Discussione di mozioni in materia di istruzione scolastica.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Berlusconi ed altri n. 1-00148, Sbarbati ed altri n. 1-00172, Comino ed altri n. 1-00173, Diliberto ed altri n. 1-00176 e Mussi ed altri n. 1-00177 in materia di istruzione scolastica (vedi l'allegato A). Avverto che queste mozioni, vertendo sullo stesso argomento, saranno discusse congiuntamente. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni. Comunico che, secondo quanto previsto nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo del 25 giugno scorso, il tempo disponibile per la discussione è di 25 minuti per gruppo, comprese le dichiarazioni di voto, di 10 minuti per l'illustrazione di ciascuna mozione, di 30 minuti per il Governo e di 30 minuti per eventuali interventi in dissenso. Il primo iscritto a parlare è l'onorevole Berlusconi, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00148. Ne ha facoltà.
SILVIO BERLUSCONI. Signor Presidente, signor ministro, la questione della scuola è oggi, più che mai, una questione nazionale, decisiva per le sorti del paese e per la qualità della vita delle future generazioni. Dalle scelte che si faranno per la scuola dipenderà in gran parte il destino di quella riforma liberale della società e delle istituzioni che noi tutti del Polo auspichiamo e che rappresenta la ragione d'essere del nostro modo di fare politica e concepire la democrazia. Vorrei qui dire con forza a tutti, e in primo luogo al Governo, che il Polo per le libertà pone la riforma della scuola tra i punti più alti del suo impegno politico e programmatico. Da qui nasce la nostra mozione, la nostra richiesta di un serio dibattito. E' ormai tempo di aprire un confronto in Parlamento sulle linee di riforma della scuola e capire le reali intenzioni del Governo. E' tempo che in questa materia si proceda finalmente con scelte chiare e non contraddittorie. Non ha senso, infatti, discutere un progetto di riordinamento dei cicli scolastici o addirittura voler riformare l'esame di maturità, senza risolvere prima il nodo della parità tra scuola pubblica e scuola privata. Il tema della scuola libera è della più alta importanza. Ciò per molteplici ragioni. Ragioni di principio che riguardano la libertà di educazione ed il ruolo delle famiglie e che non possono non stare a cuore non solo ai cattolici ma a chiunque abbia una genuina concezione della libertà di iniziativa e ritenga, secondo il principio di sussidiarietà, che lo Stato non debba monopolizzare ma promuovere lo sviluppo dell'istruzione. Ma anche ragioni di fatto: se non si interviene rapidamente, la scuola libera in Italia è destinata praticamente a scomparire, a causa di una politica che ne ha costantemente ignorato le più elementari esigenze. Ragioni di fatto che riguardano anche il sistema scolastico italiano nel suo complesso: soltanto una libera e sana competizione, nel quadro di un organico sistema pubblico dell'istruzione, garantito nei suoi parametri fondamentali dalla legge dello Stato, può consentire il miglioramento qualitativo del nostro sistema scolastico, con una sua maggiore agilità e aderenza all'evolversi delle esigenze e delle situazioni, senza - nel medio periodo - un aggravio del bilancio dello Stato. Di fronte a questo obiettivo di superiore importanza per l'intero paese, le forze del Polo si muoveranno secondo una logica non di parte, ma ispirata unicamente agli interessi del paese, nella consapevolezza che soltanto da un ampio accordo può uscire, su un tema come questo, una soluzione durevole ed efficace. Fu questa già la linea del mio Governo che, con l'impegno dell'allora ministro D'Onofrio, perseguì tenacemente la ricerca di un ampio consenso per una legge sulla parità scolastica. E' la linea che seguiremo ora dai banchi dell'opposizione. Ciò che chiediamo al Governo è di presentare rapidamente una sua proposta, che contempli una effettiva parità per la scuola non statale, impegnando questa scuola a garantire gli standard qualitativi dell'istruzione e dell'educazione, ma rispettando pienamente l'originalità e la libertà dei suoi progetti educativi. Le vie concrete per il finanziamento della scuola non statale possono essere varie: le esamineremo con animo aperto, guardando, appunto, al concreto. E' indispensabile, comunque, che questi finanziamenti giungano al più presto e siano adeguati, perché, se vogliamo salvare la scuola libera in Italia, non abbiamo assolutamente più tempo da perdere (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale e del CCD). Chiediamo al Governo di presentare in tempi brevi i regolamenti e permettere così alle Commissioni parlamentari di utilizzare l'intero periodo previsto dalla legge per esprimere il loro parere. Anche il riordino dei cicli scolastici proposto dal Governo suscita la nostra più ferma contrarietà. Viene scardinato radicalmente l'impianto e l'architettura fondamentale della scuola italiana: si abolisce la scuola media, si stabilisce l'obbligo di frequentare la materna a cinque anni, si azzera e si ridefinisce la struttura delle superiori. E tutto questo contro i diritti delle famiglie. Ma non basta: l'insieme delle "linee per uno statuto delle studentesse e degli studenti", dei "principi per le nuove norme per la disciplina" e del disegno di legge sugli organi di governo delle scuole finirà per minare l'intero edificio della scuola italiana e vanificare ogni altra possibile riforma. E' giusto garantire agli studenti il diritto all'apprendimento, alla tutela della riservatezza, al rispetto della loro personalità, alla trasparenza della valutazione e a far sentire la propria voce. Ma in questi testi c'è ben altro. Si dà agli studenti la facoltà di decidere anche su materie che solo i docenti possono valutare. E' come se in campo medico si pensasse di tutelare i diritti dei pazienti, consentendo loro, non di scegliere il medico, ma di decidere la terapia. Tutto questo porta ad una limitazione pesante della libertà degli insegnanti, che anche per tali motivi si sentono sempre più umiliati e frustrati. Non c'è dunque da meravigliarsi se un gran numero di loro abbia chiesto di lasciare la scuola. Tutto ciò preannuncia un degrado tale da travolgere e rendere impossibile anche la migliore delle riforme. Molta preoccupazione desta inoltre l'intenzione del Governo di procedere ad una generale revisione dei programmi, prima che siano chiari i termini della riforma. Questo non potrà avvenire senza l'apporto del Parlamento, senza una discussione aperta, libera e democratica. Con questi intenti e nel rispetto degli ideali in cui crediamo, ci batteremo per le nostre proposte, contenute nella mozione che ho qui illustrato anche per ribadire le giuste prerogative del Parlamento. Da questa aula, dall'aula del Parlamento, ci opporremo ad ogni soluzione contraria alla libertà di scelta delle famiglie, alla libertà di apprendimento, alla libertà di insegnamento, alla libertà della scuola (Vivi applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia, di alleanza nazionale, del CCD e misto-CDU).
PRESIDENTE. E' iscritta a parlare l'onorevole Sbarbati, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00172.
