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QUALCHE RIFLESSIONE SULL' ALBANIA CHE IMPLODE
di Pietro Fumarola
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo anticipo dal numero di "Futuribili" a giorni in edicola, curato da Kosta Barjaba, di cui potete leggere in questo sito anche il sommario e l'editoriale
La gentile ed affettuosa premura di Kosta Barjaba nel sollecitarmi una scrittura sull'Albania è stata parallela, durante questo lungo mese di maggio, ad una mia indecisione dovuta all'incalzare degli avvenimenti albanesi ed anche ad un mio incupimento, un disagio, quasi un disgusto che mi spingerebbe verso la retorica del silenzio.
Facendo comunque mio il suo desiderio, avevo pensato questa scrittura come una lettera a lui inviata. Avevo anche immaginato un titolo: "Sogni, ricordi e riflessioni sull'Albania che implode". In seguito tutto ciò mi è sembrato troppo ambizioso e dai risvolti alquanto intimistici.
Il fatto è che sulla questione albanese, a partire dal 1991, il mio personale livello d'implicazione, mi rende difficile quella distanza necessaria ,minima per avviare la rimozione del mio sguardo implicato.
Avrei voluto qui rendere conto anche delle difficoltà della ricerca-azione avviata tra università di Lecce,Tirana,Pristina e mai istituzionalizzata. Sarebbe stato anche utile documentare il lavoro tentato con il Prof. Alberto L'Abate in funzione di una iniziativa di ricerca intervento a Pristina, ma tutto ciò, in un certo senso,fa parte delle mie impliazioni, è il retroterra su cui si dà il senso di questa breve nota sulla crisi albanese del marzo 1997.
Mentre scrivo mancherebbero due settimane alle elezioni, ma è già prevedibile che, se si terranno, si trasformeranno in un grande pasticcio e che ,comunque ,non risolveranno in alcun modo la dimensione del conflitto, nel migliore dei casi lo potrebbero momentaneamente cristallizzare, nel peggiore accelerarne ulteriormente le dinamiche.
Globalizzazione/tribalizzazione.
Ho appena concluso la lettura della rivista Guerre & Pace ho apprezzato e condiviso numerosi articoli dedicati allo "speciale" "Sbarco in Albania". In particolare le maglie interpretative del "nuovo modello di difesa" utilizzate da Manlio Dinucci sul caso albanese mi sembrano del tutto pertinenti. Anche l'articolo firmato da Kosta Barjaba e Gigi Perrone mi trova d'accordo su tutto e mi ha affascinato la precisione e la schiettezza con cui si argomenta l'analisi del caso albanese, i comportamenti istituzionali, mass-mediati. Ho qualche dubbio invece, dettato dal mio pessimismo, sull' aspirazione democratica che fa da sfondo a quell'analisi, condividendone, quasi con nostalgia, l'opzione di valore che la ispira.
Oggi democrazia appare sempre più una parola vuota, come giustizia, come libertà, come comunismo... . La crisi delle ideologie e dei valori hanno forse esaurito il senso di queste parole.
Non sono invece dell'opinione che non ci sia niente di nuovo: che ciò che accade in Albania si chiama colonialismo, come titola l'articolo di A. Moscato.
Le analisi classiche marxiste e leniniste ci aiutano a capire il quadro di sfruttamento e di oppressione in cui si producono le crisi, ci offrono gli strumenti per demistificare l'ideologia umanitaria con cui si riveste la nuova forma dell'imperialismo, quando invia carri armati e truppe scelte internazionali, lì dove l'azione politica e diplomatica fallisce, dove spesso si consuma la dittatura monetarista del Fondo Monetario Internazionale.
In questa fase però ci serve capire le "novità della storia", che, come è noto, non si ripete mai.
Due giorni dopo le elezioni politiche del 1996, nella presentazione di Kaleidoscopi albanesi (Fumarola,1996) affermavo:
"Si può immaginare che senza un accordo di pacificazione nazionale tra le forze politiche, l'involuzione dell'Albania potrebbe configurarsi come un'implosione da gli esiti imprevedibili".
Mi permetto l'autocitazione per il fatto che, dopo averla scritta, per così dire a cuore alquanto leggero, ho riflettuto a lungo su questa frase. Innanzitutto perché oggi pur considerandolo ancora attuale ed auspicabile, un accordo politico pacificatore non sembra plausibile e realizzabile, senza l'uscita di scena del Presidente Berisha. Se così non fosse è evidente che queste elezioni non servirebbero a nulla.
