Parte I- Attualitą antiproibizionista

CRONACHE DEL TEMPO
CHE PASSA

di Jean-Pierre Galland

I sostenitori del proibizionismo riuniti in seno a organizzazioni al di sopra di ogni sospetto, prestigiose come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) o l’americanissima Organizzazione delle Nazioni Unite, sono nel panico. L’edificio del proibizionismo, che nasconde dietro le sue mura interessi politici e finanziari inconfessabili, mostra delle crepe. Così, per tappare i buchi e allontanare i sospetti, si arriva al falso, alla manipolazione, alla disinformazione, alla menzogna, all’imposizione di diktat... insomma, ci prendono per imbecilli.
In Francia, sempre ritardataria, la depenalizzazione del consumo non è ancora all’ordine del giorno. Jacques Chirac si schiera per la fermezza... e visto che il coraggio non è il forte della sinistra, Lionel Jospin si dice d’accordo. Bernard Kouchner non sa più cosa inventare per sfuggire al ridicolo di una situazione in cui i consumatori di cannabis sono braccati e gli attivisti antiproibizionisti trascinati in tribunale per piccoli reati. La sua migliore invenzione, per il ’98, è un’energica Madame Drogue.
La cannabis, messa sotto chiave dal proibizionismo, sarà legalizzata, quanto meno depenalizzata: prima dell’anno 2000, l’ho pensato, detto, forse addirittura scritto come tanti altri. Oggi, non ne sono più così sicuro.

 

 

Le menzogne dell’OMS e gli ordini dell’OICS

In febbraio, «New Scientist» scrive che l’OMS ha censurato uno studio il quale accerta che il consumo della cannabis è meno pericoloso di quello dell’alcol e del tabacco, droghe legali ovunque. La rivista inglese afferma che l’OMS ha subìto pressioni per eliminare questo passaggio, che avrebbe potuto essere utilizzato dai sostenitori della legalizzazione.
L’OMS smentisce le pressioni, ma finisce per riconoscere che, non disponendo di dati certi e comparabili sui rispettivi danni procurati dalla cannabis, dall’alcol e dal tabacco, ha preferito non dire nulla.
Lo stato di clandestinità della cannabis impedirebbe ogni studio attendibile? L’OMS ci prende in giro. Se la cannabis fosse così nociva per la salute come pretendono certi medici che si basano su esperimenti truccati, gli esperti dell’OMS si sarebbero gettati a pesce. Una smentita così goffa non fa che confermarci nell’idea che le più alte istituzioni internazionali mentono, pur di conservare una penalizzazione che fa loro comodo.
L’oics (Organo centrale di repressione del traffico illecito di stupefacenti) è a favore della generalizzazione dell’articolo 630 a livello planetario. Si scaglia contro «la cultura della tolleranza» e «l’incitamento al consumo», che passa attraverso «la cultura popolare, specialmente la musica». L’oics se la prende con «alcune star della musica pop (sic) che incitano, esplicitamente o implicitamente, a fumare marijuana o ad assumere altre droghe», mentre si tenta disperatamente di «arginare l’enorme quantità di messaggi che fanno l’apologia delle droghe ricreative, con il sostegno delle star della musica pop, dello sport, insieme ad altre celebrità».
Nella foga, l’oics denuncia i media che, per «il gusto del sensazionale, la voglia di provocare e la necessità di conquistarsi il favore del pubblico», sono capaci «di giustificare, nel corso di trasmissioni televisive, programmi indirizzati a una riforma della legislazione sulle droghe, e perfino della loro legalizzazione, specialmente della cannabis». L’oics propone perciò di «elaborare un codice di buona condotta».
Non apprezza neppure la tendenza a riconoscere gli effetti terapeutici della cannabis, tendenza che crea «una diffusa atmosfera di tolleranza, favorevole all’uso delle droghe». Così, si chiede agli Stati Uniti di «intraprendere programmi di ricerca più approfonditi e scientificamente controllati» sulle proprietà terapeutiche della cannabis.
Infatti, l’Istituto di medicina statunitense si è interessato al problema posto dall’ente nazionale di controllo degli stupefacenti. E, nel marzo 1999, dopo un anno e mezzo di ricerca, l’Istituto ha affermato che la marijuana non crea una particolare dipendenza e non costituisce un trampolino di lancio verso altre droghe. Riconosce che «le droghe cannabinoidi» (è così che le chiama) hanno un effetto benefico sul fisico e sulla psiche dei malati. Il rapporto si prONUncia a favore della messa a punto di un nuovo medicamento a base di THC, ma osserva che i pazienti non possono attendere oltre, ragion per cui raccomanda l’apertura di cliniche nelle quali i pazienti, sotto controllo medico, possano darsi al medicamento che si fuma.
Mister Droga della Casa Bianca, Barry MacCaffrey, ricorda che, rapporto o non rapporto, l’uso terapeutico della marijuana non sarà legalizzato e che i suoi scagnozzi continueranno ad arrestare tutti coloro i quali fanno uso della cannabis per attenuare il dolore... anche nei sette Stati in cui ciò è legale.
Sapevate che negli Stati Uniti la popolazione carceraria ammonterà presto a 2 milioni di persone, e che, se siete un nero, avete una possibilità su quattro di soggiornare per qualche tempo in galera? Circa il 60% della popolazione delle carceri ci finisce per infrazioni alla legislazione sugli stupefacenti... È «il gulag interno dell’America», secondo le parole del generale Barry MacCaffrey. Il solo argomento che potrebbe rimettere in discussione questa politica è la grana. L’America spende 30 miliardi di dollari l’anno per mantenere i suoi detenuti.