LUCIANA SBARBATI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, voglio ringraziare il Presidente della Camera che ha consentito lo svolgimento di questa giornata di dibattito sulla scuola, sulla formazione e su tutti i problemi che sono connessi a questa vera emergenza nazionale. Desidero ringraziare anche tutte le forze politiche che hanno dato il loro contributo presentando mozioni che sono certamente diverse per impostazione culturale, per impostazione politica e per obiettivi, ma che contribuiscono tutte o perlomeno ne hanno l'intenzione a far sì che questa giornata di dibattito si concluda chiarendo i termini del problema. Infatti tutti dobbiamo attivarci per fare in modo che la scuola superi questo momento di grande difficoltà. Ritengo che il Governo e in particolare il ministro della pubblica istruzione abbiano fatto molto. Infatti, per la prima volta abbiamo avuto un ministro capace di intervenire nel mondo della formazione, dell'istruzione e dell'educazione con una vera e propria riforma di sistema che aspettavamo da quarant'anni. Credo anche però che il ministro abbia in qualche misura esagerato nel proporre a raffica una serie di riforme collaterali e collegate, spesso non in maniera organica, che la scuola ha vissuto effettivamente come un' overdose di interventi riformatori sui quali non è riuscita in un anno di tempo, che peraltro è molto poco rispetto alla grande portata di queste riforme ed al loro valore, a compiere una meditazione profonda e significativa. D'altra parte ho avuto modo di dire al ministro come, anche sull'impianto della riforma dei cicli, il cui documento è stato inviato a tutta la scuola italiana, alla società civile, alle organizzazioni sindacali, si è compiuto un errore grossolano, quello di non aver previsto un canale di rientro per il dibattito culturale, come invece si era previsto in altre occasioni e per altre questioni; mi riferisco, ad esempio, alla discussione sulla carta dei diritti e dei servizi, per la quale si era previsto un canale di rientro presso la Presidenza del Consiglio. Non so se poi qualcuno abbia preso visione degli elaborati della scuola italiana, ma il canale di rientro era stato previsto. Abbiamo presentato la nostra mozione con un atteggiamento di grande disponibilità, ispirataci da una visione laica della vita culturale e politica del paese, delle stesse istituzioni, nonché dalla ferma consapevolezza che soltanto mantenendo questa visione, rispettosa delle libertà, dell'equità, del pluralismo e del valore dell'individuo, possiamo uscire dalle secche di un dibattito che, caro onorevole Berlusconi, non si può incentrare soltanto sulla parità o sulle libertà, che peraltro la nostra Costituzione prevede e garantisce ampiamente. Il vero problema della scuola italiana oggi è un altro, lo dico a lei, al ministro, ai colleghi presenti in aula ma anche a quelli assenti che avrebbero dovuto invece avvertire il dovere morale di essere qui per assistere ad un dibattito così importante. Il vero problema è la "qualità dell'insegnamento" che dovrà produrre esiti di efficacia ed efficienza formativa che avranno riflessi sul mercato, in particolare su quello del lavoro, oltre che sulle persone. La "formazione per l'occupazione" non è uno slogan, è l'asse portante di una posizione culturale sulla quale si basa il progetto politico dell'Ulivo e si fonda il complesso intervento riformatore del ministro della pubblica istruzione. Per questo motivo, nella consapevolezza che i tempi sono cambiati, che occorre assolutamente raccordare il mondo della formazione a quello dell'occupazione, che bisogna cogliere i fermenti della società, del mondo culturale esterno alla scuola, del mondo del lavoro, delle innovazioni provenienti dalla ricerca scientifica e tecnologica, della multimedialità, dei nuovi linguaggi di settore sempre più specialistici, che creano continuamente un analfabetismo di ritorno pauroso, come possiamo constatare in varie occasioni (è sufficiente assistere a qualche dibattito per comprendere che oggi il vero problema è quello della cultura e della formazione continua), noi guardiamo con attenzione alla sua proposta, signor ministro, senza pregiudizi. La riforma dei cicli rappresenta una novità assoluta da prendere in considerazione con molto rispetto, se non altro perché, come ho già detto, è la prima vera riforma di sistema che rompe con le riforme di settore a "canne d'organo", ma non deve essere presa a "scatola chiusa" né deve essere impostata secondo la concezione che comunque i più forti hanno ragione. Con la fermezza che mi viene riconosciuta avverto che su tale progetto condurrò una battaglia per affermare i principi in cui credo e che hanno sempre ispirato la mia posizione politica ma soprattutto per l'affetto profondo e il rispetto che nutro nei confronti della scuola, dei giovani, degli insegnanti. Sicuramente tutti i colleghi del gruppo di rinnovamento italiano sono disponibili ed aperti alla cultura del cambiamento e ad una diversa visione della scuola, ma credo che, impostando il discorso sulla qualità, quello della parità sia un problema non prioritario né marginale. Al riguardo attendiamo il disegno di legge del ministro, non vogliamo scorciatoie di tipo amministrativo o regolamentare che sfuggano al controllo del Parlamento. Su questo condurremo la nostra battaglia e faremo valere il nostro pensiero fino in fondo nel rispetto della Costituzione italiana, che è un argine che non va rotto. Sgomberato il campo da possibili "pasticci", su tutto il settore cosiddetto non- profit, che supplisce lo Stato intervenendo nel campo dell'educazione e della formazione, il gruppo di rinnovamento italiano e in particolare i parlamentari repubblicani saranno disponibili ad aprire un dibattito; non lo saranno affatto per quello che concerne il settore profit. Se un'azienda, in quanto tale, agisce a scopi di lucro, deve ragionare e procedere secondo le regole del mercato, vale a dire assumendosi oneri ed onori ed assoggettandosi alle regole del rischio nel mercato, così come avviene per qualsiasi tipo di azienda. Non vedo perché le scuole private non debbano sottostare alle logiche del mercato e della libera concorrenza. Per il resto il problema lo affronteremo fermi sui princìpi della cultura laica quando vedremo il testo. Chiusa questa partita, signor ministro, vogliamo essere presenti al dibattito con una mozione che impegna lei ed il Governo, visto lo sforzo riformatore a condurre in porto le riforme. Voglio però esprimere delle remore. Esse si riferiscono al metodo e alla sua incapacità - lo dico in tutta franchezza - di dialogare con la stessa maggioranza che la sostiene, perché spesso molte difficoltà potrebbero essere superate prima che i testi di legge vedano la luce provocando effetti laceranti. Un confronto preventivo spesso consente di smussare angoli e di superare incomprensioni. Purtroppo questa incapacità di comunicare non riguarda solo lei, sembra che sia lo stile di questo Governo dell'Ulivo, come più volte ho denunciato. Il Governo deve dialogare di più sia con l'opposizione sia con la maggioranza, perché non si può pretendere che qui le regole le faccia soltanto chi ha il 30 per cento dei voti. Le regole le facciamo tutti, perché noi siamo stati eletti dal popolo italiano per rappresentarlo e ognuno di noi ha diritto-dovere di intervento e gli altri hanno diritto e dovere di ascoltare almeno le proposte sia dei singoli sia dei gruppi. Siccome io ritengo, nella mia concezione laica della vita, che nessuno sia più di me e nessuno meno di me, ci tengo oggi a sottolineare questo aspetto procedurale e comportamentale, perché io credo che nella diversità che vi è all'interno dell'Ulivo può nascere la vera ricchezza della coalizione, ma ciò si verificherà soltanto se la diversità delle impostazioni e delle opinioni sarà effettivamente recepita, e non soltanto durante le campagne elettorali, ma anche nel momento nel quale si vanno a delineare dei progetti di grande riforma come quelli riguardanti la pubblica istruzione e la formazione. Le diversità culturali che qui vi sono, da una parte e dall'altra, debbono essere tutte valorizzate quando si parla di formazione e di istruzione, perché proprio da queste e da ciò che faremo in tale settore dipenderà la creazione nel futuro di una società più giusta, che sappia ricostruire dei valori di riferimento basati sulla famiglia e sulla scuola, su ciò che oggi i giovani non riconoscono più come punto cardine della qualità della vita perché sono attratti da altre cose e da pseudovalori. Signor ministro, improntare una politica di grande riforma significa per noi, deputati del gruppo di rinnovamento italiano, impegno straordinario di risorse. Senza di esse, infatti, questi interventi sono puro velleitarismo e non potranno decollare! Il Governo dovrà pertanto individuare bene nella prossima finanziaria le risorse da destinare alla realizzazione di questo progetto ambizioso e necessario. All'interno di quest'ultimo si dovrà poi fare spazio anche all'iniziativa parlamentare che riguarda le proposte di legge per l' handicap, le lingue, la dispersione... PRESIDENTE. Onorevole Sbarbati, il tempo a sua disposizione è esaurito. LUCIANA SBARBATI. ...dei più deboli, il reclutamento degli insegnanti, le accademie e i conservatori, la qualità delle riforme stesse (Applausi dei deputati del gruppo di rinnovamento italiano)
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Rodeghiero, che illustrerà anche la mozione Comino ed altri n. 1-00173, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
