Tutta una rete di orizzonti sono tracciati con la finalità di delimitare il campo del visibile. Si produce la tendenza complessiva, di sistema, di includere forzosamente la produzione, il consumo, le relazioni, i pensieri e le parole, all’interno delle coordinate stabilite dai flussi di accumulazione. La disciplina della visione, cioè la disciplina del visibile e del fattibile, è necessaria per chiudere il campo delle possibilità. I flussi materiali ed immateriali della produzione hanno una enorme velocità di movimento. Si articolano in modo reticolare ridisegnando continuamente il diagramma in cui corpi i ed i luoghi esistono come segmenti funzionali della messa a valore. In questo senso, il cognitivismo esprime teoricamente il tipo umano ideale del neoliberismo: la riduzione delle singolarità esistenziali a patterns distinti in moduli - funzione, la cui matrice è il dato (ciò che si dà materialmente con una forma di per sé compiuta), la cui direzione di processo non ha possibilità di alternativa, ma è già rivolta alla soluzione di un campo problematico scandito e chiuso.

Il sistema globale, è diretto a tanto includere forzosamente, quanto a selezionare ed escludere. La natura dell’esclusione effettuata dal neoliberismo è molteplice, articolata e tenace come una vera e propria tattica di guerra. L’eliminazione di ciò che minaccia di metterlo a rischio, si affianca a strategie di inclusione ideologica, di subordinazione servile, o di visibilità negativa, in cui l’alterità è posta come "la parte oscura", ciò che non è da guardare, pur essendo visibile, con il terrore e il pudore proprio del ripugnante. La forma attuale del razzismo, la condanna fatta gravare sul corpo dei migranti, assume questa modalità. I migranti portano diversità di sguardo, per le loro storie e culture, per la loro condizione, per la subordinazione in cui sono pregiudizialmente posti che li rende corpi duttili alla produzione. La loro presenza non è negata, essi sono visibili, la "democrazia" dei nostri paesi concede loro di circolare, di fare domande per permessi di soggiorno, ma solo se hanno un lavoro, di usufruire di qualche raro servizio, ma come ce li mostra?: sotto le spoglie del pericoloso, del rischioso per chi gode di cittadinanza, di poveri disposti a qualunque lavoro, di folle prementi per invadere le nostre strade e dunque da controllare, selezionare e regolare, esercito di questuanti che vive in modo oscuro in zone, lontane o vicine, ancora più oscure, visibili in quanto oscure e dunque da evitare (si veda: A. Dal Lago: Non persone, Feltrinelli Interzone, 1999, Milano).

L’emersione ai diversi livelli e valori di visibilità non è riconducibile ad una scelta deliberata di sistema. La dinamica complessiva è impersonale, non è possibile riscontrare una coscienza che intenzionalmente impone all’intera macchina un piano preordinato. Come una macchina ottica totale, la globalizzazione neoliberista aggrega i suoi ingranaggi pezzo a pezzo, mettendo in moto l’uno tramite l’altro. Eppure, questo movimento costante, esteso in ogni dove, ha una intrinseca finalità: la resa dei popoli e della natura di fronte all’espropriazione, la pervasività dello sguardo del potere, anzi, la costruzione del potere come occhio che dalle vette del comando tutto vede e tutto conosce. Come nelle monarchie ancient régime il sovrano aveva natura divina, e godeva dello statuto di occhio supremo, così il capitale si pone in alto, con i suoi centri di comando, e allarga il suo occhio sopra tutto e tutti. Gli infiniti occhi che ci controllano sono i modi finiti dell’unico globale occhio che fa delle esistenze fattori produttivi, moduli, pattern, customer. Ciò a cui più di altro il capitale globale aspira è la fine definitiva e totale dell’alterità. Se può tollerare i missmatching che si producono al suo interno (si veda l’importante articolo di Enzo Rullani: "produzione di conoscenza e valore nel postfordismo", Posse, n.2/3, gennaio 2001), non può permettere che alternative sorgano a metterlo in discussione come sistema. Così, troviamo delle politiche che a livello di sistema globale:

- omogeneizzano. Dal Chiapas, al medio oriente, ai quartieri delle metropoli, deve esistere un unico tipo d’uomo, monocolo meccanico da mettere in produzione a seconda dell’evoluzione del mercato e della produzione. Dovunque deve imporsi un unico standard di consumo, un universo chiuso, povero e statico di saperi, un unico modello di relazione umana, in cui ognuno di noi diviene attento controllore, e nello stesso tempo cacciatore e preda per ciascun altro. I mezzi per raggiungere questo scopo sono le diverse facce della guerra, sia quella delle bombe, della precarizzazione del lavoro, o quella che rende il sapere impresa, e la natura esclusivamente materia per il profitto. Il neoliberismo genera le masse. Tutto ciò che getta in pasto al consumo porta con sé l’impronta della banalità travestita da eccezionalità, in modo che ognuno possa essere come tutti, essere messo nella condizione di non poter essere se stesso se non essendo come ciascun altro. Ognuno diviene il miglior controllore del vicino, dal momento che ne va della sua identità stessa.

