Parte I - Attualità antiproibizionista

 

IL FILO D’ERBA
di Michka

Alla luce di vent’anni di osservazioni personali, e dopo quattro libri dedicati alla cannabis, Michka ci offre le sue riflessioni su due grandi rivendicazioni degli ultimi decenni. Le vittorie delmovimento per la liberazione della canapa e della cannabis terapeutica hanno aperto la strada al suo uso «ricreativo»?

 

 

Decisamente i tempi cambiano. Ecco che nella douce France, questo luogo rinomato per il vino, dove l’arte vinicola e la degustazione sono state portate a vertici di raffinatezza impensabili altrove, in Francia dunque, la popolazione avrebbe, secondo i sondaggi, assimilato la nozione della bassa nocività della cannabis rispetto all’alcol e al tabacco.

Sì, il Pianeta diventa piccolo. Le piante, tutte le piante viaggiano sempre più lontano. Il leggendario «paniere della casalinga» contiene ormai ciliegie maturate in Cile e funghi cantarelli colti in Romania; piante un tempo proibite sono oggi comparse nelle nostre abitudini donandoci sapori di cui non possiamo più fare a meno. Come vivere, ormai, senza caffè o zucchero, senza tè o cioccolato?
Un giorno prossimo o lontano l’Erba, per lungo tempo privilegio dei saddhus indiani, figurerà anch’essa nel famoso paniere insieme al vino e al tabacco. Tutto, o quasi, sarà nel frattempo stato fatto per la sua eliminazione dal Pianeta, secondo l’obiettivo sfrontato che l’onu si è posta per l’anno 2008. Ma, poveretti, non hanno alcuna possibilità di riuscirci!
Se almeno l’Erba per eccellenza (questo significa la parola araba haschisch) fosse stata una di quelle piante gracili che riescono a crescere solo nella bambagia, forse la sua completa distruzione sarebbe stata possibile. Ma, sfortunatamente, si è fatta più forte, più resistente. La canapa si adatta a tutti i climi e a tutti i suoli, offre sementi a sorpresa, cambia sesso a seconda del bisogno, e dà prova di un’infinita adattabilità. Concedetele anche solo un angolino con un po’ di luce, o un piccolo vaso di terra sul davanzale di una finestra, e lei vi offrirà in cambio tutto il suo potenziale di sogno e di arricchimento delle percezioni.
Prima o poi sembrerà altrettanto legittimo fumare uno spinello quanto bere un bicchiere di vino, prendere un caffè o accendere una sigaretta. Questo giorno è vicino o bisognerà attendere che una nuova generazione di fumatori nasca e diventi grande?
Ogni pronostico è naturalmente votato all’insuccesso se è vero che nel nostro piccolo Pianeta le notizie diffuse dai media possono avere un’ampia risonanza, e molto distante dal loro luogo d’origine.

 

