PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Mazzocchin. Ne ha facoltà.
GIANANTONIO MAZZOCCHIN. Signor Presidente, cari colleghi, signor ministro, sono lieto dell'occasione che mi è riservata oggi di intervenire sull'argomento al nostro esame, che riporta al centro dell'attenzione un tema importantissimo per la vita presente e futura del paese. Mi sembra però che questo tema non sia molto sentito dalla maggior parte dei colleghi, peraltro di tutti i gruppi. E' questa l'occasione però per ricordare non al ministro - il quale certamente ben conosce questi problemi -, ma soprattutto ai suoi colleghi di Governo ed ai nostri colleghi, che in Italia non esistono solo temi e problemi economici. Certo, è indispensabile fondare il paese su corrette basi economiche, ma non tutto si esaurisce in teorie economiche spesso non verificate, talvolta non verificabili o addirittura variabili nel tempo. Di tutti i problemi e di tutte le speranze sollevate dal "ciclone Berlinguer" - mi si consenta questa libertà di espressione - mi soffermerò solo un momento sulla riforma dei cicli scolastici mettendo l'accento sulla parte finale del progetto, che corrisponde alla fine delle scuole secondarie. Trovo innovativa, interessante ed utile la riflessione sull'articolazione delle scelte dopo la maturità. Sono molto interessato alle occasioni post-secondarie (non ancora - esistenti in Italia), alle scuole professionali superiori e, naturalmente, alle università. Si ottiene così il risultato di ridurre la pressione sull'università (vista purtroppo da molti solo come l'occasione del rinvio del servizio militare e non invece come mezzo di crescita culturale). Si ha così l'opportunità di offrire scelte differenziate agli studenti e di adeguarsi a scelte europee. Rilevo ancora con favore l'intenzione di ripensare alla scuola professionale intesa ora erroneamente in Italia come la scuola dei "meno bravi" e troppo poco collegata invece al mondo del lavoro professionale. Su questo tema abbiamo esempi come quello tedesco molto significativi e, senza dover inventare, sarebbe sufficiente adattare, per quanto riguarda, ad esempio, la possibilità di accedere a politecnici. E' certo necessario collegare molto più strettamente il lavoro alla scuola. Alcuni temi del cosiddetto pacchetto Treu ne sono un esempio che dovrà essere ampliato e perfezionato. Deve passare il criterio della formazione permanente e dell'alternanza tra scuola e lavoro, non della corresponsione di sussidi di disoccupazione al buio. Dovranno essere accuratamente rivisitate le scuole professionali gestite dalle regioni, che non sempre rappresentano punte di eccellenza e di novità. Solo un accenno alla necessità di provvedere quanto prima all'assunzione di personale giovane nel mondo della scuola, in cui il personale è ormai invecchiato, demotivato e superato dalle riforme. L'imponente mondo del precariato, abilitato e non, attende con impazienza una possibilità di lavoro sicuro, possibilmente retribuito a livello decente e non come fosse un lavoro part-time. In conclusione, ricordo che un deciso impegno verso l'istruzione potrebbe avere solo un benefico effetto, facendo comprendere alla maggior parte della popolazione italiana, compresa quella del nord-est da cui provengo, certe differenze come quella tra federalismo e regionalismo, tra secessione ed autonomia, tra democrazia e demagogia, tra giustizia e giustizialismo. Mi auguro che col tempo tutti capiscano l'importanza fondamentale dell'istruzione nello sviluppo di un paese che voglia utilizzare al meglio le capacità intellettuali e la ricerca scientifica (Applausi dei deputati del gruppo di rinnovamento italiano).
PRESIDENTE. E' iscritta a parlare l'onorevole Napoli. Ne ha facoltà.
ANGELA NAPOLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, già dalle dichiarazioni programmatiche dell'attuale Governo e dalle sue in particolare, ministro Berlinguer, noi di alleanza nazionale avevamo tratto il convincimento che le aspettative per la scuola italiana non sarebbero state certamente tra le più rosee. Già allora, infatti, ella presentò una dichiarazione generica senza fare alcun cenno al ruolo della scuola nella trasformazione della società, né alla necessità della scelta del tipo di scuola con cui il nostro paese è obbligato ad accettare la sfida europea, né alla concretezza dei problemi della scuola. In una intervista rilasciata al quotidiano Il Tempo del 20 giugno 1996, lei, signor ministro, affermava: "In Italia non è possibile attuare un programma organico di riforme perché il Parlamento non è capace di produrle". Da allora lei ha continuato ad offendere il Parlamento, sottraendolo alle sue prerogative, procedendo a cambiamenti episodici, seguendo i vecchi criteri in modo automaticamente disorganico e creando un corpus normativo che ha finito con l'essere non adeguatamente armonizzato. Ma, ciò che più importa, ella ha continuato ad agire creando solo una drammatica dequalificazione della scuola italiana, ha offeso il Parlamento perché lo ha escluso dalla costruzione di una riforma al passo con i tempi e lo ha messo di fronte al fatto compiuto di programmi e nuovi ordinamenti già decretati o disciplinati. Nel paese reale è in atto un importante dibattito sull'ineludibile riforma del sistema scolastico, educativo e formativo, una necessaria ed importante riforma che dovrebbe scaturire da un dibattito approfondito e consapevole, senza turbative e manovre tendenti ad imporre soluzioni preconfezionate, con la partecipazione di tutte le forze politiche e culturali del paese. Lei, signor ministro, che fa parte di un Governo che ha fatto della concertazione la sua presenza quotidiana, non ha tenuto conto che gli indirizzi generali devono essere dettati dal Parlamento. Problemi complessi come quello scolastico sono di autentico interesse nazionale e possono essere risolti soltanto con il contributo comune di tutte le forze politiche. Evandro Agazzi, uomo non certamente della nostra area politica, scrive: "Quando è in gioco un problema di interesse comune, è lo spirito stesso della democrazia ad esigere che esso non venga risolto secondo gli interessi, i principi o le idee di una sola parte". Nessuna forza politica nella seconda Repubblica deve essere sottratta al necessario chiarimento delle proprie posizioni in materia scolastica. La scuola necessita e merita uno sforzo normativo più serio, un dibattito più ampio, fuori dalla demagogia e dall'approssimazione da lei usate. Onorevole ministro, attraverso l'isolamento del Parlamento e l'emanazione di 800 circolari e decreti ministeriali, peraltro privi di raccordo ed organicità, lei ha inteso fare pulizia sulla scacchiera e ridisegnare le pedine tutte da una parte, tutte con lo stesso colore. Tutti i documenti finora da lei emanati fanno riferimento ad un progetto educativo mirante a fare dell'uomo una risorsa adattabile ai cambiamenti imposti dal progresso, non tendono certamente a migliorare la qualità del "sistema istruzione". Nella scuola da lei voluta ciò che realmente conta non è insegnare ad imparare, a crescere, a formarsi, bensì è insegnare a conformarsi al modello di vita del pensiero unico. Il nostro sistema educativo è oggi agonizzante, è un sistema che ha visto declinare drammaticamente nel giro di pochi decenni e, in particolare, nell'ultimo anno - me lo consenta, onorevole ministro - la propria qualità. Occorre restituire valori, e quindi credibilità alle istituzioni scolastiche, sostituendo la qualità alla quantità delle istruzioni e, soprattutto, non procedendo per problemi disarticolati. La rivoluzione da lei proposta, ed in parte persino già attuata, non è la riforma della scuola auspicata dagli insegnanti, né garantisce la costruzione di una scuola europea. La sua non è altro che una caotica aggregazione di idee provenienti da altre esperienze europee o nord-americane, che mal si addice alla realtà del nostro paese. Nella scuola italiana occorre intraprendere con fermezza la strada del recupero culturale, certamente non ispirandosi ad una cultura funzionalistica, sociologica, efficientistica, non