FLAVIO RODEGHIERO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è bene che finalmente sul tema della scuola si abbandonino le posizioni ideologiche e quelle "identitarie", sulle quali ogni partito nel passato chiedeva il voto, che ne hanno bloccato ogni riforma e che si cominci davvero un reale confronto di fronte ai cittadini: quello che forse potrebbe iniziare fin da oggi in quest'aula! Dobbiamo però prendere atto con un certo rammarico che la proposta del ministro Berlinguer relativa alla riforma dei cicli scolastici non sembra andare nella direzione da noi sempre auspicata. Non ravvisiamo, infatti, in tale provvedimento alcun tentativo efficace di rimediare al degrado nel quale la scuola italiana sta versando da troppo tempo; un degrado che si ripercuote inevitabilmente sulle famiglie, sugli studenti, sugli insegnanti e sull'intera società. L'attuale tendenza sembra essere quella di impedire la formulazione di qualsiasi proposta educativa che non sia quella decisa dal "ministero della educazione nazionale" e così di fatto domani sarà per tutti più difficile dire o fare qualcosa di diverso da ciò che è stato già deciso come contenuto e forma della istruzione scolastica in Italia. L'importanza della scuola sta invece, a nostro avviso, nella possibilità che lo studente sia libero di pensare, agire e conoscere la propria storia e la propria cultura, per contribuire nel futuro fattivamente al miglioramento della società. La lega nord ha da sempre fondato la propria politica scolastica proprio sulla centralità della famiglia, che ha il diritto ed il dovere di occuparsi della educazione dei propri figli. Gli stessi genitori hanno contemporaneamente il dovere di provvedere al loro mantenimento e il diritto di scegliere per essi il tipo di scuola che meglio concretizza i principi morali e filosofici in cui credono. Tale diritto è tra l'altro sancito dagli articoli 30 e 34 della Costituzione italiana e sono da sempre disattesi dallo Stato italiano, e ancor più dall'attuale Governo, che pretende di controllare le coscienze degli alunni e dei loro genitori proprio attraverso la scuola.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI PETRINI (ore 11,23)
FLAVIO RODEGHIERO. Di fronte a tutti i più avanzati paesi del mondo, e addirittura agli Stati post-comunisti dell'est europeo, in Italia non esiste una legge sulla parità scolastica e le difficoltà di coesione interna dell'attuale maggioranza sembrano ostacolare qualsiasi proposta in tal senso. Il sempre più rapido evolversi dei bisogni formativi dettati dal mondo del lavoro richiede un innalzamento del livello culturale, in grado di eliminare l'antico dualismo tra l' homo sapiens e l' homo faber, innescando un processo di fattiva collaborazione mirata alla formazione dell'individuo e rispondente alle moderne esigenze, sintesi di cultura generale e di professionalità. Tutti i governi repubblicani che si sono succeduti in Italia hanno a gran voce annunciato riforme, che poi puntualmente non hanno realizzato. L'istruzione e la formazione professionale sono stati i temi marginali negli investimenti governativi. Sono mancate, dunque, una politica scolastica e formativa, una scelta di fondo; è stato preferito il controllo ministeriale alla valutazione di esperienze settoriali e locali consolidate, è stata scelta la via della colonizzazione della scuola in nome dell'unità nazionale disperdendo così, anche nei progetti recentemente avanzati, energie, denaro pubblico, professionalità e competenze degli insegnanti. Nella formazione professionale è invece essenziale rivedere e modificare le attuali qualifiche professionali perché vi sia la massima corrispondenza possibile con le qualifiche rilasciate dai partner europei, pena l'emarginazione della nostra forza lavoro nel mercato del lavoro europeo e mondiale. La lega nord per l'indipendenza della Padania intende impegnare questo Governo a riformare la scuola, rispettando il più possibile le specificità locali. A fronte di una volontà centralista dello Stato unitario, tendente a considerare tutti i suoi cittadini in modo uniforme, rivendichiamo il diritto a difendere e a valorizzare le differenze. La storia, le tradizioni, la cultura, i valori sociali fanno di ogni comunità locale un bene da difendere in ogni sede e non da considerare come semplice folclore. Una seria riforma della scuola deve necessariamente presupporre ampia autonomia didattica e finanziaria degli istituti, supportata dai giusti finanziamenti agli enti locali per le funzioni a loro spettanti. La legge n. 59 del 1997 in questo senso non è sufficiente a garantire un'effettiva autonomia delle istituzioni scolastiche, perché non possiamo attribuire la patente di autonomia ad un progetto che prevede i cordoni della Borsa sempre in mano al ministero, che garantisce uguali ed uniformi programmi scolastici a Rovigo come a Napoli e che non rende possibile fornire alle scuole personalità giuridica se non sono formate da un numero minimo di classi deciso dal ministero. L'autonomia scolastica su basi territoriali che chiediamo a questo Governo dovrà esercitare alcune strategiche funzioni: innanzitutto la realizzazione di opportunità educative e formative sul territorio; l'integrazione tra l'offerta scolastica, la formazione professionale e le risorse culturali e formative del territorio stesso. Il regime di parità che noi auspichiamo può essere realizzato solo con l'autonomia degli istituti scolastici che, in concorrenza tra loro, rendano possibile la scelta da parte dei genitori di iscrivere i propri figli alla scuola che risponde al meglio ai propri convincimenti etico-filosofici, che può essere, appunto, una scuola statale, non statale cattolica o non statale laica. Le famiglie potranno, quindi, optare per un istituto non statale, ma saranno ancora più libere nel decidere tra il laico o il religioso. In questo senso chiediamo che il Governo si impegni a realizzare il reclutamento del personale docente su base regionale. Attualmente il personale proviene sempre più da determinate regioni italiane ed è sempre più chiamato a svolgere un compito che non riguarda la sua specifica cultura, l'ambiente e la società in cui è nato e cresciuto. Soprattutto per quanto concerne la scuola dell'obbligo, le conseguenze di ciò sono un rafforzamento dei valori espressi dalla figura forte del docente, a scapito di quella debole dell'alunno, nonché il fenomeno dei continui trasferimenti che determinano una chiara impossibilità di operare un percorso scolastico lineare. Contemporaneamente, Presidente, auspichiamo che gli insegnanti godano di un trattamento economico dignitoso, parificato alla rilevante funzione sociale da essi svolta. Nell'arco della sua vita professionale il docente deve poter avere responsabilità e retribuzioni diverse, stabilite, però, non dall'anzianità, ma dai meriti acquisiti nella professione. In sintesi, signor Presidente, onorevoli colleghi, questo è quanto la lega nord per l'indipendenza della Padania chiede al Governo: un intervento necessario perché l'attuale mondo scolastico italiano si metta davvero in moto e assuma un ruolo competitivo in Europa, assicurando ai giovani un adeguato accesso al mondo del lavoro e fornendo ad essi gli elementi fondamentali per diventare protagonisti nella vita culturale, sociale e politica (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole De Murtas, che illustrerà anche la mozione Diliberto ed altri n. 1-00176, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
GIOVANNI DE MURTAS. Vorrei illustrare la mozione del mio gruppo fidando su una annotazione metodologica e per contrasto con l'impostazione e lo schema argomentativo della mozione del Polo per le libertà, illustrata poc'anzi dall'onorevole Berlusconi. Nella mozione di rifondazione comunista vi è un approccio critico, esplicito e forte in ordine all'evolversi delle scelte di politica scolastica che il Governo Prodi ha posto in essere in questi quattordici mesi di legislatura. La nostra vuole essere, tuttavia, una critica tanto radicale quanto costruttiva, perché pensiamo veramente che la centralità della scuola, posta a fondamento del programma di questo Governo, corrisponda ad una grande questione nazionale, una questione epocale, di cultura, di progresso e di civiltà; una questione finora negata e consumata nella sua connotazione di diritto universale, la cui tutela non può essere delegata a politiche di rigore, a tagli indiscriminati, a scelte che perseguono esclusivamente obiettivi di riduzione di spesa e di limitazione degli stanziamenti finanziari, come purtroppo finora è stato per il complesso delle risorse destinate alla scuola pubblica. Noi proponiamo dunque una mozione molto articolata che indica i punti di sofferenza più acuti in ordine ai ritardi strutturali del sistema pubblico dell'istruzione e non intendiamo concedere al Polo per le libertà l'arbitrio, del tutto strumentale, di nascondere dietro una presunta istanza di verifica politica l'obiettivo vero e principale della mozione che ha come primi firmatari gli onorevoli Berlusconi e Fini; un obiettivo che è ben illustrato dalla richiesta di pervenire ad una parità assoluta tra scuola statale e non statale, tra scuole pubbliche e scuole private, pretendendo dallo Stato un impegno diretto, sotto il profilo economico e finanziario, di sostegno al privato. Questa è certamente una richiesta legittima; si tratta di una richiesta del tutto sbagliata, impropria e fondamentalmente irricevibile - come noi, al contrario, sosteniamo nella nostra mozione -, ma legittimamente sostenuta per ragioni di carattere ideologico e culturale, di tutela di interessi economici od elettorali, per considerazioni che attengono all'organizzazione del consenso ed al controllo dei percorsi formativi nelle moderne società industriali. Riteniamo francamente davvero scandaloso nascondere la questione della parità tra scuola pubblica e privata utilizzando e piegando allo scopo il problema della riforma del sistema pubblico dell'istruzione e della formazione, non fosse altro perché quest'ultimo sistema è tutt'altra cosa rispetto alle scuole non statali, non ha alcuna attinenza con le scuole private - confessionali o meno -, riveste una natura e svolge un ruolo assolutamente incompatibili con il diritto soggettivo, regolamentato dalla Costituzione, di dar vita a scuole ed istituti di educazione privati. La riforma della scuola e la legge sulla parità non stanno sulla stessa linea di continuità, soprattutto se si pretende - come è nel discorso del Polo per le libertà - anche di fissare una scala di priorità e di porre dunque sul medesimo piano il pubblico ed il privato. Questa è anche - guarda caso - l'impostazione da cui parte la proposta D'Onofrio votata dalla bicamerale, contro la quale hanno votato i parlamentari di rifondazione comunista, che stabilisce un primato illecito del privato sul pubblico e che pretende di promuovere un discorso di complementarietà - o, se volete, di malintesa sussidiarietà - che intacca profondamente e, lo ripeto, in maniera del tutto illegittima, un'asse fondamentale della Costituzione repubblicana. Presidente, questo è esattamente il rovesciamento di valori sotteso alla mozione del Polo e che ha convinto noi comunisti ad una contrapposizione ideale e politica che non può e non vuole, vista l'importanza strategica dei temi in discussione, sottostare ad alcuna mediazione di basso profilo o di tattica contingente. Noi facciamo notare volutamente al ministro Berlinguer e al Governo nella nostra mozione l'importanza dei problemi legati al riordino dei cicli, all'applicazione della legge n. 59 sull'autonomia delle istituzioni scolastiche, alle conseguenze devastanti dei processi di ristrutturazione della rete scolastica, alle condizioni di lavoro e di trattamento economico del personale docente, al vastissimo e cronico fenomeno di precarizzazione dei rapporti di lavoro nella scuola, al legame tra la credibilità e la fattibilità degli obiettivi di rilancio e di sviluppo della qualità della formazione scolastica e la disponibilità di impegni finanziari certi e consistenti, nonché la possibilità di destinare al sistema della scuola pubblica un flusso straordinario e programmato di risorse. Non dubitiamo del fatto che il ministro Berlinguer sia assolutamente consapevole e convinto di questo. Egli infatti, in una intervista rilasciata al quotidiano la Repubblica non più tardi di una settimana fa, ha opportunamente argomentato sulla necessità ineludibile di un grande sforzo organizzativo e di un ingente impegno finanziario finalizzato al rilancio e alla riforma della scuola. Su questo siamo assolutamente concordi. Noi riteniamo che nei riguardi della scuola e della sua conclamata ma finora altrettanto contraddetta centralità il primo, doveroso atto di governo sia quello di rimetterla in corsa, di riavviare un funzionamento normale del sistema formativo, ponendo fine all'emergenza e ai decenni di latitanza dello Stato, all'abbandono al quale quest'ultimo ha condannato per anni la sua principale agenzia formativa. Questo può essere un grande obiettivo comune per noi, con questo Governo e con questa maggioranza, ma una sfida simile è persa in partenza, prima ancora di cominciare, anzi essa è letteralmente improponibile se le rovesciamo sopra, nei termini indicati dalla mozione del Polo, il peso della legge sulla parità. Non possiamo accettare, ripeto, che in maniera tanto plateale e provocatoria venga invertito l'ordine di priorità che l'emergenza scuola impone. I costi sociali ed economici di questa emergenza sono ingentissimi e la cosa più scontata, più semplice da sostenere rispetto ai ritardi finora accumulati, anche da questo Governo, è che invece di scegliere la legge sulla parità il Governo dovrebbe assumere ben altro impegno e rigore, per esempio a favore dell'elevamento graduale dell'obbligo fino al diciottesimo anno di età o per la difesa della presenza delle istituzioni scolastiche pubbliche nei territori falcidiati dalla razionalizzazione e dai tagli. In caso contrario, il disastro dei tassi elevatissimi dell'insuccesso e della dispersione scolastica continuerà ad essere irrimediabile e lo Stato continuerà a contraddire la Costituzione, proprio negli articoli 33 e 34, che prescrivono che la Repubblica detta le norme generali sull'istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. E' la Repubblica che si è data l'obbligo costituzionale di garantire in questo modo a tutti i cittadini il diritto allo studio e la possibilità di accesso all'istruzione. Mi chiedo, e chiediamo, perché mai dovremmo arretrare da questo compito, da questo dovere costituzionale, e sostituirlo o surrogarlo con le equiparazioni e i finanziamenti alla scuola privata. So bene che è anche una questione di costi e di equilibri finanziari, ma proprio per questo vorrei chiedere ai tanti liberali o ai numerosi cultori del liberalismo economico che affollano quest'aula per quale strano motivo, mentre sbraitano contro l'assistenzialismo statalista nell'economia e spingono ferocemente verso la privatizzazione e la dismissione di settori strategici dell'apparato industriale pubblico, poi, quando scendono sul terreno dell'istruzione e dell'educazione, subordinano proprio al sostegno pubblico, all'impegno finanziario dello Stato a favore delle scuole private, la libertà dell'iniziativa dei privati e la libertà della concorrenza e della competitività nelle scuole e tra le scuole. Tutto questo c'entra meno di niente con la libertà educativa, con la libertà dell'insegnamento, con la libertà dell'apprendimento: non è una questione di pluralismo perché per sua natura è proprio la scuola privata che nega e disconosce questi requisiti. Può farlo la scuola privata, è una sua facoltà farlo. Ripeto, è un diritto costituzionalmente garantito e riconosciuto, ma perché l'onere finanziario di questa facoltà dei privati dovrebbe essere sopportato o fatto proprio dallo Stato? Per quale motivo? Forse - e faccio un'ipotesi - proprio per i motivi che un liberale, un liberale che sta nella maggioranza di Governo ma che interpreta bene molte delle istanze rappresentate dalla mozione del Polo per le libertà ha esposto in questi termini: "I veri liberali non possono non avvertire il fascino dei buoni-scuola. Quel meccanismo consentirebbe infatti alle famiglie di scegliere davvero liberamente quale istruzione impartire ai propri figli e farebbe sentire i benefici effetti della concorrenza in un settore che ne ha tanto bisogno. Non possiamo tuttavia nasconderci il rischio che si generi un drastico spostamento della domanda di istruzione dalle strutture pubbliche alle strutture private e, dunque, vista l'incomprimibilità di breve periodo dei costi delle prime, un forte onere per il bilancio pubblico. "I veri liberali sanno che un sistema del tutto libero come quello che risulterebbe dalla concessione generalizzata dei buoni-scuola non è compatibile con la validità legale dei titoli di studio. Buoni-scuola ed abolizione del valore legale dei titoli di studio sono, dunque, obiettivi strategici da conseguire nel lungo periodo". Non so se i veri liberali, in nome e per conto dei quali si parla in questo intervento, siano ancora dei laici e non sono neanche in grado di valutare se le considerazioni che ho riportato corrispondano al millesimo alla richiesta che è nella mozione del Polo circa la predisposizione - viene detto - di norme di assoluta parità sotto il profilo economico, ma non penso sia questo il dato fondamentale. Avverto l'Assemblea che quello che mi sono permesso di citare è il discorso tenuto al Palavobis di Milano nello scorso mese di aprile dal ministro Lamberto Dini... GIACOMO GARRA. Questo lo avevamo capito!
GIOVANNI DE MURTAS. ...in occasione del convegno organizzato dal Polo per le libertà. Devo riconoscere al ministro Dini di aver esposto lucidamente quello che molti, nella maggioranza e nell'opposizione, intendono per parificazione tra scuole pubbliche e scuole private: intendono, anzitutto, la perdita secca e la sconfessione definitiva della centralità della scuola pubblica, un scuola che finora è stata una istituzione del ministero e che dovrà diventare una istituzione della Repubblica, ma che certo non può pretendere di avviare una riforma di tale entità contraddicendo all'origine la natura democratica e laica del proprio messaggio educativo, quello di una scuola pubblica e pluralista di tutti e per tutti, come le scuole private non potranno mai essere. Io penso, Presidente, che daremmo un motivo di dispiacere o che comunque deluderemmo coloro che intendono riproporre sul tema del rapporto tra scuola pubblica e scuole private la partita contrapposta tra riformatori e conservatori, dove i secondi - i conservatori, l'infima minoranza dei conservatori, tra i quali, per di più, allignano i comunisti - sono destinati ad una nobile battaglia in difesa della scuola statale che, ovviamente, è già persa ancor prima di essere combattuta, mentre i primi, cioè i riformatori, possono innalzare le bandiere del nuovo sistema pubblico integrato e porre fine ad una discriminazione che dura da mezzo secolo, ottenendo, in nome della libertà e del pluralismo educativo, di uscire dai vecchi e ristretti confini di un laicismo ormai superato per realizzare, appunto, la parificazione attraverso i finanziamenti pubblici alle scuole private e alla scuola cattolica in particolare. Non sarà così, non andrà in questo modo perché non sarà possibile ridurre la conflittualità o tacitare il dissenso rispetto ad un tema che ha sempre avuto una vastissima rilevanza sociale e che è capace come pochi altri di mobilitare le coscienze. Non sarà possibile - e non è nemmeno auspicabile - il superamento dei contrasti che nell'antagonismo tra scuola statale e scuola non statale hanno certamente segnato la storia di questa Repubblica e di questo Parlamento attraverso fasi e passaggi importanti di crescita della società civile nel nostro paese. Non sarà possibile barattare una questione politica e sociale di tale rilievo facendo finta che basta dare quattro soldi alle scuole dei privati per mettere fine all'antica querelle e per liquidare il vetusto passato di una sinistra laica e democratica sulla quale si vuole stendere il velo dell'amnesia storica. Non ci saranno solo i comunisti ad impedirlo: alcuni fatti sociali ostacoleranno il percorso di liquidazione così facile e scontato. Fatti sociali connessi alle politiche scolastiche dei decenni passati che hanno prodotto l'Italia descolarizzata ed analfabeta di oggi; fatti sociali che rientrano nelle situazioni di sottosviluppo culturale della società italiana nel suo complesso; fatti sociali che sono pesantemente espressi dalle cifre e dai numeri della nostra scuola, quelli che per esempio citiamo nella nostra mozione come il rapporto tra prodotto interno lordo e spesa pubblica che l'Italia destina all'istruzione ed alla cultura. Dati e numeri che, se confrontati con quelli dei grandi paesi industriali non ci permetterebbero davvero di entrare in Europa se solo nel trattato di Maastricht fosse stato inserito il rispetto di un simile vincolo, di un limite, anche di decenza civile, oltre il quale uno Stato deve smettere di distruggere la propria scuola, deve cessare di manomettere, attraverso