Anche il Principe Carlo

Gli elettori della California hanno approvato, tramite un referendum, l’uso della cannabis per fini terapeutici.
Questo voto non ha certo avuto l’effetto atteso; infatti il governo federale rifiuta puramente e semplicemente di permettere che quello Stato si governi come vuole.
«Noi non approviamo questa legge», dichiarano gli agenti federali che, sino a ieri, rifiutavano la cannabis terapeutica ai malati nascondendosi dietro la sua illegalità. Ma questo referendum, se non ha dato i frutti sperati dai suoi promotori, ha nondimeno avuto una vasta eco altrove, con conseguenze che, a conti fatti, si faranno sentire di riflesso... fino alla California.
Questa votazione «storica» ha una portata che va ben al di là dello Stato in cui si è svolta. In tutti i Paesi dove si stava manifestando una resistenza alla proibizione della cannabis, in ognuno dei «fronti» di questa stupida Guerra alla Droga, ha suscitato nuovi impulsi alla sua liberalizzazione. Bisognerebbe far sapere ai nostri amici californiani sino a che punto il loro voto è stato utile a noi europei, nonostante lo scippo della loro vittoria. Ne è scaturita una marea di articoli e di reportages che ha rafforzato le timide aperture nei confronti della cannabis terapeutica nei nostri Paesi.
Anche alcuni ricercatori scientifici si sono inseriti in questa breccia, domandando e ottenendo, per la prima volta in vent’anni, l’autorizzazione a svolgere ricerche sperimentali sulle proprietà della cannabis.
Negli ospedali tedeschi, olandesi e inglesi, alcuni pazienti si sono visti somministrare cannabis in differenti forme, al fine di saggiare la sua reale efficacia contro i dolori postoperatori, gli spasmi della sclerosi a placche o come terapia di appoggio nel trattamento chemioterapico dell’aids o dei tumori.
In Inghilterra, la Camera dei Lords si è apertamente dichiarata favorevole all’iniziativa; e ha fatto scalpore il principe Carlo domandando a un’ospite di una casa di riposo affetta da sclerosi a placche: «Ha provato la cannabis? Ho sentito dire che è efficace». «Sono rimasta sorpresa», avrebbe detto poi ai giornalisti l’anziana signora, «ma mi piacerebbe provare. È un uomo così simpatico».
Per coloro che hanno conosciuto gli anni Sessanta-Settanta, questi sviluppi recenti hanno il curioso aspetto del déjà-vu. Ci fu infatti un tempo in cui diversi governi sembravano sul punto di promulgare decreti per evitare che, secondo la formula del presidente usa Carter, le sanzioni fossero più dannose della sostanza stessa. All’euforia degli anni psichedelici hanno fatto seguito anni neri, mortiferi, con l’irruzione delle droghe più pesanti, rese pericolose dalla loro proibizione. Gli anni Ottanta hanno conosciuto un terribile ritorno della repressione: ed è parso che questa avesse avuto successo perché in un primo momento il consumo della cannabis era caduto nella maggior parte dei Paesi occidentali. Chi ne aveva fumata durante la sua folle gioventù aveva rinunciato a queste sregolatezze passeggere ed era rientrato nei ranghi. La repressione ha fatto (e fa ancora) danni, negli Stati Uniti più che altrove. Non meno di trenta persone sono condannate all’ergastolo, senza alcuna possibilità di uscire di galera prima della propria morte, per aver coltivato e venduto questa pianta proibita, e altre centinaia di migliaia scontano, in fiorenti prigioni private, pene pesantissime.
Una decina d’anni fa, si toccò il punto più basso. Le quotazioni dei cannaioli erano in ribasso. Li si trattava sdegnosamente come fricchettoni attempati. In questo clima di maccartismo farmacologico (secondo un’espressione cara a Lester Grinspoon, un professore di Harvard che, da solo, per molti anni, e a prezzo di un certo ostracismo, non ha mai temuto di proclamare la relativa innocuità della cannabis), in questo clima di caccia alle streghe, dunque, i sostenitori della cannabis hanno dovuto rendersi invisibili, dedicandosi alla loro pratica nel segreto della vita privata. Rivendicare un qualsivoglia uso «ricreativo» del prodotto era non solo fuori moda, ma anche pericoloso.

 

Nuove strategie

Bisognava trovare una strategia. È così che la California (ancora lei, sempre lei) partorisce un «hemp movement» (movimento per la canapa). La sua nascita può essere datata con l’autoproduzione, nel 1985, di un libro fatto in casa da alcuni amici amanti della marijuana: L’Imperatore è nudo, di Jack Herer. Il libro, stampato male su una carta di cattiva qualità e distribuito direttamente dall’Autore, conosce un successo prodigioso: nel giro di pochi anni il «Wall Street Journal» dedica la prima pagina a Herer. Fioccano le traduzioni. Se le sue idee si diffondono a macchia d’olio è perché sono in accordo con la sensazione che si fa strada confusamente nei sistemi democratici: quella di essere quotidianamente presi per il culo, di essere fatti fessi dall’eterna collusione tra i governi e i complessi industriali che stornano a loro profitto, e a scapito dell’umanità, le risorse vive del Pianeta.
Per Herer la proibizione della cannabis s’inscrive in una più vasta cospirazione: alla vigilia della Seconda Guerra mondiale i produttori di carta e gli inventori delle prime fibre sintetiche fomentarono una campagna di calunnie, prendendosela con le proprietà psicoattive della canapa allo scopo di eliminarla come fonte di fibre naturali.
La ricostruzione di questa cospirazione colpisce nel segno: alcune pagine del libro vengono fotocopiate e distribuite a migliaia. Questi fogli, disseminati nel mondo intero, favoriscono la nascita di una vera infatuazione per la canapa. Il momento è propizio: i disillusi delle speranze riposte nella tecnologia ne hanno le tasche piene del sintetico. Vogliono il naturale, e se possibile non inquinato.