 

Sradicate tutto!

Nel giugno 1998, messa solenne dell’ONU a New York. Jacques Chirac è evidentemente della partita e lancia l’appello «a una grande crociata contro la droga», invocando «fermezza nel rifiutare la banalizzazione delle droghe». Lionel Jospin, di rimando, dichiara: «Il divieto al consumo delle droghe è funzionale sia alla prevenzione sia alla repressione...» («Le Parisien»). Alla repressione, certamente... Quanto alla prevenzione, è un’altra storia. Durante questa sessione straordinaria Pino Arlacchi presenta il suo piano, il cui obiettivo è lo sradicamento entro il 2008 delle coltivazioni di papavero, di cannabis e di coca dall’intero pianeta.
Le ong sono state escluse dal dibattito, dal momento che per la maggior parte propugnano una politica pragmatica in materia di droghe e dunque l’abbandono del proibizionismo. Più di 500 personalità, tra cui Janvier Perez de Cuellar, ex segretario dell’ONU, Michèle Barzach e Jean-Pierre Changeux, ex presidente del Comitato nazionale di etica, o l’ex segretario di Stato americano George Schulz, hanno fatto pervenire a Kofi Annan, che li ha bellamente ignorati, un appello in cui affermano che la proibizione causa danni peggiori dell’abuso di droghe, e che l’imposizione a tutto il Pianeta del modello americano è un fallimento strepitoso. Se la stampa non ha creduto opportuno dare risalto a questo appello per una politica ragionevole, non ha nemmeno sostenuto l’iniziativa di Legalize che, via Internet, ha organizzato manifestazioni nel mondo intero, da Tel-Aviv a Praga, da Berlino a San Francisco, per chiedere la fine della guerra alla droga.
A Parigi, il neonato Collectif pour l’abrogation de la loi de 1970 invitava a una manifestazione con una parola d’ordine comune: «Droga: legalizziamo il dibattito». Circa 1500 persone hanno sfilato dalla Bastiglia ai lungosenna.
Durante la sessione straordinaria dell’ONU, nonostante l’abbondanza di dichiarazioni d’intenti una più battagliera dell’altra, non è stata decisa alcuna iniziativa concreta. La questione dei finanziamenti è stata appena sfiorata, forse per evitare l’urto con gli Stati Uniti, che rifiutano di versare la loro quota all’ONU... Ma non saranno certo i Paesi produttori, generalmente poveri, a finanziare i programmi di sostituzione delle colture. Pino Arlacchi, che ha bisogno di 500 milioni di dollari all’anno, propone di prelevarli dalle casse della Banca Mondiale. Cosa potranno fare i Paesi strangolati dal Fondo Monetario Internazionale, se non lanciarsi nella coltivazione delle piante da droga così da poter godere di un aiuto economico? Tra i 125 rappresentanti di questo consesso buffonesco, ove sedevano anche alcuni capi di Stato, una quarantina traevano, e traggono tuttora, considerevoli profitti dalla produzione o dal commercio di stupefacenti. È così che il nuovo ministro socialista degli Interni marocchino ha negato, o quasi, che il suo Paese sia un grosso produttore di kif, il fornitore accreditato dell’Europa quanto ad haschisch di dubbia qualità e una zona di transito per l’eroina e la cocaina.