scelte di depauperamento e di sottrazione sistematica delle risorse, i meccanismi normali attraverso i quali un moderno sistema dell'istruzione e della formazione può funzionare. Il 7,8 per cento dei giovani italiani non raggiunge oggi la licenza media dell'obbligo su scala nazionale, ma nel sud e nelle grandi agglomerazioni metropolitane la licenza mancata dai giovanissimi supera il 20 per cento e mentre i nostri studenti che prendono il diploma di scuola media superiore sono appena il 40 per cento, gli altri paesi industrializzati raggiungono percentuali del 70, 80 ed anche 90 per cento. Colleghi del Polo per le libertà, sono questi i numeri che avreste dovuto raccontare; magari con le parole di Tullio De Mauro: senza alfabeto niente democrazia, senza alfabeto solo sottosviluppo. Comunque avreste dovuto raccontarli, per dire come le disparità sociali ed il deperimento dei diritti democratici dei cittadini crescono proprio sul terreno della bassa o mancata scolarità, sul terreno dell'analfabetismo strumentale e funzionale, cioè di quella condizione che ancora esiste e si aggrava nel nostro paese e che riguarda da un lato coloro che letteralmente non sanno produrre una frase scritta e dall'altro i cittadini che, pur avendo acquisito la scolarità elementare, non hanno mantenuto e consolidato capacità di scrittura e di lettura di testi semplici, di vita quotidiana. Per essere chiari, in Italia - quinta, sesta o settima, non ricordo bene, potenza industriale del mondo - all'inizio degli anni ottanta gli analfabeti confessi, compresi coloro che non erano riusciti ad acquisire neppure la licenza elementare, erano più del 20 per cento della popolazione, secondo i dati dell'UNESCO. Ecco perché anche noi sosteniamo che gli articoli 33 e 34 della Costituzione non hanno avuto piena attuazione. Proprio perché il diritto a raggiungere i gradi più alti degli studi, sancito dall'articolo 34, non è reso effettivo, non è una facoltà disponibile, ancora oggi, per migliaia di cittadini italiani e non lo è proprio per il grado infimo di tutela e di sviluppo che il sistema pubblico dell'istruzione ha potuto acquisire nel tempo. Eppure si dice che occorre dare pochi soldi alle scuole private per risolvere finalmente una disparità storica grave che va superata. A parte che non si tratta di pochi soldi e che, come ben sappiamo, non sarebbero neppure i primi, ma fossero anche pochi o pochissimi - e ripeto che non lo sono - perché mai queste risorse minime dovrebbero essere sottratte al corpo docente della scuola pubblica, cioè a quegli insegnanti che sul piano normativo e retributivo sono trattati peggio di tutti i loro colleghi europei e non hanno uno straccio di progressione di carriera cui agganciare il miglioramento della propria professionalità, l'acquisizione e la verifica delle competenze e le aspettative di vita e di miglioramento economico? Se per pochi soldi si tratta di grattare il fondo del barile, perché non si pagano gli insegnanti precari, che restano mesi e mesi senza stipendio, che non sono retribuiti nei mesi estivi e nei periodi di vacanza, quando vengono licenziati e poi riassunti perché lo Stato deve risparmiare sulla spesa pubblica e risparmia sulla propria scuola? Perché quei quattro soldi - sempre per un discorso di priorità - non dovrebbero utilmente, e per motivi di equità sociale, servire ad evitare il blocco dei pensionamenti degli insegnanti che hanno maturato il diritto al trattamento previdenziale e ai quali si vorrebbe imporre di rimanere ancora nella scuola per due, tre o quattro anni? Perché nel mare magnum dell'"emergenza scuola", dove affogano l'edilizia scolastica, la disponibilità di moderne strutture didattiche, il rapporto alunni-classi, il piano della multimedialità, l'elevamento dell'obbligo, l'introduzione dello studio della seconda lingua comunitaria e quant'altro attiene alle necessità standard di gestione del sistema scolastico ed alle sue necessità di riforma, perché su tutte queste emergenze, dicevo, dovrebbe prevalere la questione della parità con le scuole private? Penso che il sostegno a tale scelta di parificazione in quest'aula sia ampio e che esso sia motivato da un progetto politico fondato, lo ribadisco, sul rovesciamento dei valori costituzionali di riferimento della scuola della Repubblica. Del resto, tale atteggiamento lo abbiamo ampiamente verificato in occasione della discussione sulla legge n. 59: quella, per intenderci, sull'autonomia delle istituzioni scolastiche. In quell'occasione vi è stato - soprattutto nel Polo delle libertà, ma non solo - chi ha progettato di sostituire all'incremento del bilancio della pubblica istruzione il cosiddetto "autofinanziamento" delle scuole: un meccanismo differenziato e discriminatorio, da introdurre nell'organizzazione scolastica pubblica per determinare una gestione privatistica, un modello aziendalistico dell'istituzione scolastica. Questo è stato il tentativo - allora fallito - posto in essere dal Polo delle libertà in occasione della discussione della proposta di legge Bassanini; un tentativo che ora ha ripreso vigore giocando la carta della parità; un tentativo - lo ripeto in chiusura del mio intervento - che opera una straordinaria manipolazione della Carta costituzionale e che precipita il settore pubblico in quelle stesse condizioni di illibertà in cui versa il settore privato dal punto di vista del pluralismo educativo e della libertà di insegnamento; prerogative, queste ultime, connaturate al sistema pubblico scolastico e negate - ripeto, negate - dalla scuola privata. Noi intendiamo contribuire a rilanciare in modo radicale e con il massimo dell'impegno e del rigore il sistema pubblico, che rimane il sistema della scuola della Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Castellani, che illustrerà anche la mozione Mussi ed altri n. 1-00177, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.
GIOVANNI CASTELLANI. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghi, la mozione che ho l'onore di illustrare si ispira al programma della coalizione dell'Ulivo, recepito nel programma del Governo, che pone lo sviluppo e l'ammodernamento del sistema scolastico come obiettivo prioritario per il nostro paese. E' ormai da tutti riconosciuto che l'avvenire di un popolo dipende in gran parte dalla scuola, dalla sua capacità di preparare le nuove generazioni a vivere in un mondo in rapida trasformazione, mettendole in grado di partecipare, con pienezza di competenze e su un piano di parità con i giovani degli altri paesi, alla società moderna, caratterizzata da fenomeni di mobilità anche internazionale che emarginano quanti non hanno adeguata preparazione culturale e professionale. Per il nostro paese è sempre più impellente la necessità di investire nelle risorse umane come vero fattore dello sviluppo e di individuare la scuola come luogo primario in cui questa valorizzazione deve avvenire, superando la dispersione scolastica, che è tra le più alte d'Europa. Per questo siamo convinti che debba essere compiuto un grande sforzo per un innalzamento complessivo del livello di formazione del nostro paese, sia qualitativamente che quantitativamente. Nel giugno dello scorso anno il ministro Berlinguer ha presentato alle competenti Commissioni parlamentari un progetto di modernizzazione della scuola che prevede diversi interventi qualificanti, fra i quali ricordo la riforma organica del sistema di istruzione, la realizzazione dell'autonomia scolastica, la riforma dell'esame di maturità, l'innalzamento dell'obbligo scolastico, la lotta alla dispersione e nuove strategie di orientamento e valorizzazione delle attitudini personali, l'utilizzo delle nuove tecnologie multimediali, la revisione dei programmi di studio, l'istituzione di un nuovo sistema pubblico di istruzione, all'interno del quale risolvere in modo costruttivo ed efficace il rapporto fra scuola statale e non statale nel quadro dell'accrescimento della diversificazione e dell'integrazione dell'offerta formativa; infine, la valorizzazione e l'aggiornamento del personale direttivo e docente. Questo programma è in corso di realizzazione. In Commissione in sede legislativa è stata approvata la disciplina dell'autonomia delle istituzioni scolastiche ed all'interno del cosiddetto pacchetto Treu sono stati inseriti i primi elementi per una riforma del sistema di formazione professionale. Con l'approvazione legislativa dell'autonomia scolastica si è raggiunto un obiettivo perseguito da tempo, che costituirà un pilastro fondamentale della riforma della scuola, ma anche una parte importante della riforma dello Stato. In una fase politica in cui sta maturando una nuova forma di Stato basata sul federalismo è quanto mai opportuno che si affermi l'autonomia di istituzioni sociali come la scuola rispetto non solo allo Stato centrale, ma anche rispetto a regioni ed enti locali, al fine di realizzare una concreta sussidiarietà sociale. Il processo di realizzazione dell'autonomia scolastica richiede ora che siano adottati i conseguenti provvedimenti di attuazione ed in particolare quelli concernenti il dimensionamento delle istituzioni scolastiche, superando i limiti degli interventi di razionalizzazione attuati fino ad oggi, l'effettiva estensione dell'autonomia a tutte le istituzioni scolastiche, la definizione dell'autonomia didattica ed organizzativa della scuola, la definizione di nuovi programmi e l'individuazione di obiettivi e standard nazionali; la costituzione di un sistema nazionale di valutazione, la formazione e l'aggiornamento del personale dirigente, docente e ATA della scuola; la riforma ed il decentramento del Ministero della pubblica istruzione, la dirigenza scolastica, il riordinamento degli organi collegiali della scuola a carattere nazionale e territoriale. Sono tutti interventi indispensabili per la concreta realizzazione dell'autonomia scolastica per i quali chiediamo un impegno forte del Governo nei prossimi mesi. Nel contempo le Camere esamineranno numerosi provvedimenti di iniziativa parlamentare e del Governo, fra i quali ricordo il disegno di legge di riforma degli esami di maturità (già approvato al Senato ed ora all'esame della Camera), il disegno di legge sul reclutamento del personale, che si propone il superamento delle attuali forme di