formativa, assolutamente inadeguata alla promozione dell'uomo e al bene del paese. Per noi di alleanza nazionale la scuola deve riprendere la sua essenziale funzione di ispirazione e formazione delle coscienze; la scuola deve essere animata da un serio e preciso concetto della cultura e della vita: una scuola autenticamente formativa e non aridamente informativa, che abbia come primo fondamento la trepidazione dell'educatore per l'età dell'adolescenza e della giovinezza in questa nostra epoca che agli adolescenti e ai giovani nulla o quasi ha saputo offrire sul piano degli ideali, delle aspirazioni, delle speranze, dei sogni; una scuola non ancorata al vieto nozionismo nominalistico della pratica didattica corrente, ma aperta ad ogni conquista di armonia interiore del discente; una scuola che orienti professionalmente il giovane, ma il cui compito primo e più importante deve essere quello della educazione e della formazione dell'uomo, una formazione non grettamente specialistica, ma operante all'interno della coscienza umana. La nostra visione della vita si ispira ai grandi valori umani e spirituali. La scuola, nel compito di istruire e formare uomini e cittadini, non può prescinderne. Occorre puntare sulla qualità dell'istruzione, respingendo l'appiattimento, l'egualitarismo innaturale, l'unicità dei percorsi scolastici, la scuola-parcheggio, le promozioni cartacee, i diplomi facili e senza contenuto, la confusione dei ruoli nel processo educativo. Onorevole ministro, lei non si è reso conto che con l'emanazione dei suoi provvedimenti sta, di fatto, privando gli studenti della libertà di apprendere. Quale sarà il compito educativo della scuola se dovesse essere applicato lo statuto degli studenti e delle studentesse della scuola secondaria superiore da lei proposto? Quale sarà il compito educativo della scuola se attraverso l'emanazione dei debiti formativi, formulati con i famosi asterischi, verrà data all'alunno la promessa della concreta prospettiva di un esito positivo? Quale sarà il compito educativo se la scuola verrà demagogicamente resa facile, dimenticando che lo stesso Gramsci, al quale ella ha invitato i docenti a fare riferimento, affermava che lo studio è un mestiere, ed anche molto faticoso, con uno speciale tirocinio oltre che intellettuale anche muscolare e nervoso ed un processo di adattamento e un abito acquisito con lo sforzo, la noia ed anche la sofferenza? Lei è convinto che solo lo sviluppo segni il progresso. Noi non intendiamo accettare che indottrinamento ideologico ed addestramento tecnologico prendano il posto di educazione ed istruzione. Il futuro si prepara nella scuola e ciò che abbiamo il dovere di dare ai giovani è un patrimonio di conoscenza e di cultura adeguato alle sfide che dovranno affrontare. Una scuola distratta, lassista, disinteressata ai contenuti disciplinari, all'eccellenza dell'insegnamento ed ai risultati reali dell'apprendimento non permette proprio ai giovani delle classi sociali più deboli l'avanzamento all'università, il conseguimento della laurea e l'introduzione più qualificata nel mondo del lavoro. Onorevole ministro, sappiamo che quando la scuola italiana si è sforzata di apparire moderna, egualitaria e comprensiva, il più delle volte è solo riuscita ad offrire ai giovani occasioni di malessere e di discriminazione, di pressapochismo, di tutto un po', senza evidenziare - mi permetta - serietà e scientificità. A questi fattori sono stati improntati i suoi provvedimenti amministrativi, come nel caso della riforma dei programmi di storia: vengono compressi i programmi di storia per fare posto al novecento, mentre letteratura, storia dell'arte e filosofia rimangono scandite secondo i vecchi schemi, con una sfasatura che crea solo confusione. Mentre il professore di storia parlerà delle conseguenze della seconda guerra mondiale, l'insegnante di storia dell'arte sarà fermo agli impressionisti, con il risultato che nelle menti degli studenti si creerà un bel caos interpretativo. E poi, quale storia, onorevole ministro, quella delle falsità, quella dei fraintendimenti? E' così che si ottiene il recupero dell'identità nazionale? La nostra nazione ha bisogno di una scuola che nell'Europa del futuro costituisca la forza trainante, anche per quell'unificazione politica e spirituale che è nei voti. La costruzione di una scuola europea riveste infatti un aspetto di preminente importanza nella prospettiva di un'Europa che non sia solamente un aggregato di interessi di carattere economico-mercantilistico o un semplice aggregato territoriale, ma costituisca un'unità che per essere politica deve anzitutto essere morale, spirituale e quindi culturale. Fino a qualche anno fa funzionavano due cose nella scuola: le elementari ed il liceo. Ce li invidiavano tutti i paesi civili. Adesso elementari e liceo stanno per essere fatti a pezzi. Il suo progetto complessivo della primaria, infatti, non appare più funzionale né migliore di quello esistente; anzi peggiore, perché vi sarebbe dispersione ed una perdita della professionalità degli insegnanti delle medie, divisi tra primaria e secondaria. L'azzeramento della scuola media, scuola orientativa per eccellenza, appare solo un risparmio di presidenze, segreterie ed edifici. L'uscita dalle superiori anticipata di un anno non sembra poi un gran vantaggio se questa scuola non avrà dato forti competenze di base, diversificate per attitudini e professionalità. E poi, onorevole ministro, occorre fare chiarezza, e non con le parole; è inutile richiamare, come fa il comma 2 dell'articolo 1 del disegno di legge sul riordino dei cicli scolastici, "i genitori nell'esercizio del loro diritto-dovere di educare ed istruire i figli", quando di fatto si impedisce loro di esercitare il diritto senza un vero sistema scolastico pubblico integrato. Il monopolio statale dell'istruzione è negazione della libertà. Solo l'esistenza della scuola libera garantisce alle famiglie alternative reali sia sul piano dell'indirizzo culturale e dei valori sia sul piano della qualità e del contenuto dell'insegnamento. Compito del Governo e del Parlamento è quello di garantire un sistema pubblico di istruzione che sia di servizio corretto ed efficace agli studenti ed alle famiglie. Questo sistema non necessariamente deve essere statale; anzi, proprio perché vi sono realtà scolastiche attive e formativamente efficaci, il sistema pubblico di istruzione deve comprenderle come facenti parte del sistema medesimo. Parità è l'elementare principio di libertà che dovrebbe darsi quasi per scontato in uno Stato in cui vengono rispettati i diritti fondamentali dei cittadini e degli uomini. Onorevole ministro, dov'è finito il disegno di legge sulla parità scolastica, la cui presentazione era stata fissata per lo scorso 26 giugno? Le difficoltà interne alla maggioranza politica che la sostiene le hanno forse creato la preoccupazione di non ottenere in data odierna il voto compatto sulla mozione a lei più gradita? Ed ancora, onorevole ministro, ella propone le innovazioni, ma non pensa a chi deve realizzarle. Una classe docente frastornata prima dal "va e vieni" delle notizie sul pensionamento, poi dal blocco dei pensionamenti stessi, intristita da una condizione professionale senza carriera, magri stipendi e scarse prospettive di cambiamento, viene coinvolta in una trasformazione di grande respiro senza una formazione degna e moderna. Lo stesso storico di area PDS, Nicola Tranfaglia, afferma: "Corsi di aggiornamento organizzati dal Ministero e dai provveditorati, dove il tradizionalismo ai programmi ministeriali e alle forme di insegnamento e la staticità hanno fatto da padroni facendo reagire con un atteggiamento di indifferenza o di passività". Nessuna riforma può essere realizzata senza ridare slancio, motivazione e forza professionale agli insegnanti. Purtroppo l'umiliazione crescente degli insegnanti di valore, un reclutamento per decenni privo di qualsiasi selezione, la minaccia dell'approvazione di una riforma della scuola ispirata a concetti egualitaristici inevitabilmente