova". Prima della
guerra si chiamava PECKO (in serbo).
Ci dicono che sono tanto orgogliosi di quella birra perchè, oltre che
essere il primo prodotto "made in Kosova" , dopo anni di martellante
propoganda serba che li descriveva come inetti ed ignoranti molti albanesi si
erano suggestionati al punto che molti avevano perso la fiducia in se stessi
e nella loro capacità di realizzare qualcosa in totale autonomia.
Se un osservatore straniero vuole farsi un'idea di cosa è stata la guerra
in Kosova, e delle motivazioni dell'odio di oggi, senza dubbio deve venire qui
o a Mitrovica o nella Drenica invece di rimanere a Prishtina.
Peja è una città spettrale, uno degli spettacoli più desolanti
che una persona possa immaginarsi.
L'esercito serbo, ampiamente supportato da diversi gruppi paramilitari e da
un nutrito gruppo di civili, per oltre un mese ha spadroneggiato per la città.
Il loro scopo era cancellare ogni traccia della presenza albanese, infatti solo
così si può spiegare lo spettacolo dell'oramai inesistente grande
centro storico totalmete raso al suolo dalle ruspe (uno spettacolo identico
lo vedremo a Vushtrri) e la sistematica distruzione di tutto ciò che
era albanese; le case nell'ordine delle decine di migliaia sono state sistematicamente
saccheggiate e poi incendiate. Adesso ne rimangono unicamente gli scheletri
scoperchiati e i cumuli di oggetti resi indecifrabili dal fuoco che gli aguzzini
al soldo di Milosevic non hanno ritenuto degni di essere portati via.
La debolezza dell'UCK in questa area (praticamente assente nella città)
ha impedito un'efficace resistenza. Ma questa è stata una costante durante
il conflitto (nonostante le cose che spesso si leggono sui giornali), l'UCK
disponeva infatti quasi esclusivamente di armamento leggero (infatti nonostante
le loro pressanti richieste, durante il conflitto, la NATO non ha mai paracadutato
massicciamente armi moderne e viveri per i combattenti) valido per la guerriglia
ma decisamente poco utile in uno scontro frontale con i tank e l'artiglieria
dell'esercito serbo. Inoltre si deve aggiungere che i combattenti dell'UCK erano
per lo più contadini, studenti e gente con una preparazione militare
molto approssimativa (gli analisti affermano che l'UCK in un anno è passato
dalle poche centinaia di effettivi iniziali ad oltre 30000 alla fine della guerra).
Il principale luogo di ritrovo dei giovani di Peja è un locale chiamato
"La dolce vita", che trabocca di giovani e musica a tutto volume (pochissime
canzoni patriottiche, ma molta pop e motivi tradizionali riarrangiati).
Il giorno in cui siamo arrivati il comando della KFOR italiana aveva intimato
agli albanesi di rimuovere le loro (tante) bandiere nazionali (l'aquila nera
su sfondo rosso) poste su tutti gli edifici pubblici e sui balconi degli appartamenti.
Chiediamo a Mohammed, un leader della UPSUP, un giudizio sulla situazione nella
sua città (Istog) controllata dalle forze spagnole, la risposta perentoria
è "spanisch non democratic! fascists! but.....but UCK bumbumbubmbubum!"
accompagnando il rombo con un secco movimento dell'avambraccio.
Chiediamo anche qui dei rom e dei serbi scappati. Il coro è unanime:
la gran parte se ne è andata via perché aveva la coscienza sporca:
i capifamiglia si sono resi troppo spesso complici della pulizia etnica. E i
pochi rimasti hanno dovuto subire la rabbia di chi tornando non ha trovato più
nulla.
Mercoledì,
11 agosto
MITROVICA
A mitrovica ci
accompagna Agim (conosciuto la sera prima in un chiosco) un immigrato Kosovaro
che risiede nella provincia di Bergamo dove lavora in una grossa fabbrica di
trattori. Ci racconta che è tornato in Kosova dopo diversi anni perchè
il padre è stato ucciso dai militari serbi nei primi giorni di Aprile
quando è stato cacciato dalla sua abitazione di Prishtina.
Mitrovica è divisa in due da un ponte presidiato dei militari francesi,
la maggior parte degli edifici pubblici (l'ospedale, l'università ecc.)
si trova nella parte controllata dai serbi e adesso è divenuta una delle
enclave della oramai sparuta comuninità serba e rom.
Gli studenti albanesi della facoltà di Geologia (unica facoltà
presente a Mitrovica), i rappresentanti dei minatori (licenziati in massa, come
tutti gli albanesi che lavoravano nel settore pubblico, alla fine degli anni
ottanta) ci dicono (a noi e agli amici di Workers Aid provenienti dalla Catalogna)
chiaramente che non vogliono e non accetteranno mai una nuova Berlino nel loro
paese, inoltre rigettano qualsiasi idea di spartizione o cantonizzazione del
loro paese e per evitare ciò sono pronti a scontri con la KFOR che viene
avvertita sempre di più come una presenza non amica.