precariato, il disegno di legge sul potenziamento dell'offerta formativa che prevede, tra l'altro, una maggiore diffusione della conoscenza delle lingue straniere, la proposta di legge sulla riforma delle accademie e dei conservatori, le proposte di legge di riordino degli organi collegiali di istituto, il disegno di legge di riforma dei cicli scolastici. Per completare il quadro della riforma complessiva del sistema scolastico programmata dal Governo mancava all'appuntamento solo il disegno di legge sulla parità scolastica. Abbiamo appreso con soddisfazione da un comunicato di palazzo Chigi che esso sarà presentato al Consiglio dei ministri venerdì prossimo. Viene così avviato a soluzione, nell'ambito di un sistema educativo pubblico integrato, un problema sul quale storicamente il paese si era diviso in termini ideologici, che finora non avevano permesso all'Italia di allinearsi in questo campo a tutti gli altri paesi europei. Particolare attenzione dovrà essere riservata anche al rapporto fra scuola e formazione professionale, che devono anch'esse essere integrate, se vogliamo cercare di rispondere al problema di dare ai nostri giovani un'adeguata preparazione per affrontare il difficile inserimento nel mondo del lavoro. Il patto per il lavoro stipulato fra Governo, sindacati ed imprenditori e le nuove norme sulla formazione contenute nel già ricordato pacchetto Treu costituiscono un primo tentativo di rafforzare questo rapporto. A fronte del disegno riformatore complessivo ora ricordato e che la coalizione dell'Ulivo condivide, apprezza e appoggia con convinzione, il primo impegno che con forza richiediamo al Governo è quello di sostenerlo con adeguati mezzi finanziari. E' necessario prevedere, a partire dal bilancio per il prossimo esercizio finanziario, consistenti stanziamenti per la concreta attuazione degli impegni del Governo e del Parlamento nel settore della formazione, nonché per l'elaborazione di un piano pluriennale di sviluppo della scuola. Sarebbe del tutto incoerente sostenere la priorità della scuola nel programma di Governo e poi lasciare questo settore privo delle risorse finanziarie necessarie al suo sviluppo. Un secondo impegno chiediamo al Governo, ed in particolare al ministro della pubblica istruzione, quello di definire un piano di formazione e aggiornamento per tutto il personale della scuola e di individuare modalità di valorizzazione della professionalità degli insegnanti con riconoscimenti economici e di carriera. Senza un corpo docente motivato non è possibile attuare alcuna riforma della scuola. A questo proposito, è necessario un grande impegno del Ministero della pubblica istruzione per rendere graduale e partecipato il processo riformatore, al fine di non aumentare il disagio oggi esistente fra gli operatori scolastici, che lamentano un disconoscimento sociale ed economico ed una vita scolastica che non premia la disponibilità e la dedizione quotidiana. Concludendo, signor ministro, noi invitiamo il Governo, e lei in particolare, a continuare con celerità, rigore e determinazione nella realizzazione del programma di trasformazione del sistema dell'istruzione già avviato nel primo anno di questa legislatura, in proficuo rapporto di collaborazione con le Camere, e ad adeguare le risorse finanziarie, sia pure con la gradualità richiesta dalla situazione economica del paese, alla dimensione del progetto riformatore della scuola, nella convinzione che le spese per l'istruzione sono investimenti indispensabili sia per la crescita culturale, civile e democratica dei cittadini sia per il futuro economico e sociale del paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei popolari e democratici-l'Ulivo e della sinistra democratica-l'Ulivo).
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Marinacci. Ne ha facoltà.
NICANDRO MARINACCI. Signor Presidente, signor ministro, signori colleghi, la decisione assunta dal Governo di optare per la strada del disegno di legge sul riordino dei cicli, e sottoporre così gli aspetti salienti della riforma stessa al giudizio del Parlamento, appare quanto mai opportuna. Opportunità che sarà colta in pieno solo se il ministero eviterà di trasformare la quiete dei mesi estivi in uno scenario privilegiato per il varo di nuovi, ulteriori e più stravaganti provvedimenti amministrativi. Sarebbe grave infatti - non ci stancheremo mai di ripeterlo - se a conclusione del doveroso iter parlamentare ci si accorgesse che la riforma è già stata fatta. In primo luogo, vogliamo ribadire che non potremo tollerare politicamente che su punti qualificanti, decisivi del processo di riforma il Governo ritenesse di procedere per la via meramente amministrativa, sottraendosi al confronto parlamentare e al dovere politico di richiede l'indirizzo del Parlamento. Anche lei - lo sa bene - richiama spesso e con toni di forte convinzione la necessità vitale per l'avvenire delle nuove generazioni di elevare la qualità del sistema formativo. Ma nei fatti la sua proposta di riforma dei cicli scolastici avrebbe, a nostro avviso, l'effetto diametralmente opposto. Senza neppure evocare temi come quelli della traumatica soppressione delle medie o del rischiosissimo anticipo dell'obbligo ai cinque anni, accennerò solo a uno dei problemi: non riformare potenziandola, ma scardinare, destrutturare, come lei sta proponendo, l'istruzione secondaria superiore avrebbe precisamente l'effetto di un ulteriore abbassamento drammatico dei livelli qualitativi, con un'inevitabile ricaduta anche sull'istruzione universitaria. Sarebbe il peggiore attentato agli interessi delle nuove generazioni. E' una questione nodale, dunque, signor ministro. E' essenziale che su di essa ci si confronti a fondo, discutendo in Parlamento il suo progetto di riordino dei cicli. In quella sede ognuno di noi si assumerà le proprie responsabilità di fronte alla nazione, proprio perché questa è la portata di quel che è in gioco; lei bene intende quanto sarebbe inammissibile e per noi intollerabile che il ministro ritenesse di anticipare scelte di tanta portata attuando di fatto gran parte della riforma - di questa riforma! - con una radicale modifica dei programmi operata per via amministrativa, come tecnicamente e formalmente sarebbe possibile. Quando, come in questo caso, la modifica dei programmi è parte sostanziale di un disegno generale di riforma e può in sostanza predeterminarlo, Parlamento e opposizione non possono essere messi di fronte, ancora una volta, a fatti compiuti. Le sue competenze in questo campo il Governo deve esercitarle sulla base di scelte di massima operate dal Parlamento. Tanto più lo diciamo perché in tema di programmi è molto preoccupante quanto è accaduto finora e comporta un'altra grande questione di principio, senza parlare delle circolari ministeriali che lei sta emanando. Nel merito e nel metodo infatti riteniamo espressione di un indirizzo molto pericoloso le scelte da lei operate, signor ministro, quanto ai programmi di storia sia circa l'insegnamento solo del novecento, o in parte solo di esso, sia, più ancora, con i programmi degli istituti professionali che lei ha firmato. Questi programmi sono tali infatti da precostituire un modello di interpretazione della storia cui gli insegnanti sarebbero tenuti ad attenersi. E' il fantasma di una storia e di una cultura di Stato che qui si configura. Se non si tratta di un incidente di percorso, in merito al quale ella annunci di voler ovviare al più presto, ma esprime il suo indirizzo di governo e il suo modo di intendere l'autonomia, dobbiamo dirle che noi coltiviamo una idea opposta di scuola; in nome dei fondamentali principi liberali di libertà della cultura, prima ancora che di quelli di autonomia. Altrettanto inaccettabile sarebbe che si volesse procedere in via amministrativa a emanare il cosiddetto "statuto delle studentesse e degli studenti". Esso non è affatto uno strumento per assicurare come è giusto, agli studenti i diritti al rispetto della propria personalità e far sentire la propria voce. Si tratta di ben altro e lei lo sa. Nel testo della bozza che lei ha diffuso, esso comporta lo stravolgimento del rapporto educativo, facendo del rapporto insegnanti-studenti una sorta di relazione contrattuale fra parti tendenzialmente avverse, il quasi annullamento dello strumento disciplinare, il trasferimento agli studenti - che non possono avere la competenza - di poteri decisivi sulle più delicate scelte didattiche. Ce n'è abbastanza per paralizzare le capacità professionali dei docenti, per rendere ingestibile qualunque scuola, per far fallire la migliore delle riforme. Per demagogia apparentemente filostudentesca si avrebbe, in realtà, non l'affermazione, ma la negazione del diritto primo degli studenti: avere una buona scuola. Occorre dunque discuterne a fondo. L'atto decisivo destinato a segnare la vita futura della scuola è l'emanazione dei regolamenti attuativi dell'autonomia e auspichiamo che il tutto avvenga in tempi rapidi e comunque prima della chiusura estiva delle Camere, se si vuole essere credibili. La libertà di insegnamento, la libertà di scelta per le famiglie e non per i genitori (la differenza è sostanziale, ministro!) fra opzioni educative e pedagogiche diverse: su questi principi deve essere retta tutta la scuola! Per questo vogliamo un'autonomia che sia davvero garanzia di queste libertà, così come la libertà e il diritto al sapere diventano nel contempo cognizione ed ermeneutica e non didattica e pianificazione degli alunni e quindi delle masse. Per queste ragioni si ritiene non più procrastinabile una legge sulla parità. Sia ben chiaro che non si può condizionare la concessione di qualche sovvenzione alle scuole non statali alla rinuncia da parte delle stesse alla loro libertà anche ad essere diverse dalla scuola statale. L'elemosina la scuola non statale non la vuole da alcuno! La parità deve assicurare alla scuola non statale la possibilità di rendere un servigio a tutti i cittadini, non solo agli abbienti, non deve rendere tali scuole una branca di "serie B" della pubblica istruzione e dell'elefantiaco apparato statale, nella speranza che la montagna alla fine non partorisca un topolino, per giunta questa volta morto (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CDU e del CCD).