destinata a deprimere ulteriormente, allo stesso tempo, la preparazione professionale e quella preunitaria, obbligano al più radicale pessimismo circa il futuro della scuola e quindi del paese. Noi crediamo in una scuola in cui la dignità della missione educativa sia condizionata alla dignità dell'insegnante che aggiorni, affini, accresca la propria cultura approfondendo costantemente sia le proprie capacità, le proprie attitudini, le proprie aspirazioni, i propri convincimenti scientifico-culturali, sia le quotidiane esperienze didattico-pedagogiche. Ed infine, onorevole ministro, non si può pensare di affrontare i problemi attuali della scuola senza porre l'istruzione al centro di un programma di governo anche in termini di risorse finanziarie. Abbiamo sempre chiesto che almeno tutti i risparmi conseguiti sulla scuola vengano reinvestiti nella scuola stessa, ma giorno dopo giorno aumentano le nostre perplessità sulla reale volontà sua e di questo Governo di mettere in pratica la nostra proposta. Thomas Eliot affermava: "Nella vita di una nazione il sistema formativo è molto più importante del sistema di governo, perché soltanto un adeguato sistema educativo può unire la vita contemplativa, l'azione e la speculazione, la politica e l'arte". Ed allora è chiara la nostra richiesta: il Governo deve sentire l'esigenza, il dovere morale prima che politico, di dichiarare e di discutere insieme al Parlamento le linee complessive che legano i diversi aspetti - giuridici, amministrativi, culturali, politici, organizzativi - dei vari provvedimenti che si stanno prendendo e che stanno configurando una profonda modificazione del sistema scolastico e formativo e delle condizioni educative del nostro paese. E' anche per questo motivo che abbiamo sottoscritto e che voteremo la mozione del Polo. Lei, onorevole ministro, ha clonato le proposte scolastiche già avanzate dal partito comunista nel 1972: noi non vogliamo assistere impassibili alla clonazione delle anime, dei sentimenti e dei cuori (dei deputati dei gruppi di alleanza nazionale e di forza Italia).
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Voglino. Ne ha facoltà.
VITTORIO VOGLINO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, esprimo, a nome dei deputati del gruppo dei popolari e dei democratici-l'Ulivo, la mia soddisfazione perché in quest'aula si è finalmente convenuto di accendere i riflettori sul "pianeta scuola" per consentire un confronto ampio e serio. Questa è un'occasione significativa per rivedere insieme motivazioni e prospettive della formazione e dell'educazione per le nuove generazioni. La scuola al primo posto: così si leggeva nel programma dell'Ulivo, così stava scritto nelle dichiarazioni programmatiche del Presidente Prodi, quando in quest'aula, poco più di un anno fa, presentò il suo Governo, così, infine, abbiamo promesso ai nostri elettori noi popolari e democratici. Poniamo la scuola al primo posto, perché siamo convinti che, assieme alla famiglia, sia l'istituzione che più di ogni altra può, e quindi deve, aiutare i giovani a crescere sul piano umano, culturale e professionale, come persone, come cittadini e come lavoratori. Siamo convinti - la nostra è una radicale convinzione - che il problema della formazione nel nostro paese assuma il carattere di un'emergenza. Diversi sono i segnali di sofferenza del nostro sistema formativo: dobbiamo partire da qui se vogliamo costruire, se vogliamo confrontarci per costruire insieme. Dobbiamo intanto rilevare che il nostro sistema di governo scolastico è ancora fortemente centralizzato e burocratico e che vi è ancora scarsità di risorse impiegate. Dobbiamo altresì rilevare che nel nostro paese è ancora scarsa l'attenzione ai problemi della scuola: poca e scarsamente consistente è la convinzione che la scuola sia motore di sviluppo nel nostro paese. Osserviamo una debolezza negli anelli di giunzione tra i diversi ordini di scuola: bastino le percentuali ed i tassi di selezione e di dispersione, assai preoccupanti in certe zone del nostro paese. Osserviamo debolezze negli anelli di giunzione tra scuola, formazione professionale e mondo del lavoro e rileviamo rigidità nei percorsi formativi. Il sistema formativo purtroppo mantiene ancora una sostanziale connotazione classista e non riesce a svolgere un'efficace opera di integrazione sociale e culturale rispetto ad una consistente fascia di giovani con retroterra debole; gli sforzi di integrazione per gli alunni portatori di handicap vanno ulteriormente e significativamente accentuati. Rileviamo poi un deficit formativo del nostro sistema rispetto ad altri paesi europei, riscontrabile in termini di più basse percentuali di diplomati e laureati. Vi è una fragilità culturale del nostro sistema formativo, ancora troppo orientato a concepire il sapere in termini di conoscenza reale, mentre lo sviluppo complessivo della società, anche sul piano economico, implica la necessità di maturare nei nostri giovani l'intelligenza critica, la ricerca e l'approfondimento. Oggi è ineludibile la necessità di superare la tradizionale separatezza tra la cultura del sapere e la cultura del saper fare, tra la cultura accademica e la cultura del lavoro. Un altro segnale di sofferenza è l'obsolescenza del sapere: si rileva la necessità di rivedere i programmi di studio, sia alla luce di una loro attualità, sia soprattutto alla luce di una loro spendibilità umana, sociale e professionale. Infine, la struttura del sistema scolastico ci appare ancora fortemente piramidale, dove ogni ciclo di studio ha funzione fondamentalmente propedeutica rispetto ai cicli successivi. Deve assumere invece una struttura modulare, nella quale ogni segmento identifichi precise soglie da raggiungere e consolidi i risultati spendibili in termini culturali, scientifici e professionali. Credo, signor ministro, che pesi molto sul nostro presente il modo occasionale e frammentato con cui si è discusso di politiche formative nel nostro paese, oscillando da una logica esclusivamente "scuolacentrica" ad una visione di pura subalternità alle esigenze del mondo del lavoro. Però, sarebbe ingeneroso non riconoscere che questa scuola pubblica, questa scuola di servizio pubblico ha rappresentato e rappresenta un enorme patrimonio collettivo di professionalità e di storia, ha svolto e svolge una grande funzione di integrazione culturale e sociale, ha garantito e garantisce pluralismo e partecipazione. Eppure, questo nostro sistema formativo ha bisogno di compiere un grande salto di qualità e noi riconosciamo a questo Governo e alla maggioranza di aver lavorato in questi mesi in modo serio per predisporre un progetto riformatore tanto ambizioso quanto realistico che fosse in grado di dare delle risposte urgenti e significative alle sofferenze di cui abbiamo parlato. I tasselli di questo disegno si chiamano: autonomia, sistema scolastico integrato pubblico, riordino dei cicli scolastici, revisione dei saperi e tante altre iniziative politico-culturali che sono in cantiere. Con l'autonomia abbiamo voluto consegnare un pezzo di Stato alla società civile. La scuola, finalmente, sarà gestita dalle comunità scolastiche locali, dai genitori, dagli insegnanti, dagli studenti e dalle realtà locali. Con l'idea di autonomia abbiamo inteso anche procedere verso il concetto di parità ed approdare ad un più compiuto senso di servizio pubblico, ancorato non più alla proprietà ma alle regole generali tramite le quali lo stesso servizio viene governato e gestito. E' un problema culturale questo; è anche un problema economico, ma è soprattutto un problema culturale imprescindibile, che peraltro fa parte del programma dell'Ulivo. Con questi due grandi pilastri, altri ancora: sono tutte tessere che noi ritroviamo nella mozione Mussi, che noi condividiamo e apprezziamo per la sua chiarezza. Certo, si sta prefigurando un cambiamento profondo di tutto il sistema formativo e per la realizzazione di questo sistema sono necessarie alcune precise condizioni. La prima è che ci sia una seria campagna culturale, con adeguata preparazione dei