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- Producono forzosamente riduzioni. La politica, la sua organizzazione, sotto forma di istituzioni partecipative o di Stato, ha subito questo processo di riduzione nello stesso tempo in cui lo provocava attivamente. Il capitale globale ha bisogno che la politica non esprima alterità di visioni del mondo, culture e soggettività, non vuole che la politica possa, laggiù in basso, confondersi con la materia stessa dei corpi. Essa deve innanzitutto separarsi, porsi quanto più distante possibile per essere intoccabile, non confondersi con chi subisce il suo dominio, e non correre mai il rischio di essere scoperta. Nello stesso tempo deve elevarsi, perché il comando si muove per linee verticali. Quindi, nessuna pluralità può provare ad esprimersi, e debbono essere chiuse le possibilità di accesso alla partecipazione politica. Le nuove architetture degli Stati e della rappresentanza attaccano al cuore la democrazia non come disciplina sociale, ma in quanto libera proliferazione di alterità sociale. Il neoliberismo costruisce torri d’avorio da cui viene esercitato il potere, torri a cui si appoggiano le cittadelle dei potenti e dei protetti, mentre la folla degli espropriati e dei diseredati rimane fuori dalle mura. L’intera dialettica sociale viene semplificata sostanzialmente a due ruoli: chi comanda e ha potere, sorta di neonobiltà con potestà assoluta, e chi è dominato e lotta per la sopravvivenza. La stessa polarità la possiamo riscontrare nei prodotti consumati, nei quartieri in cui si abita, nella sanità o nella scuola che si può avere, nel tempo libero concesso, nel lavoro svolto: ciò che è per la nobiltà del potere è di statuto diverso ed inaccessibile per le masse dei dominati.

- seleziona. La competizione è la forma del legame sociale della società globalizzata. In un universo in cui il conflitto non ha più cittadinanza, poiché un presunto equilibrio è imposto con la forza ad un sistema che di per sé è fondato su squilibri e sproporzioni, la lotta tra gli individui è la forma compiuta del legame sociale. Tra i vincitori ed i vinti della quotidiana guerra della sopravvivenza e del potere si apre una distanza incolmabile. Ovunque sorgono profondi fossati a dividere chi è fuori e chi è dentro, chi è in alto ai posti di comando e chi è in basso. La separazione, la distinzione e la divisione, significati che il termine selezione richiama, sono la riedizione volgare delle virtù teologali. L’etica del neoliberismo impone che la vita in società sia individualismo e guerra. Nell’immensa metropoli neoliberista, ognuno è conosciuto e percepito come l’avversario, contro cui si combatte in campi di gara la cui collocazione è varia e stratificata, sorta di gironi infernali disposti orizzontalmente, sotto il cielo plumbeo della neo aristocrazia finanziaria e imprenditoriale. La politica diviene il cane da guardia che controlla che nessun dannato salga verso l’alto. D’altra parte la politica stessa ha coniato negli anni passati il gergo dell’esclusione e della separatezza. Nella organizzazione militare dei partiti, cioè gerarchica e dirigista, come parimenti nello Stato, altrettanto organizzato verticisticamente, sono stati utilizzati gli stessi ora all’opera strumenti per impedire la partecipazione, per sottoporre a controllo e sottomettere al comando, per eliminare qualsiasi possibile alternativa, per sorvegliare che dissenso o voci critiche non potessero giungere a manifestarsi. Parallelamente a quanto accade all’interno dell’impresa, e prima ancora in fabbrica, anche nei partiti e nella struttura dello Stato vengono messe in atto le medesime strategie di riduzione/omogeneizzazione/selezione. Infatti, quando il protagonismo operaio ha scatenato il conflitto, esso si è rivolto tanto contro le strategie e le tecniche di comando che si incarnano nell’organizzazione del lavoro, quanto contro il comando generale esercitato sulla società dagli apparati di Stato. La deduzione che ne nasce, è che solo lì dove il lavoro va al di là di sé e si riappropria del senso e della direzione della cooperazione sociale, allora si innesca una complessiva ridefinizione degli assetti della società e l’alterità, l’altra storia, si impone.

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