Il futuro prossimo albanese sarà quindi e purtroppo intrecciato al destino di quest'uomo, alle modalità con cui si concluderà la sua avventura sulla scena politica albanese.
Se comunque questa è una condizione imprescindibile, non è detto che si realizzi, né che sia in alcun modo sufficiente per dare una soluzione provvisoria alla crisi albanese.
La crisi, le crisi oggi si collocano nello spazio che si apre tra globalizzazione e tribalizzazione.
La nozione di globalizzazione, sebbene circoli molto ed è alquanto alla moda non è molto definita. E' alquanto ambigua. Credo che ad utilizzarla per primo, dopo il crollo dei paesi dell'Est, fu Francis Fukuyama (1992), un giapponese autore di un libro di grande successo "La fine della storia e l'ultimo uomo".
Qui si avanza un'interpretazione che sembra apologetica della mondializzazione dell' economia, del post-taylorismo, della deterritorializzazione della nuova fabbrica e delle popolazioni ecc. .
Una nuova "utopia del capitalismo" che prospetta un avvenire di ricchezza, democrazia. pace ed armonia per tutti e per sempre.
Numerosi commentatori e teorici hanno insistito invece sul rovescio della medaglia teorica detta globalizzazione.
Anche a partire da dati empirici del tutto evidenti si mettono in risalto i processi di tribalizzazione, marginalizzazione, impoverimento, segregazione sociale ecc. che l'unificazione e l'interdipendenza del mondo globalizzato comportano.
Questo" paradigma interpretativo" permette di individuare come diretta conseguenza di questo duplice movimento ciò che Franco Fistetti definisce "indebolimento della politica e degli Stati nazionali".
La nozione d'implosione evoca quest'indebolimento ma forse ed anche più l'idea d'impoverimento generale e culturale in primo luogo.
L'Oxford Dictionary rileva che il termine fu usato in un primo tempo dalle scienze naturali, nel 1877. Il suo significato nell'uso corrente è il seguente : "esplosione interna causata dalla pressione esterna". Il Dizionario di sociologia Theodorson (1975), estremamente divulgativo, manca di questa voce, pur essendo di lingua anglofona.
In effetti l'uso che se ne fa nelle discipline sociologiche deriva, che mi risulti, dall'elaborazione teorica della sociologia francese, ed in particolare da J. Baudrillard.
Egli ha eleborato e descritto una teoria calibrata e relativa all'implosione di senso nei media, al silenzio delle masse, il buco nero dell'informazione e della comunicazione, entro il quale, secondo lui, si conclude e scompare "il sociale" nullificando ogni identità.(P.Fumarola 1980)
Anche i situazionisti, i teorici della società dello spettacolo hanno riflettuto su questi temi e ci offrono da tempo delle utili indicazioni. Per esempio Agamben (1990):
"Lo Stato spettacolare resta, malgrado tutto, uno Stato che come ogni Stato, si fonda (come ha mostrato Badiou) non sul legame sociale, di cui sarebbe l'espressione ma sul suo scioglimento, che vieta. In ultima istanza, lo Stato può riconoscere qualsiasi rivendicazione di identità (...), ma che delle singolarità facciano comunità senza rivendicare un'identità che degli uomini appartengano senza una rappresentabile condizione di appartenenza (...)ecco ciò che lo Stato non può in alcun modo tollerare."
Lo scenario in cui si è sviluppata questa fase della crisi albanese può essere indicato utilmente con questa nozione d'implosione, anche se s'affaccia su una prospettiva apocalittica verso cui non sono personalmente incline, per indole più che per convinzione.
La crisi finanziaria degli stati, la crisi del welfare che ne consegue, la competizione e l'illegalità nell'accaparramento delle risorse ecc., seminano incertezza e raccolgono la domanda di uno stato forte e sono, con il declino dei valori di solidarietà sociale, gli elementi di base su cui si costituisce la dinamica implosiva .Essa si nutre e produce allo stesso tempo , come nel caso albanese : paura, terrore, instabilità, smarrimento generale.
L'implosione albanese come modello post-moderno della crisi?
Il complesso di queste dinamiche permettono di leggere ,ma anche vivere, la crisi albanese del marzo 1997 come il distillato di un processo implosivo che ci riguarda, come civiltà, la civiltà della vecchia Europa e come abitanti di questo nuovo sistema globalizzante ,che si affaccia minaccioso nelle crisi locali con lo stridore dei cingolati, le truppe scelte che passeggiano armate per le strade delle città e dei villaggi, nelle lunghe notti di terrore e di coprifuoco albanese ed ancor peggio nella scorribanda somala.