dirigenti e degli operatori scolastici tutti. La seconda è che ci sia una sostanziosa destinazione di risorse finanziarie. Riteniamo che senza una convinta adesione dei docenti, infatti, nessuna riforma potrà mai avere successo. Ma questo si otterrà solo se gli stessi docenti avvertiranno che il loro ruolo sarà diventato importante e se constateranno nei fatti che il loro lavoro sarà adeguatamente remunerato. Concludo, signor Presidente, ministro e onorevoli colleghi, assicurando che per questa idea di scuola che percorre la mozione Mussi, sulla quale intenderemo nel futuro confrontarci in modo serio e serrato, per questo impianto riformatore che la mozione indica e definisce con chiarezza, per la predisposizione urgente delle condizioni che rendano praticabile la strada della riforma, per tutto questo insieme, il nostro gruppo assicurerà sforzo, impegno, collaborazione continui e leali, con la certezza che il ministro e l'esecutivo sapranno confortare e sostenere significativamente questo lavoro a cui certamente non mancherà anche l'apporto intelligente, come in passato, dell'opposizione. Ministro, sappia che il nostro gruppo terrà le ali ben aperte: la posta in gioco è troppo importante e il bene delle future generazioni troppo indispensabile. E' un appuntamento al quale non vogliamo né dobbiamo mancare (Applausi dei deputati del gruppo dei popolari e democratici-l'Ulivo)!
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Vignali. Ne ha facoltà.
ADRIANO VIGNALI. Presidente, colleghi, ministro, questo dibattito ha assunto ormai anche alcuni aspetti divertenti nella loro paradossalità. Sostenere infatti, come ha fatto poc'anzi l'onorevole Casini, che sulla scuola il ministro ha proposto e propone modifiche silenziose o riforme striscianti non è assolutamente rispondente a verità. Finalmente in questo paese si parla ogni giorno della scuola e sono ormai cinque mesi che discutiamo coram populo in tutta Italia di quello che egli stesso ha definito il "riformone". Stiamo dunque ai fatti, per favore, e cerchiamo di misurarci con la realtà concreta dei problemi. Ugualmente non posso accettare quella parte del discorso dell'onorevole Casini in cui ha accusato il ministro di cambiare surrettiziamente o di condizionare l'intero apparato burocratico del ministero. La mia convinzione, personale ma molto decisa, è che semmai il rischio è esattamente l'opposto; occorre procedere, così come abbiamo scritto nella nostra mozione, nella direzione di un ridimensionamento e di una ridefinizione complessiva del valore e del significato del ministero. L'altro aspetto paradossale e insieme divertente è che la mozione del Polo, estremamente sfumata e moderata nei suoi contenuti, con l'evidente strumentale intento di aprire delle crepe o delle divisioni nella maggioranza, in realtà, nel momento in cui si sostanzia negli interventi (dal primo che l'ha illustrata e poi nel seguito della discussione) rivela, al di là delle parole scritte in questa mozione in ordine alla necessità di modernizzazione e di aggiornamento del sistema scolastico, solo due logiche molto precise: la prima è quella della privatizzazione selvaggia della formazione della scuola; la seconda è quella del "profumo d'antico" che ho risentito anche in quella parte di intervento dell'onorevole Napoli, in cui si diceva che nella scuola italiana fino ad ora funzionavano bene soltanto la scuola elementare e il liceo e che in qualche modo, attraverso la riforma dei cicli, si vogliono smontare queste due cose. Se abbiamo nostalgia della scuola elementare di De Amicis e del liceo classico di Giovanni Gentile, allora diciamolo con chiarezza, ma non sosteniamo contemporaneamente che siamo per la modernizzazione e l'aggiornamento del sistema scolastico di questo paese. A mio avviso va ribadito (e prima di me lo hanno fatto altri colleghi nell'illustrare la mozione Mussi) che in realtà il livello dell'azione governativa si colloca esattamente all'altezza delle domande e dei problemi che ci vengono dalla società delle nuove generazioni. Noi partiamo dalla consapevolezza che è estremamente importante affrontare il tema della scuola e della formazione in questo ambito, in una fase politica in cui al centro della discussione vi sono i nuovi assetti istituzionali e si sta tentando di delineare un nuovo assetto dello Stato sociale. In realtà, lo sviluppo del diritto alla scuola e alla formazione durante tutta l'esistenza è una condizione reale, fondamentale e imprescindibile della formazione e dei diritti sostanziali di cittadinanza e di socialità. Dobbiamo intervenire proprio su questo e trovare un forte cemento di maggioranza anche al di là delle sensibilità o degli accenti diversi che sono risuonati oggi nell'illustrazione delle mozioni della collega Sbarbati e del collega De Murtas. E' su questo, su questi diritti sostanziali di cittadinanza e di socialità che si deve lavorare per dare risposte alle domande nuove ed a quelle che ci vengono poste dalle giovani generazioni. Sappiamo di partire da una situazione che presenta forti elementi di ritardo, di arretratezza e di non funzionalità, ma sappiamo anche che, al contrario di quanto diceva l'onorevole Casini, nella proposta dei cicli e nelle sue motivazioni culturali non c'è incoerenza rispetto ad altre proposte di riforma che sono state affossate in questi anni. Non si può non tener conto delle necessità provenienti dalla parte più avvertita, sperimentale ed innovativa della scuola italiana. Dobbiamo andare avanti in questa direzione ed anche in quella - rispetto alla quale gli accenti polemici sono incoerenti - di portare le giovani generazioni a conoscere la storia e la cultura del nostro secolo. Respingo totalmente l'idea che nello statuto dei diritti degli studenti ci siano parti che possano limitare o in qualche modo aprire delle conflittualità con gli insegnanti. Anche le recenti inchieste hanno dimostrato che i giovani, gli studenti, chiedono dialogo e collaborazione. Ebbene, in quello statuto sono poste le condizioni per la realizzazione di un clima di dialogo e di collaborazione. Dunque ormai il Governo e la maggioranza hanno delineato tutti gli elementi essenziali di riforma; si tratta ora di scegliere le priorità, di effettuare scelte coerenti ed efficaci con questo programma e con questo quadro di riferimento. Dunque, come è già stato detto e come abbiamo scritto nella nostra mozione, occorre stanziare risorse adeguate a partire dalla prossima finanziaria; è necessario tenere nella dovuta considerazione le esigenze di formazione e di aggiornamento e bisogna accogliere le richieste degli insegnanti sul versante della tutela dei diritti acquisiti e del precariato. Dunque l'autonomia deve essere intesa come coinvolgimento di tutti i protagonisti del mondo della scuola. E' questo l'ambito in cui l'iniziativa portata avanti è al livello più avanzato. E su questa strada dobbiamo procedere con decisione perché, se si hanno davvero a cuore i valori della libertà e se si vuole consentire la partecipazione delle famiglie, dobbiamo sapere che l'autonomia è il contesto che consente di far valere a tutti i livelli questi diritti di libertà e di partecipazione. Sotto traccia, non nella mozione ma negli interventi dei colleghi del Polo, emerge non tanto l'interesse per la partecipazione o per la libertà, bensì quello diretto a destrutturare il carattere pubblico e democratico nella scuola italiana per dare alla stessa un assetto privatistico che non appartiene né alla tradizione né alle esigenze delle famiglie, degli studenti, degli insegnanti e della società italiana. In tal senso, qualsiasi tentativo che vada verso questa linea di privatizzazione selvaggia e di destrutturazione ci troverà sempre nettamente contrari, mentre saremo disponibili ad accogliere le offerte di confronto nel merito che sono emerse in altra parte dell'intervento dell'onorevole Casini. Il fatto di misurarci sui problemi darà a ciascuno la misura di cosa è più importante, urgente e necessario cambiare (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista-progressisti).
PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Melograni. Ne ha facoltà.
PIERO MELOGRANI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor ministro, grazie ad uno dei tanti paradossi della storia, la sinistra italiana ha assunto la piena responsabilità di governo proprio nel momento in cui non le è più consentito di attuare in alcun modo gran parte dei suoi antichi progetti. Infatti, a causa del processo di modernizzazione in corso nel mondo e anche in Italia, la sinistra è costretta ogni giorno a tradire quasi tutte le idee che costituiscono ed hanno costituito l'asse portante della sua storia. Ha dovuto rinunziare alle nazionalizzazioni, deve ridurre la presenza dello Stato, deve abbandonare l'assistenzialismo, deve privatizzare le imprese pubbliche e deve sforzarsi, ormai, di favorire al massimo lo sviluppo delle imprese private. Per controbilanciare tante delusioni la sinistra cerca di consolarsi in altri campi, per esempio in campo scolastico, "sfrenandosi" al suo interno. Così accade che il della pubblica istruzione decida un riordino dei cicli scolastici prima ancora di avere consultato gli esperti che avrebbero dovuto presentare le proposte sui contenuti; accade che lo stesso ministero emani spensieratamente norme capaci di annullare la disciplina nelle scuole. Così accade pure che quasi tutte le proposte e le iniziative del Governo provochino nel mondo della scuola risentimenti, fughe, disordini e proteste documentati in abbondanza dagli organi di stampa. La scuola italiana certamente è in pessime condizioni e deve essere restaurata, rimessa in sesto; abbiamo però l'impressione che il Ministero della pubblica istruzione, anziché lavorare con serietà a questo scopo, sia in qualche modo travolto da una sconsiderata eccitazione. Tra le cause di questa eccitazione dobbiamo mettere anche la scarsa capacità di penetrare nella realtà del mondo moderno. Bisogna ammettere che in quasi tutti i settori di quest'aula si avvertono carenze culturali nei confronti della modernità. Ma quelli che sostengono il Governo sembrano inadeguati più di altri. Il processo di modernizzazione è veloce ma la scuola non può muoversi alla stessa velocità: deve essere più lenta, più attenta, più ponderata, altrimenti crollerà. E' assolutamente impossibile inseguire una società in cui ogni anno il 10 per cento delle professioni e dei mestieri scompare del tutto per essere sostituito da lavori nuovi; è assolutamente impossibile che le istituzioni scolastiche possano inseguire un mondo in cui tra soli dieci anni l'80 per cento delle tecnologie risulterà obsoleto. Cosa diciamo allora alla scuola? La scuola non specialistica, la scuola che non si occupa della formazione professionale, la scuola di base, la media inferiore e superiore deve fornire alcuni strumenti fondamentali validi sempre, in ogni epoca. Intendiamo qui riferirci all'italiano, alle lingue straniere, alla matematica, alla geometria, alla geografia, alla storia. Per accompagnare i cambiamenti credo che la scuola debba, per ciascuna delle materie o grazie ad una materia speciale, addestrare i ragazzi ad aggiornarsi. Non potrà fare più di questo, ma se riuscirà a farlo sarà già moltissimo. La mozione dell'onorevole Berlusconi impegna il Governo ad una discussione generale sul tema della scuola; ci auguriamo che essa possa aver luogo al più presto e non nelle forme astratte, superficiali e retoriche che spesso vediamo esercitarsi in quest'aula (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Orlando, iscritto a parlare: si intende che vi abbia rinunziato. E' iscritto a parlare l'onorevole Stucchi. Ne ha facoltà.