 

La vera battaglia deve ancora iniziare

Per quanto incredibile possa sembrare, è la domanda suscitata dall’Imperatore è nudo che ha riportato nei campi una pianta scomparsa da decenni, creando un nuovo settore economico. All’inizio degli anni Settanta, la Gran Bretagna (ben presto seguita dalla Germania e dal Canada) ri-legalizza la coltivazione della canapa (contenente meno dello 0,3% di thc, la sostanza psicoattiva).
Abiti, cosmetici, prodotti alimentari, carta, materiali di costruzione – tutti derivati dalla canapa – si moltiplicano al punto che nella primavera del 1999 i coltivatori americani di tabacco, nel tentativo di abbandonare un settore in asfissia, cominciano a esercitare pesanti pressioni sullo «Zar della droga» usa, Barry MacCaffrey, affinché autorizzi nuovamente la coltivazione della canapa negli Stati Uniti.
Ma è a questo punto che la faccenda si complica. Ecco cosa dicono, in buona sostanza, i coltivatori di tabacco al loro governo: «La canapa è un’ottima pianta. Il suo solo nemico è la marijuana. È lei che fa cattiva pubblicità alla canapa».
Così, i cannaioli si trovano espropriati di un movimento che senza di loro non sarebbe mai nato. Detto in altri termini, la riscoperta della canapa, per quanto ecologica, si rivela un’autentica impasse come strategia per la legalizzazione.
Questo discorso vale anche per l’uso terapeutico della cannabis: se quest’ultimo rappresenta una vera e propria benedizione per alcuni pazienti i quali non possono trarre sollievo da nient’altro, resta nondimeno vero che chi lotta per il libero accesso alla cannabis terapeutica lo fa perché non può chiedere il libero accesso alla cannabis tout court. Anche in questo caso, i consumatori di cannabis sono sul punto di farsi espropriare di un movimento che non ci sarebbe stato senza di loro.
Per quanto riguarda l’uso terapeutico della cannabis, la partita è già chiusa. L’istanza è stata compresa. Ma cosa dicono i portavoce del governo americano quando ammettono le virtù dell’uso terapeutico della cannabis? Che non se ne parla proprio, nell’anno di grazia 2000, di fumare una foglia o un fiore per sognare. Non siamo più dei cavernicoli, che diamine! Volete utilizzare la cannabis come medicina?
Ebbene sia, le compagnie farmaceutiche fabbricheranno per voi aerosol, capsule e compresse, fors’anche iniezioni e supposte, con i principî attivi estratti e sintetizzati nei loro laboratori. Queste stesse compagnie vi venderanno poi questi prodotti a caro prezzo e guadagneranno molto denaro. Ma la pianta stessa, è escluso che finisca nelle vostre mani.
Proprio come la canapa-risorsa ecologica, la canapa terapeutica, d’altronde necessaria, si rivela un’impasse nella strategia per la legalizzazione. Tuttavia, diamo a Cesare quel che è di Cesare: queste rivendicazioni non sono state inutili. Hanno contribuito a porre fine alla demonizzazione della pianta, preparando il terreno per la vera battaglia che resta da combattere: la rivendicazione di un uso ricreativo della cannabis.

 

 

In fin dei conti è venuto il momento di affermare chiaro e forte: se fumo l’Erba, è perché, secondo la mia concezione dell’esistenza, la mia vita è migliore con lei piuttosto che senza. Per quanto mi concerne, non esito ad aggiungere che, grazie all’Erba, mi avvicino agli ideali che mi sono posta. Grazie a lei sono più aperta, più tollerante. Migliore.

 

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