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Bracco. Ne ha facoltà.
FABRIZIO FELICE BRACCO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, esiste un filo conduttore che lega il dibattito politico e culturale in Italia, in Europa, in America: la centralità della formazione, la scuola come luogo primario per far maturare le risorse umane, vera ricchezza di ogni paese, fattore indispensabile allo sviluppo, ma la scuola anche come luogo in cui si estende la democrazia e la cittadinanza, dove si acquisiscono le conoscenze indispensabili ad affrontare le trasformazioni velocissime e dirompenti del nostro tempo, a padroneggiare un mondo dei lavori in costante mutamento. Oggi il vero capitale di un paese risiede nella capacità di innovare, di gestire le trasformazioni padroneggiandole, di confrontarsi con altri sapendo sviluppare intelligenza e pensiero critico. Per questo occorre aumentare considerevolmente il numero di coloro che accedono alle conoscenze ed ai saperi. Solo così si avrà la garanzia di una società fino in fondo democratica. Anche formazione e lavoro sono oggi sempre più strettamente collegati. I processi di globalizzazione hanno profondamente trasformato il mondo della produzione. Le conoscenze di base indispensabili ad un lavoratore medio non solo sono aumentate, ma sono anche in costante cambiamento. L'avvento della società dell'informazione ha creato una rottura di paradigma nella tradizionale organizzazione del lavoro, ha portato e porta come conseguenza una trasformazione delle competenze e delle conoscenze dei lavoratori. La scuola italiana, da tempo abbandonata a se stessa, non è più adeguata alle domande che le vengono poste. L'alto tasso di abbandono dell'obbligo, la "mortalità" nel corso delle superiori, l'alto numero di analfabeti di ritorno e di analfabeti funzionali lo dimostrano. E' quindi arrivato il momento di dare vita ad un sistema di istruzione e di formazione più moderno, più utile, più flessibile e maggiormente in grado di indirizzare ed accompagnare il processo formativo dei bambini, degli adolescenti e dei giovani. Il lavoro che il Governo e il Parlamento hanno compiuto in quest'anno di attività va in questa direzione. L'azione del Governo, pur procedendo per interventi parziali, rivela un grande progetto, un progetto ambizioso: costruire un sistema di istruzione e formazione che consenta ai nostri giovani di affacciarsi alle soglie del 2000 ricchi di formazione civile, di capacità di continuare ad imparare e di adeguate competenze professionali. E' ormai legge dello Stato l'autonomia scolastica, che non a caso abbiamo voluto fosse contenuta in un provvedimento che riguardava l'amministrazione pubblica, perché per noi si tratta di una grande riforma istituzionale, che risponde all'esigenza diffusa di autogoverno e di progettazione dal basso; una riforma in grado di avvicinare la scuola al territorio ed in grado di attivare percorsi formativi originali, aprendo la scuola stessa ad un rapporto diverso con altre agenzie formative, superando l'unitarietà della classe e la rigidità dell'orario, in modo da far diventare i singoli istituti dell'autonomia la leva per la costruzione di un nuovo sistema di istruzione pubblica, in un ritrovato rapporto di partecipazione e di fiducia con i cittadini. E' indispensabile corollario dell'autonomia una radicale riforma dell'amministrazione scolastica, che trasformi il Ministero della pubblica istruzione in strumento di indirizzo e di governo del sistema dell'istruzione stessa, per garantirne l'unità e l'efficacia, fissando standard, provvedendo ad interventi perequativi e al coordinamento nella distribuzione delle risorse, nonché - in rapporto con le università - alla formazione ed all'aggiornamento degli insegnanti. Alla luce dell'autonomia si deve ripensare alla riorganizzazione della rete scolastica per superare definitivamente quel processo di razionalizzazione che nella sua attuazione ha presentato più ombre che luci, determinando in alcuni casi disagi e confusione. E' ora arrivato all'esame del Parlamento il disegno di legge di riordino dell'intero sistema di istruzione e formazione, il riordino dei cicli; un disegno di legge che estende l'obbligo scolastico e riorganizza l'intero ordinamento rendendolo più rispondente allo sviluppo psicologico e formativo dei ragazzi e delle ragazze anche dal punto di vista dei curricula, ponendo una particolare attenzione ai problemi dell'apprendimento e dell'orientamento. La vera novità di quel disegno di legge sta nel fatto che definisce il sistema di istruzione e formazione come un insieme di percorsi che, intrecciandosi l'uno all'altro, accompagnino il fanciullo, il ragazzo e poi l'adulto lungo l'intero percorso della vita e pone in termini nuovi il rapporto formazione scolastica e formazione professionale. Quest'ultima deve essere riorganizzata per renderla più rispondente alla necessità di acquisire nuove e più qualificate conoscenze anche nell'ambito del "fare" poiché rappresenta una vera e propria assicurazione sulla vita. Altri tasselli di un più complesso disegno innovatore stanno compiendo il proprio cammino, come la riforma degli organi collegiali, la riforma dell'accademia e dei conservatori e degli esami di maturità. Ma perché questo ambizioso progetto vada realmente in porto è urgente approntare un piano di formazione e aggiornamento del corpo docente che metta gli insegnanti in grado di svolgere al meglio il loro delicato compito. E' necessario valorizzarne ruolo e competenze, mentre bisogna dare risposta a quei tanti insegnanti che da troppo tempo svolgono il loro lavoro in una condizione di perenne precariato: a questo problema va trovata una soluzione definitiva che consenta a chi è già nella scuola di starci in tranquillità e a chi desidera entrarci la possibilità di accesso. Infine, non vogliamo sfuggire al tema posto al centro di alcune mozioni. In osservanza al dettato costituzionale riteniamo indispensabile una legge di parità che disegni un nuovo sistema pubblico di istruzione che ampli l'opportunità di offerta formativa. Ormai i tempi sono maturi e non ha senso una contrapposizione sterile tra scuola pubblica e privata; va invece colta l'opportunità di creare una sinergia proficua tra scuole statali e altre agenzie formative non statali per aumentare la qualità e la quantità della formazione. Una riforma di questo tipo richiede risorse ed investimenti. Certo, il paese è chiamato a responsabilità e sacrifici ma, se davvero crediamo che la formazione, gli uomini e le donne in grado di esprimere completamente le loro potenzialità siano davvero la risorsa che ci consentirà di entrare in Europa da protagonisti, allora non possiamo non vedere che esiste uno squilibrio tra quanto lo Stato spende e quanto si spende in formazione e per i giovani. Vorrei ricordare che proprio ieri è ripreso il confronto tra Governo e parti sociali sulla riforma dello stato sociale e che come punto all'ordine del giorno c'era proprio il capitolo "lavoro e formazione". Questa è la vera novità del percorso riformatore: la formazione come elemento fondativo di un welfare che punti sulle pari opportunità, sull'autonomia degli individui, sullo sviluppo delle capacità individuali e collettive anziché sul risarcimento sempre insufficiente di coloro che sono rimasti fuori, dei più deboli (Applausi dei deputati del gruppo della sinistra democratica-l'Ulivo e di deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti - Congratulazioni).
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Casini. Ne ha facoltà.
PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, signor ministro, l'apertura del dibattito sull'istruzione e sulla formazione voluta dai gruppi parlamentari del Polo evoca alla memoria i versi allegorici del Pascoli: "C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico...". Il nuovo è costituito dal ritrovamento di un ambito autorevole e pubblico per discutere sull'educazione e per esercitare un'azione di critica, di sensibilizzazione e spiegazione delle scelte che competono ai legislatori e ai governanti. L'antico è riferito al continuo ritorno del tema del rinnovamento dell'istruzione e della formazione, tema annoso ma espunto dall'agenda delle grandi decisioni, nonostante la bugiarda predicazione sulla sua importanza in una società democratica. Si tratta di una predicazione vana perché il grande dibattito fra le forze politiche e sociali si svolge su altri argomenti e perché finanziamenti cospicui sono destinati ad altri comparti della vita nazionale e l'istruzione e la formazione, sia per una preoccupante distrazione della gente comune, determinata da molteplici fattori, sia per una progressiva depressione della classe dirigente e docente, si affievoliscono e riducono la loro capacità di dialogo sino al limite dell'afasia. Infatti, le istituzioni dell'istruzione e della formazione evidenziano una arretratezza allarmante nei confronti dei sommovimenti sociali e delle conquiste tecnico-scientifiche e, nello stesso tempo, palesano un'inquietante impotenza nell'aiutare gli allievi nell'individuazione delle loro inclinazioni, delle loro attitudini e delle loro vocazioni. Insomma, la scuola assomiglia parzialmente al libro della sorella di Alice: un libro senza figure e senza dialoghi! Poiché non si vive altrove ma nel mezzo di una disputa assai controversa, si può tralasciare l'analisi dei mali che affliggono il sistema dell'istruzione e di formazione per procedere più proficuamente sino in fondo alla ricerca di soluzioni convincenti e durature da proporre per il suo ammodernamento. Questo tipo di indagine incrocia purtroppo un punto essenziale di contrasto tra le due impostazioni; perviene ad un discrimine tra due visioni dell'uomo e della società e perciò fra due concezioni dei fini, degli obiettivi, dei contenuti e dei metodi. Non sono un residuato di preclusioni ideologiche sempre deteriori qualunque sia la loro collocazione, ma l'esposto di progetti culturali, avendo due differenti ispirazioni. Da un lato, si colloca il progetto del Governo, che punta su una destrutturazione dell'assetto esistente per imporre uno schema rigido basato sull'anticipo a cinque anni degli apprendimenti, sulla terminalità a diciotto anni, sulla unificazione della cosiddetta scuola di base e sui cicli biennali, che saranno causa di un ulteriore aumento della dispersione e delle "mortalità" scolastiche. E' un'ipotesi che si può definire incompleta, perché accantona la formazione professionale, ignora la parità giuridica ed economica della scuola non statale e tace sul contenuto culturale dei curricula; ed è vecchia in quanto è la riesumazione di una proposta di legge che l'allora partito comunista presentò nel 1977, che fu più volte dibattuta (ho davanti a me alcuni stralci della ex rivista Riforma della scuola del 1984). E' un'ipotesi viziata da un proposito di discontinuità con la ricerca avviata dalla commissione Biasini; con le sperimentazioni realizzate da dirigenti e docenti generosi e preparati; con il patrimonio di idee accumulate soprattutto dalla conferenza nazionale sulla scuola, organizzata dal ministro, pro tempore, onorevole Mattarella, il quale dovrebbe ora provare un comprensibile disagio nel notare che il suo prezioso lavoro viene gettato al macero; con la tradizione scolastica italiana che nonostante le ombre, a cui si è accennato, mantiene punti di eccellenza pedagogica che altri paesi ci invidiano. E' un'ipotesi alterata da un presagio di terremoto che scompone la scuola elementare, cancella la scuola media, decapita la scuola secondaria, falsa il rapporto tra gli stadi dell'età evolutiva e le scansioni organizzative del sistema, mortifica l'obbligo di istruzione e di formazione ridimensionato in obbligo di scuola, peraltro bloccato a quindici anni. E' un'ipotesi che noi non possiamo condividere! E' un'ipotesi che distorce anche il ruolo della famiglia chiamata a collaborare con la scuola, quando da sempre si sa che deve essere l'esatto contrario. E' una proposta evanescente che non si misura con le istanze, gravide di conseguenze, delle risorse umane, scaraventate fra i cicli senza pensare al come, e delle risorse economiche previste in quantità irrisoria. Da un altro lato, compare il progetto del CCD, che si propone lo sviluppo migliorativo dell'esistente sulla base dei principi della diversificazione e della accessibilità. E' un'ipotesi alternativa a quella del Governo, i cui punti salienti sono contenuti nella mozione presentata dai gruppi parlamentari del Polo, e caratterizzata da una finalità educativa verso la quale sono indirizzate l'istruzione e la formazione; dal primato della famiglia che detiene il diritto-dovere originario e inviolabile dell'educazione; dalla continuità vista come processo dinamico tra l'evoluzione della personalità dell'allievo e il contesto di istruzione e di formazione; dai prerequisiti di ogni innovazione che sono l'autonomia piena delle unità operative e la parità giuridica ed economica tra le istituzioni statali e le istituzioni non statali all'interno di un sistema pubblico integrato; dalla flessibilità dell'impianto ordinamentale e curriculare al fine di consentire un adeguamento degli stessi alle realtà locali; dal rinnovamento profondo della scuola media e della scuola secondaria superiore senza porre l'intero servizio in uno stato di fibrillazione; dall'apprestamento di un sistema nazionale della formazione professionale, graduato e indipendente dal sistema scolastico, con passaggi e crediti di istruzione e di formazione fra i medesimi; dall'innalzamento dell'obbligo di istruzione, non di scuola, fino a sedici anni di età, e di formazione professionale, fino ai diciotto anni. Tra i numerosi aspetti elencati, il CCD attribuisce un particolare significato ed una grande valenza al riconoscimento, di cui ha parlato il presidente Berlusconi, della scuola non statale nella parità. Le ragioni che fondano questo impegno sono note. Torna vantaggioso anche per la scuola statale vivere e operare in condizione di competizione con la scuola non statale, in un quadro di integrazione e di equità. La questione irrompe con la massima sollecitudine e nell'attesa sentita di regole trasparenti. Per garantire il diritto di scelta dei genitori e degli alunni è necessario distinguere possibili tipologie di scuole non statali, prevedendo per ognuna gradi diversi di precettività e di sostegno; è necessario che nello statuto sia reso esplicito il progetto educativo che si intende attuare; è necessario che sia assicurata la libertà di reclutamento dei docenti da parte del gestore; è necessario, infine, che sia erogato dallo Stato un sostegno economico congruo, nelle forme e con obblighi che esaltino e non mortifichino la libera iniziativa. Qualsiasi forma di parità di trattamento giuridico, non rapportata ad un parallelo concetto di parità di trattamento economico, evidentemente finirebbe per affermare un principio e per mortificare di fatto la scuola non statale. Di fronte a questo bivio il cammino sembrerebbe arrestarsi, impedito da un dilemma aspro che impone una scelta. Che fare? E' una domanda che ha ascendenze lontane e che richiama l'urgenza di provvedere ad una trasformazione positiva degli ordinamenti e dei curricula; una urgente impresa che deve coinvolgere tutti, essendo l'istruzione e la formazione un problema di tutti, che non sopporta esclusioni pregiudiziali e furbizie tattiche. Sinora il Governo ha compiuto alcuni gravi errori di strategia, di cui il ministro della pubblica istruzione, con il rispetto che dobbiamo alla persona, deve assumersi la piena responsabilità. Sono errori che rischiano di aprire una voragine incolmabile tra la maggioranza e l'opposizione, spegnendo l'ultima labile possibilità di cooperazione in vista delle riforme della scuola e della formazione professionale. Si accusa il Governo, in particolare il ministro, di aver espropriato il Parlamento delle sue potestà e competenze; di aver occupato pervicacemente le strutture amministrative; di aver perseguito una gestione brutale del potere in favore di enti o di singoli soggetti appartenenti a ben definite aree politiche; di aver attuato una conduzione della pubblica istruzione fondata su interventi settoriali e a singhiozzo, recando un enorme malessere tra il personale ora in fuga dal servizio. Appare chiaro che il Governo, assecondando l'inclinazione verso modifiche silenziose effettuate per via amministrativa, mettendo altri organi dello Stato di fronte a fatti compiuti, predilige il modello reale e dedica ad esso tempo ed energie per trasfigurarlo con una miriade di atti secondo il proprio vangelo. Ed è altresì chiaro che il "riformone" è un modello attuale dal carattere illusorio ed evanescente, affascinante nella sua immaterialità e inservibile nella sua astrattezza; un modello costruito per confondere le idee e poter coprire iniziative concrete ed efficaci di revisione e di controllo del mondo dell'istruzione e della formazione. Si ritorna, allora, al quesito: che fare? La ripresa della scuola statale, la codificazione della parità giuridica ed economica della scuola non statale e l'incremento della formazione professionale sono i traguardi che il CCD ritiene indifferibili e per i quali intende offrire il proprio apporto, secondo le linee testé illustrate. Prima di ogni pur legittimo interesse di parte viene il potenziamento dell'istruzione e della formazione. Per realizzare questa nobile intenzione siamo pronti e disponibili ad intese che prescindano dal suo giudizio negativo, più volte espresso, sulla politica del Governo. Tutto questo può accadere solo se vengono rispettate alcune condizioni imprescindibili che possono essere enunciate sistematicamente e sinteticamente, data la loro facile comprensione. La prima: sdoganare le opinioni dalle certezze dottrinarie senza smarrire la propria identità. La seconda: osservare le soluzioni adottate negli altri paesi europei senza trapianti o fotocopiature. La terza: ripristinare la centralità del Parlamento senza finzioni o sotterfugi. La quarta: sospendere le riforme striscianti senza tarpare l'attività dell'amministrazione. La quinta: interrompere ogni provvedimento nel periodo estivo senza fermare le procedure in favore del personale. La sesta: riattivare le sperimentazioni coordinate e assistite senza limitarle a quelle del disegno di riforma basato sui cicli. La settima: abbandonare il videogame costruito a tavolino da alcuni "giocherelloni" della politica scolastica senza frenare gli interventi innovativi. Questi non sono dei consigli per gli acquisti, ma criteri da seguire per accelerare il passo delle riforme della scuola e della formazione professionale. Il ministro della pubblica istruzione può benissimo, con le deleghe che la maggioranza gli ha concesso, irridere questi suggerimenti e fare come crede. Può continuare a fare ciò che vuole; può persino continuare in una politica, su cui noi abbiamo molte perplessità - perché la stiamo monitorando -, di nomine disinvolte in ordine ai direttori generali. Non può però raccontare la favola dell'orco cattivo che gli sbarra la strada delle riforme o del mago buono che con un atto di magia cambia il vile metallo della scuola e della formazione professionale in oro pregiato, perché, ministro, l'orco non è l'opposizione ed il mago non è lei (Applausi dei deputati dei gruppi del CCD, di forza Italia e di alleanza nazionale).