GIACOMO STUCCHI. Cari colleghi, credo che oggi si stia assistendo alla solita "manfrina", a questi attacchi tra destra e sinistra, tra "Roma Polo" e "Roma Ulivo", che poi, nella sostanza, non è altro - lo ripeto - che una specie di "manfrina" concordata. La questione scolastica è stata molto dibattuta in quest'aula e nelle Commissioni, ma non si sono mai trovate una soluzione e un accordo; spesso le differenze erano minime, spesso erano di sostanza. Credo che il ritorno di tale questione all'esame di quest'aula - dovuto probabilmente al fatto che il signor Presidente del Consiglio abbia tolto dal proprio cappello da prestigiatore, che egli utilizza normalmente nella sua attività governativa, questo argomento - sia necessariamente un modo - se vogliamo - anche per sviare l'attenzione del paese su scelte che sono ben più pesanti e più importanti rispetto a temi di questo tipo, sui quali parecchi concordano ma che poi, nella sostanza, non trovano una condivisione unanime perché - come dicevo prima - vi sono delle sfaccettature che differenziano le posizioni, perché ognuno vuole metterci del suo: e quindi, per questo motivo, restano bloccate! Ci mancherebbe altro che delle persone che credono in determinati principi venissero in quest'aula a dire che si debba negare la parità scolastica tra scuole pubbliche e scuole private, tra private laiche e private cattoliche; un atteggiamento di tal genere sarebbe fuori dal mondo e fuori dalla storia! Purtroppo vi è qualcuno che la pensa così. Per questo, forse, dobbiamo ricordare a tali persone che, quando si parla di riforma scolastica, non è l'unico argomento in discussione il discorso relativo alla parità tra gli istituti: esistono anche altre questioni che sono importanti. Credo che, dopo aver preso visione del contenuto delle varie mozioni, si possa esprimere un sentimento di depressione. Sono depresso, infatti, perché le soluzioni che vengono individuate in tali documenti riguardano solo alcuni particolari settori della scuola; in essi non vi è sicuramente un appiglio - che io ritengo fondamentale - e che sicuramente potrebbe consentire di migliorare il funzionamento delle scuole e, più in generale, di tutti gli istituti scolastici: mi riferisco a quello legato al radicamento nel territorio. La mozione della lega è l'unica che faccia riferimento a questo aspetto e che chieda che perlomeno vengano regionalizzati i concorsi per gli insegnanti, prioritariamente per gli insegnanti delle regioni: si avanza tale richiesta prioritariamente per salvaguardare le culture locali! Signor ministro, io non ho mai creduto alla cultura unica nazionale; del resto, vi sono alcune zone d'Italia nelle quali questa cultura viene apertamente rifiutata ed osteggiata: vi sono infatti alcune zone caratterizzate dalla presenza di etnie diverse che ben si guardano dall'utilizzare l'italiano e la cultura italiana come lingua e cultura comuni e quotidiane. Quindi, signor ministro, ritengo necessario prendere spunto anche da questo per fare un discorso più ampio, che deve riguardare le peculiarità di tutti i popoli italiani. Se è vero, infatti, che da 200 anni si sta tentando di creare questo tipo di cultura unica nazionale, è altrettanto vero che i popoli hanno sicuramente combattuto per evitare l'annientamento delle proprie culture, in favore di una cultura che sicuramente non era quella autoctona, che vedevano come straniera e soprattutto come colonizzatrice. Ed è per questo che quando prima il collega dei popolari - se non sbaglio - parlava del Veneto e del nord-est, probabilmente non riusciva a comprendere che mille anni di storia sono una cosa e 200 anni di storia sono un'altra cosa! Probabilmente le radici dei popoli e delle comunità si fortificano maggiormente con mille anni di storia, che non con soli 150 o 200 anni di unità! La nostra mozione, peraltro, presuppone taluni aspetti che riteniamo fondamentali, che sono comuni a quelli contenuti nelle mozioni di Roma-Polo e Roma-Ulivo. L'importanza della scuola è da noi condivisa, però deve essere una scuola che funziona, legata alla realtà locale. E' per questo che a noi piacerebbe - così sarà nella futura scuola padana - delegare la gestione degli istituti agli enti territoriali, agli enti locali, che bisogna responsabilizzare per conferire loro oneri ed onori. Quando una scuola funziona bene, quando una scuola acquisisce un blasone, allora vi è una sorta di sana competitività tra gli enti locali che permette davvero di migliorare anche il servizio. Signor ministro, dicevo prima che per noi è scontata la parità scolastica tra scuola pubblica, privata laica e privata cattolica; tuttavia ho anche detto che per qualcuno non è altrettanto scontato. Forse chi crede ancora ad un sistema centralista, che tende ad opprimere le persone e la libertà dei singoli in tutti i settori, può condividere quell'opinione, ma chi, con spirito libertario, afferma in quest'aula che è necessario lasciar esprimere nel migliore dei modi possibile le varie culture e quindi lasciare organizzare la gestione dell'istruzione a tutti i livelli alle persone capaci non fa una distinzione tra pubblico e privato, ma, appunto, tra capaci e incapaci. Costoro ci sono da tutte le parti, con il vantaggio, nel privato, che gli incapaci escono dal mercato e vengono rimpiazzati da altre persone disponibili a sostituirli possibilmente, anzi sicuramente, con migliori risultati. Il passaggio che citavo prima, relativo al reclutamento del personale docente prevalentemente a livello regionale - io direi di norma a livello regionale - è una ulteriore dimostrazione di come questo Governo, che tanto parla di decentramento e di federalismo, di fronte ad una proposta concreta di questo tipo, sicuramente non esprimerebbe un giudizio positivo. Lo dico con rammarico perché lo affermano gli stessi vostri rappresentanti - intesi come maggioranza - nelle mie zone, i quali dicono di condividere le nostre proposte e ci votano gli ordini del giorno in consiglio comunale. Sicuramente noi non agiamo all'interno degli enti locali, dove siamo presenti in modo diverso da come agiamo a Roma; diciamo le stesse cose, probabilmente in quelle sedi sono più sentite ed è per questo che i vostri colleghi convengono con noi. Qui siamo molto distanti dalla realtà di Bergamo, della Lombardia, della Padania in generale e quindi prevale una sorta di interesse nazionale che tende ad accantonare, a non voler vedere quella che invece è una realtà molto presente ed importantissima che vuole tutelare e valorizzare la cultura locale. Un'altra questione che ritengo importante, relativa al funzionamento delle istituzioni scolastiche, è quella dell'autonomia finanziaria. Non possiamo avere scuole che funzionano come il sistema degli enti locali, con una finanza derivata, che ha procurato agli stessi enti locali enormi disastri. Come possiamo pensare, allora, di poter gestire le scuole con lo stesso sistema? Dobbiamo invece responsabilizzare gli enti locali, affidare le scuole primarie ai comuni, le scuole secondarie alle province e, se vogliamo, l'università alle regioni, dando agli enti locali la possibilità di intervenire direttamente in materia fiscale per stabilire gli oneri della comunità per la gestione delle scuole. Ciò è fondamentale ed importantissimo, perché si va verso la logica della responsabilizzazione. Signor ministro, la futura scuola padana sarà libera, garantita e funzionale alle esigenze dei popoli e degli studenti padani. Quella che voi volete realizzare non è altro che una scuola partorita sulla base di scelte antistoriche, miopi e poco coraggiose; è l'esatto contrario delle scelte che devono essere effettuate se si vuole effettivamente progredire. Forse, signor ministro, lei ed il Governo tutto siete nostalgici del medio evo e quindi, volete conservare quello che funzionava allora perché avete paura di cambiare (Applausi dei deputati del gruppo della lega nord per l'indipendenza della Padania).
PRESIDENTE. E' iscritta a parlare l'onorevole Aprea. Ne ha facoltà.
