Parte I - Attualità antiproibizionista

LA SICUREZZA E' ANTIPROIBIZIONISTA

Con il 1999 abbiamo cominciato a conoscere la «sicurezza» e le politiche con cui si vorrebbe affermare.
Si è trattato di una ininterrotta campagna che, nata a Milano sull’onda di un numero consistente di omicidî concentrati nel tempo, ha trovato una straordinaria estensione in tutt’Italia.
Dai migranti senza documenti il passo verso i consumatori di sostanze stupefacenti è stato breve. L’autunno ha infatti visto dispiegarsi una forsennata caccia all’ecstasy che si è, ovviamente, accompagnata a strumentalità di tutti i tipi, condotte con l’intero armamentario di cui il proibizionismo è capace. Che l’obiettivo fosse di carattere politico, piuttosto che quello legittimo di salvaguardare la collettività o i singoli, è un fatto di forte evidenza se si considera le modalità del dibattito che ne è sorto e gli interventi concreti che ne sono scaturiti.

 

 

 

 

L’evidenza scientifica, i risultati positivi qua e là raggiunti nel mondo, lungo i percorsi della liberalizzazione-legalizzazione della cannabis e dei suoi derivati, le esperienze ormai corpose delle politiche di riduzione del danno, passano attraverso il tritacarne di una falsificazione sistematica e di una spettacolarizzazione a volte indecente, certo utile a tutti tranne che a coloro che consumano droghe.
La «sicurezza» è diventata il terreno sul quale governo e opposizione si sono ripetutamente sfidati in un crescendo di misure restrittive. La «tutela delle persone offese» sembrerebbe necessariamente attraversare carceri, tabelle ministeriali, caserme, centri di permanenza temporanea, comunità terapeutiche, commissariati mobili, nonni sorveglianti i nipoti, braccialetti elettronici, fino alla più seria modificazione della legislazione sui regimi alternativi alla detenzione: non è stato tralasciato argomento, tranne ovviamente, quelli più sensati.
Esistono infatti delle altre politiche riguardo alla sicurezza pubblica che rappresenterebbero in realtà un’alternativa vera e propria a quanto oggi praticato.
Ma per affermarle concretamente occorre cambiare il paradigma culturale e politico nel quale si muove l’attuale discussione, uscire dal ring nel quale il fallimento del proibizionismo sembra trascinarci. Occorre ratificare l’evidenza di un disastro per poter avanzare l’idea che una diversa legislazione sulle droghe, antiproibizionista, rappresenti non solo un’alternativa possibile ma un esperimento già in atto con successo, qua e là nel mondo.
Come del resto è necessario constatare il fallimento dell’attuale legislazione sui migranti per procedere verso una diversa, accogliente, politica sull’immigrazione che garantisca la vivibilità per tutti.
Droghe e migranti rappresentano oggi dunque un terreno dove si sfidano progetti tra loro alternativi: da un lato le politiche del controllo e della restrizione, dall’altro quelle dei diritti sociali e delle libertà. Tocca principalmente a noi affermare l’indisponibilità a essere ulteriormente schiacciati tra l’incudine del narcotraffico e il martello dell’attuale legislazione. A essere ulteriormente ostaggi di una macchina che produce disastri sociali ed economici enormi.
Per chi non crede più alla favola, tanto diffusa anche a sinistra, che le droghe siano un problema «sovrastrutturale» o «l’ultimo dei problemi», i 40 milioni di consumatori di cannabis in Europa e molte altre persone sensate, rappresentano oggi un riferimento obbligato: forse la canapa non salverà il mondo, ma così tanti uomini e donne, certamente rappresentano un buon aiuto.
Ma dobbiamo essere capaci di uscire dalla clandestinità e di diventare, per fortuna sta già succedendo, un fatto e un movimento politico. A cominciare dall’affermazione di un’idea di politica che, al di là di ogni schieramento, comincia, minuziosa e quotidiana, a modificare la nostra vita.
Non resta che essere disobbedienti. Un movimento di massa di disobbedienza civile che seppellisca finalmente il proibizionismo sotto il peso della sua inutile follia.