 

French Cannabis Embassy

« High Times», magazine americano che, tra una pubblicità di afrodisiaci e una di altre sostanze naturali, difende da oltre cinque lustri la legalizzazione della marijuana, organizza ogni anno ad Amsterdam, simbolo della tolleranza cannabica, una grande fiesta, nota col nome di Cannabis Cup.

Nel 1998, Fabienne Lopez (ex presidente del circ Paris ėle-de-France) e Michka decidono di coinvolgere la Francia in questo evento, che si svolge nell’arco di una settimana e attira attivisti da tutto il mondo.

Così è nata la French Cannabis Embassy. Poiché il gioco, tra due visite guidate ai coffee-shops e altre fiestas, è di eleggere le migliori ganja secondo precisi criteri, le due ambasciatrici decidono di organizzare una serata dedicata alla Francia, famosa per i suoi vini, i suoi formaggi... e presto, quando il proibizionismo sarà solo un brutto ricordo, per la sua cannabis.

Gli olandesi hanno il dente avvelenato con la Francia. Non perdonano a Jacques Chirac la sua ostinazione sul nucleare e l’arroganza verso la politica pragmatica adottata dal governo olandese in materia di cannabis. Cartoline di vituperio gli vengono indirizzate in gran numero. Lo scopo delle ambasciatrici non era evidentemente quello di restituire lustro al blasone di Jacques Chirac, ma di dimostrare, per esempio, che la repressione non impedisce ai francesi di coltivare varietà di ganja gradevoli per il gusto e per gli effetti.

Sono state preparate alcune centinaia di spinelli e, durante la serata, sono state distribuite confezioni su cui erano indicati, per le diverse specie, la provenienza e il tipo di coltivazione. L’avvenimento altamente cannabico aveva anche l’ambizione di attirare l’attenzione sulla situazione francese, nella quale, per dirla in breve, si braccano i consumatori e chi anima il dibattito viene tormentato.

Un restauratore parigino ha offerto una torta al cioccolato – proprio così – decorata con una magnifica testa di clown... un dolce che basta ricordare per averne l’acquolina in bocca. È stata una bella festa, un gran momento, ma negli Stati Uniti come nei Paesi Bassi esistono attivisti per i quali cannabis non è sinonimo di denaro?

 

Le "Raccomandazioni" del Rapporto Roques

La cannabis non possiede alcuna neurotossicità così come è stata definita al capitolo III del presente rapporto. La cannabis si differenzia completamente dall’alcol, dalla cocaina, dall’ecstasy e dagli psicostimolanti, così come da certi farmaci utilizzati a fini tossicomaniaci. Oltre alla loro neurotossicità, queste sostanze inducono alterazioni comportamentali molto severe e una pericolosità sociale, nel caso dell’alcol e della cocaina, che non si riscontrano praticamente mai con la cannabis. Il THC e certi derivati agonisti potrebbero al contrario diminuire la frequenza di crisi epilettiche e proteggere da alterazioni neuronali ischemiche, benché ciò richieda di essere confermato.