VALENTINA APREA. Signor Presidente, signor ministro, colleghi e colleghe, la discussione della mozione Berlusconi ci dà la possibilità di avviare un dibattito sulle riforme scolastiche che finalmente avviene nella sua sede istituzionale, nel Parlamento chiamato a legiferare su questa materia in ordine ad aspetti rilevanti e non più procrastinabili. A tale proposito vorrei che si avesse la consapevolezza del fatto che alcuni eventi nazionali ed altri più propriamente internazionali, fin troppo noti, hanno determinato di per sé stessi l'agenda delle priorità per chi governa. Conseguentemente, il conflitto politico in questa legislatura si è spostato dal "che cosa si fa" al "chi lo fa e come". Se si riprendono i programmi elettorali del Polo e dell'Ulivo in materia scolastica si ha la dimostrazione di quanto risponda al vero quello che ho appena finito di dire: gli indici delle riforme risultavano perfettamente corrispondenti, anche se poi una lettura attenta consentiva di cogliere le differenze e le distanze tra le due proposte, tanto più evidenti ora attraverso gli atti politici ed amministrativi del Governo Prodi e del ministro Berlinguer. Chiunque avesse vinto le elezioni del 1996 avrebbe dovuto insomma riformare almeno quattro livelli del sistema: istituzionale, ordinamentale, giuridico e costituzionale. Detto questo, valutiamo allora cosa finora è stato fatto rispetto a questa agenda di politica scolastica e da chi (Governo, Parlamento, maggioranza, opposizione), ma soprattutto come si sta operando o si intenderebbe operare. A proposito del livello costituzionale ancora poco si può dire, visto che si è appena conclusa la prima fase dei lavori della bicamerale. Non vi è dubbio, però, che non saranno irrilevanti le conseguenze sul piano scolastico, soprattutto rispetto al nuovo rapporto - ci auguriamo - di dipendenza funzionale e non gerarchica tra istituzioni scolastiche ed enti locali, comuni e regioni. Certo, diciamo un "no" convinto ad ogni forma di regionalismo che avvicinerebbe, ma non abolirebbe il rapporto gerarchico-burocratico tra i diversi livelli dell'amministrazione, aumentandone i costi e le inefficienze. L'antidoto a questi rischi va ricercato secondo noi in una forte autonomia degli istituti scolastici. Siamo convinti che regolamenti attuativi dell'articolo 21 della legge n. 59 possono costituire la premessa più cogente per un decentramento funzionale - e non solo amministrativo - attraverso la definizione chiara ed inequivocabile delle funzioni che si intendono delegare alle scuole. Molto dunque, signor ministro, dipenderà da che tipo di autonomia lei vorrà prevedere nei regolamenti attuativi dell'articolo 21. Tale consapevolezza ci spinge in questa occasione a chiederle un impegno formale a che sia rispettata fino in fondo la prerogativa del Parlamento di valutare la sua proposta complessiva di attuazione delle deleghe in materia di autonomia scolastica, mettendo a disposizione delle Commissioni competenti tutto il tempo previsto per l'espressione del parere di merito. Non le nascondiamo, signor ministro, che nutriamo molte riserve sul buon esito di questo processo, visto che l'autonomia dell'articolo 21 è secondo noi ancora fortemente statalista ed eccessivamente sterilizzata rispetto ai contenuti innovativi. Non si è voluta prevedere l'autonomia finanziaria né quella territoriale. Ci sono troppe deleghe in bianco (si pensi alla riforma del Ministero di cui nulla si dice rispetto alla riallocazione delle funzioni ai diversi livelli dell'amministrazione), molti sono gli elementi di conservazione presenti, alcuni persino inconciliabili con un sistema scolastico prevalentemente orizzontale come dovrebbe essere il sistema delle autonomie (pensiamo al mantenimento degli IRRSAI, degli organi collegiali territoriali). Perché tante contraddizioni, signor ministro? Ad esaminarla in tutte le sue articolazioni la sua politica scolastica si è finora contraddistinta per un'ambiguità costante tra vocazioni e ambizioni tra di loro opposte. Da una parte, è fin troppo evidente l'aspirazione a passare alla storia come colui che ha saputo invertire il processo di degenerazione della scuola italiana riportando al centro i valori di serietà e di rigore nello studio e di professionalità nell'opera degli insegnanti, quasi a legittimare l'attuale coalizione di Governo come l'unica capace di sconfiggere quell'impasto di demagogie burocratico-sindacali e di varie eredità di un sessantottismo in putrefazione che tanto ha contribuito, lungo decenni, a paralizzare ogni intento di seria politica scolastica nel nostro paese. Dall'altra parte, vediamo compiere a lei e al suo Governo una serie di scelte di segno opposto, che hanno destato in noi massima preoccupazione, costringendoci a provocare questo dibattito parlamentare al fine di ottenere garanzie sul piano formale e sostanziale rispetto agli aspetti di riforma annunciati. In primo luogo, vogliamo dire a lei, signor ministro, come è già stato chiaramente ribadito dal presidente Berlusconi, che non potremmo tollerare politicamente che su aspetti decisivi del processo di riforma il Governo procedesse secondo la via meramente amministrativa, sottraendosi al confronto parlamentare e al dovere politico di richiedere l'indirizzo del Parlamento. La nostra proposta riformatrice e la nostra opposizione pongono di fronte al paese, in sintesi, un duplice problema, quello della qualità (mi ha fatto piacere sentirlo ribadire anche dall'onorevole Sbarbati) e quello della libertà nella scuola. Ma è proprio da questo punto di vista che la sua linea di governo desta in noi un profondo allarme, e su questo terreno non subiremo inerti dei fatti compiuti. Ci preoccupano, infatti, alcuni atti politico-amministrativi che lei ha varato in palese controtendenza con il processo autonomistico. Intendo elencarli per evidenziare la caratteristica centralistica e dirigistica, che mal si concilia ormai con il clima che vorremmo respirare anche in viale Trastevere e che invece sembra guidare insistentemente la sua azione di ministro. Penso all'ordinanza sulla storia del novecento, che ha di fatto limitato la libertà di insegnamento; non contestiamo lo studio della storia contemporanea, su cui siamo pienamente d'accordo, ma le modalità che sono state prescelte e indicate ai docenti. Lei ha sconvolto dall'oggi al domani i programmi di scuola e grave allarme desta in noi, in particolare, l'appena avvenuta riforma dei programmi di storia per gli istituti professionali, che indicano non solo i periodi di cui ci si deve occupare ma anche quali aspetti del passato debbano essere valorizzati, quali contino davvero; il che equivale a dettare una interpretazione della storia a cui i docenti e gli autori dei libri di testo sono invitati ad attenersi. E lei ha appena varato un provvedimento che parla di autonomia didattica! Vi è stata poi l'attivazione del progetto per la multimedialità, che prevede un ruolo predominante delle direzioni generali nella gestione dei finanziamenti, in un'ottica verticistica, burocratica e persino clientelare. Abbiamo assistito poi al ricorso ad un decreto interministeriale per la razionalizzazione della rete scolastica, che ha previsto tagli e ridimensionamenti degli organi provinciali, scavalcando i provveditori agli studi, che avrebbero dovuto al contrario, in base alle norme stabilite dalla legge finanziaria, programmare con gradualità il rispetto delle esigenze territoriali e gli interventi di razionalizzazione. Ancora, l'autorizzazione di numerose nuove sperimentazioni sul territorio nazionale, finalizzate ad anticipare la riforma del riordino dei cicli prefigurata dal Governo e le oltre 800 circolari emanate fino ad oggi in ossequio alla peggiore tradizione statalista della gestione delle istituzioni scolastiche. Persino catastrofiche, infine, si prospettano le soluzioni con cui il ministro intende impostare le relazioni tra studenti ed insegnanti. E' stato già detto, ma intendo ribadirlo: siamo dell'opinione che il combinato disposto delle linee per uno statuto delle studentesse e degli studenti, dei principi per le nuove norme sulla disciplina e del disegno di legge dell'Ulivo sugli organi di governo delle scuole abbia la portata di una bomba, capace di minare l'intero edificio della scuola italiana e di vanificare ogni altra possibilità di riforma. In particolare, lo statuto rappresenta uno stravolgimento del rapporto educativo, facendo del rapporto insegnanti-studenti una sorta di relazione contrattuale tra parti tendenzialmente avverse. Occorre pertanto rivederlo. Ci auguriamo inoltre che la discussione avviata nella VII Commissione sulla riforma degli organi collegiali possa portare ad un confronto sereno delle diverse proposte depositate, evitando che si assuma come testo base la proposta dell'Ulivo, che appare, non solo a noi dell'opposizione, troppo conservatrice e presenta persino peggioramenti delle situazioni esistenti, riferiti sia al numero esorbitante di organi previsti sia alla sovrapposizione delle funzioni degli stessi. Invece della competenza il principio ispiratore è la rappresentanza, invece della collaborazione tra le componenti scolastiche il criterio è l'assemblearismo. Infine, vorrei qui accennare ad altre due scelte governative davvero sconcertanti. Parto dall'istituzione di un servizio nazionale per la qualità dell'istruzione che dovrebbe precedere l'istituzione del servizio nazionale di valutazione. Tale servizio era stato immaginato come esterno all'amministrazione e in questo senso si erano espressi il CNPI e la maggioranza delle forze politiche, incluso il PDS quando non era ancora al Governo. Scopriamo invece che la direttiva n. 307 del 21 maggio affida sostanzialmente all'amministrazione tale servizio, utilizzando i direttori generali, il CEDE (servizio di consulenza alle dirette dipendenze del ministro che ne determina con propri atti la composizione), nonché dirigenti amministrativi ed ispettori. Né manca un comitato tecnico scientifico direttamente designato dal ministro, che rafforza l'intreccio di competenze attribuite al ministro e al ministero, arrivando ad edificare un vero e proprio monumento autoreferenziale ed autocelebrativo. Come giustifica lei, signor ministro, questa scelta e, soprattutto, da che cosa dovremmo dedurre che essa sia realmente transitoria? Noi leggiamo solo una volontà di restaurazione del potere e della gestione da parte dell'amministrazione, che non accetta l'idea di dover assumere semplicemente il potere di indirizzo, così come prevede ancora la legge n. 421 del 1992. Per ultimo, ci sembra inopportuno e perfino inefficace il mantenimento del disegno di legge di riforma degli esami di Stato appena licenziato dall'altro ramo del Parlamento. La proposta, che poteva avere un senso quando un anno fa venne presentata da lei, signor ministro, al Senato, oggi appare già superata in considerazione delle riforme avviate o annunciate. Che senso ha riformare il segmento degli esami di maturità, riferendosi alla scuola così com'è, senza considerare adeguatamente come potrebbero cambiare anche gli esami di maturità ad autonomia avviata, nella prospettiva del riordino dei cicli e della parità tra scuole statali e non statali? Noi rilanceremo in questa occasione l'abolizione del valore legale del titolo di studio, più che mai attuale in un sistema scolastico che si avvia verso l'autonomia, e forme più moderne dell'accertamento del compimento degli studi di quanto non proponga il testo governativo, peggiorato - è il caso di dirlo - al Senato. Valutando poi il disegno di legge sul riordino dei cicli, che rappresenta la proposta più complessa dell'azione politica di questo Governo, è per noi importante stabilire se attraverso queste riforme la scuola sarà più o meno libera, se sarà più o meno di qualità. Il Governo ed il ministro devono dimostrarci in modo chiaro come riusciranno a coniugare qualità e libertà. Intanto voglio qui fare una osservazione di ordine generale. All'articolo 1 del disegno di legge si afferma che i genitori collaborano con le istituzioni scolastiche nell'esercizio del loro diritto-dovere di educare ed istruire i figli. Per noi, al contrario, la centralità dell'educazione è e resta della famiglia e dunque è la scuola, signor ministro, che deve collaborare con la famiglia e mai viceversa. Non sono disquisizioni secondarie, poiché la dicono lunga sulla diversa visione che noi, rispetto a voi, abbiamo della società, dello Stato e della famiglia. Non possiamo non evidenziare, inoltre, che con questo disegno di legge si scardina radicalmente l'impianto, l'architettura fondamentale della scuola italiana: si abolisce la scuola media, unendone una parte alle superiori e l'altra alla scuola di base, con la prospettiva di una definitiva secondarizzazione delle elementari; si stabilisce l'obbligo di frequentare la materna a cinque anni, con ricadute negative sui diritti delle famiglie e con sicuro sconvolgimento negli equilibri fra elementari e materne e fra materne statali, comunali e private; si azzera e si ridefinisce la struttura della scuola secondaria superiore, non riformandola ma facendole perdere identità e, di per ciò stesso, abbassandone il livello qualitativo. Al di là del macchinoso progetto di ingegneria pedagogica, del tutto teorico e la cui validità è interamente da dimostrare, chiediamo al Governo se la scuola sarà nel giro di pochi anni in grado di reggere uno sconvolgimento così generalizzato di ruoli, tradizioni, abitudini, come quello da voi ipotizzato. A quali espedienti il Governo ricorrerà per evitare di gettare la scuola in un marasma generalizzato di crisi di identità e di tensioni difficili da reggere? Certo, come abbiamo avuto modo di dire in questi mesi abbiamo colto nella proposta anche alcune indicazioni intelligenti ed opportune. Tuttavia a noi sembra che nell'insieme il progetto sia tuttora carico di ambiguità. A seconda di come queste verranno sciolte, di quella che ne sarà l'interpretazione autentica, esso potrà rappresentare una base di confronto per una grande riforma che questo Parlamento potrà varare - ovviamente cogliendo i contributi e le proposte di tutte le forze politiche in esso rappresentate - ovvero potrà costituire, probabilmente anche contro la volontà di chi l'ha proposto, l'inizio di un degrado irreversibile del nostro sistema scolastico. Rispetto alla parità ci preoccupa che si possa dar vita ad un unico sistema educativo misto pubblico e privato, ma di fatto dominato e controllato dallo Stato che può produrre solo subordinazione ed omologazione. Non vorremmo che alle scuole non statali, alle scuole oggi libere, venisse chiesto molto in termini di adeguamento agli ordinamenti statali e concesso poco in termini di aiuti finanziari; si parla solo di contributi parziali e non da subito, rinviando magari la copertura finanziaria della legge di parità al 1999 o al 2000. In questo caso non si potrà parlare neppure di sistema pubblico integrato vero e proprio, visto che non ci sembra che vi sia la volontà di prevedere l'estensione delle prerogative delle scuole non statali afferenti a tale sistema a tutte le altre scuole statali, negando così qualsiasi possibilità di parificazione reale tra tutte le scuole pubbliche. Noi ci batteremo perché la legge di parità sia una legge di libertà, sia per le scuole non statali che per quelle statali, affinché il servizio scolastico sia garantito attraverso un pluralismo educativo sempre più pubblico, meno statale. Avviandomi alla conclusione, intendo evidenziare un altro aspetto che pure abbiamo considerato nella nostra mozione e che non appare certamente secondario; costituisce, anzi, la condizione essenziale perché si possa avviare senza battute di arresto il processo riformatore. Mi riferisco alla copertura finanziaria delle riforme. Deve essere chiaro che la riforma del sistema scolastico non può essere realizzata senza gli adeguati investimenti. Diversamente si opererà uno snaturamento e uno stravolgimento dell'attuale sistema, un progressivo impoverimento della scuola statale. Se di questo si tratta, dichiariamo subito che noi daremo battaglia perché non crediamo nelle riforme a costo zero. Sia ben chiaro che anche in presenza di finanziamenti non meno decisa sarà la nostra opposizione se le ipotesi di riforma non daranno le necessarie garanzie del rispetto dei principi, per noi irrinunciabili, del primato della persona, del riconoscimento del diritto della libertà di scelta di educazione delle famiglie, della libertà di apprendimento e di insegnamento. Questi principi, signor ministro, intendiamo difendere, a questi principi non intendiamo rinunciare (Applausi dei deputati dei gruppi di forza Italia e di alleanza nazionale).