  • La tossicità della cannabis “fumata” nei confronti del sistema respiratorio e cardiovascolare non deve essere sottovalutata benché essa resti senza dubbio debole rispetto a quella del tabacco, per semplici ragioni di quantità consumate, almeno tra i consumatori occasionali, cioè il 90% della popolazione.
  • I risultati di numerose ricerche svolte tanto su animali che sull’uomo mostrano un’alterazione temporanea delle prestazioni mnesiche, un difetto di attenzione e uno stato di sonnolenza indotti dalla cannabis. Effetti che dipendono dalle dosi utilizzate. Ci si augura che studi comportamentali in specie animali appropriate (ratto e scimmia) siano intrapresi per oggettivare queste alterazioni e misurarle durante l’età dello sviluppo e l’età adulta. Ciò completerebbe gli studi elettrofisiologici che restano necessari per studiare i meccanismi della diminuzione nelle prestazioni mnesiche.
    Tenendo conto dell’uso frequente della cannabis nella popolazione scolastica o universitaria, e benché tale uso non paia condurre a insuccessi più numerosi o a problemi di demotivazione, è auspicabile che la popolazione scolarizzata sia informata di questi particolari effetti della cannabis. La diminuzione, provocata dalla cannabis, delle capacità di libera scelta, di spirito critico, di autenticità e di spontaneità, potrebbe essere utilizzata come argomento dissuasivo verso il consumo durante i corsi.
  • Gli studi attuali non accreditano l’esistenza di una sindrome psichiatrica propria della cannabis. Ci sarebbe comunque l’eventuale “rivelazione” di uno stato schizofrenico soggiacente.
  • Le alterazioni delle funzioni riproduttive osservate su cellule o sui roditori rendono opportuna una valutazione degli effetti della cannabis sulle cellule e sui tessuti umani prima di ogni conclusione. Studi in questo senso dovrebbero iniziare quanto prima.
    La struttura chimica degli effettori endogeni dei ricettori ai cannabinoidei lasciano intravedere un possibile ruolo (psicologico?, farmacologico?) nel meccanismo infiammatorio. Ciò potrebbe rendere conto di effetti spesso contraddittori del THC sulle cellule immunitarie, sull’infiammazione bronchica, sulla riduzione dei processi infiammatori dolorosi, ecc. Anche qui studi epidemiologici si rendono necessari.
  • La “pericolosità” d’un composto in termini di assuefazione si misura non soltanto dagli sforzi per procurarsi la sostanza ma dalla considerevole energia consumata nel tentativo di sfuggire alla sua dipendenza.
  • La cannabis ingenera effetti edonici. È dunque suscettibile di indurre dipendenza. Meno del 10% dei consumatori eccessivi diventano dipendenti dalla cannabis, quota non trascurabile ma di molto inferiore al rischio indotto dal consumo eccessivo di alcol o di tabacco. Bisogna aggiungere che questa percentuale diventa inferiore al 2% se si considera l’insieme della popolazione dei consumatori di THC (il 90% dei quali sono occasionali). Nessuno studio epidemiologico è stato intrapreso per paragonare le difficoltà di abbandono tra i consumatori di cannabis, alcol e tabacco, ma l’evoluzione del consumo in funzione dell’età mostra che la cannabis è la sostanza che dà meno assuefazione. È del resto la ragione per cui la nida non ha giudicato utile raccomandare degli studi sulla messa a punto di trattamenti sostitutivi della cannabis.
  • L’interesse della ricerca sugli effetti del THC in vista di utilizzazione terapeutica ha costituito l’oggetto di un rapporto molto recente prodotto da esperti della British Medical Association.
  • Viene messo in evidenza che i lavori sull’uso medico del THC restano aneddotici e non danno risultati scientifici incontestabili, specialmente se paragonati agli studi necessari per l’immissione sul mercato di un nuovo farmaco. Essi osservano altrettanto che i cannabinoidei, utilizzati da molto tempo da un numero elevatissimo di consumatori, non hanno dato luogo a effetti tossici maggiori e che essi si comportano dunque come: «droghe notevolmente sicure, con un profilo degli effetti collaterali superiore rispetto a molte droghe utilizzate per le stesse indicazioni» (Therapeutic use of cannabis, British Medical Ass., 1997. Harwood Academic Publishers, The Netherlands).
Anche noi pensiamo che l’avvenire terapeutico potenziale dei cannabinoidei (sintetici) passi attraverso una valutazione delle loro proprietà secondo le norme usuali di immissione sul mercato dei farmaci.

 

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