E' una crisi che ci riguarda anche per le implicazioni implosive con cui l'informazione-spettacolo ( ma ne esiste ancora un'altra?) ha contribuito ad orientarla, a produrla, non solo come guerra (Gorgoni 1997), ma anche come invasione di barbari e criminali, alimentando così a sua volta razzismo e barbarie nostrana: il nostro tribalismo.
Ci riguarda infine per l'implodere dell'azione politica e diplomatica, per la sua tragi-commedia.
La crisi albanese si può leggere in definitiva come implosione spettacolare della forma-stato e dei suoi istituti, anche quelli moderni, dal profilo democratico, progressista e di sinistra.
Non è l'Albania che produce la sua crisi, è piuttosto la nostra epoca che la impone con il suo intimo feroce e selvaggio capitalismo trionfante.
Il Venerdì Santo del governo Prodi e della Marina italiana ,comunque valutate e distribuite le responsabilità dell'affondamento e della morte dei profughi è un crimine, annunciato, è anche il naufragio e l'implosione di ogni diritto (internazionale, penale ecc.) e di ogni possibile immagine di ciò che ci ostiniamo a chiamare "stato democratico".
I processi conflittuali emergenti dal doppio movimento di globalizzazione e tribalizzazione sono tutti compresenti nella crisi albanese.
Credo che questo sia chiaro anche nella sostanza dei numerosi saggi ed articoli comparsi nel numero speciale di Limes. Ho avuto l'impressione che, tutto sommato, altri osservatori con differenti punti di vista e differenti interpretazioni mostrino una certa indecisione nell'individuare o nell'indicare prospettive di sbocco della crisi albanese.
Non c'è guerra, si dice, non c'è insurrezione anticapitalistica, tanto meno aspirazioni rivoluzionarie e comuniste. La diversificazione etnica e linguistica tra Nord e Sud, che definisce la geopolitica del conflitto ed a quanto pare anche degli "spazi elettorali" prossimi venturi, è più il frutto contingente delle strumentalizzazioni politiche che una vera frontiera etnica (Barjaba - Perrone 1997- Arian Konomi 1997).
Perfino il crollo delle finanziarie a schema piramidale spiega la crisi ma, come la classica goccia che fa traboccare il vaso: l'occasione motivante.
Emanuela C. Del Re lavora da tempo sull'identità albanese e mostra utilmente come il paese sia alla ricerca di un ' identità (perduta ?). La fuoriuscita dal comunismo da caserma di Enver Hoxha, l'effetto devastante dei media, il conseguente riemergere di schemi identitari tradizionali ,con il diritto consuetudinario (il Kanun di Lek Dukagini) ecc.,specificano la crisi dei processi identitari in Albania, ma si possono riconoscere i tratti essenziali di questa crisi anche in Italia ed altrove.
Come non percepire la crisi profonda dei processi identitari, singoli e collettivi, anche nella metropoli ?
Dire'implosione albanese " è dunque, riconoscere la matrice " post-moderna" della crisi albanese ,comune all'insieme dei sommovimenti sociali che caratterizzano la nostra epoca.
Si avverte, in quest'ottica, l'assenza,per il momento almeno, di un'indagine etnografica della rivolta armata, delle sue caratteristiche, per così dire condominiali generalizzate, una riflessione sulla sospensione o meglio sull' azzeramento dei poteri dello Stato che ne deriva, sul fatto che la rivolta si conservi più o meno intatta da tre mesi e che pure nell'orrore e nel terrore della vita quotidiana cui è sottoposta, la popolazione la sostiene, gestendola, sviluppando misteriosamente molte di quelle funzioni della vita sociale quotidiana organizzata necessarie alla sopravvivenza.
Non c'è stata informazione sulla natura dei "comitati" del Sud, delle "bande" ecc.. La televisione italiana ha mostrato Zana Chaushi prima quasi come un mito popolare di Valona, poi incomprensibilmente e repentinamente come un bandito criminale senza principi, senza appartenenza, infine tra morti ed attentati è apparentemente scomparso.
Il pulviscolo di soggetti dall'incerta identità, il loro carattere "localizzato", che definisce il conflitto armato del popolo albanese, ne fanno forse la prima vera esperienza post-moderna d'insubordinazione e di rivolta armata di massa.
I clan ,il tribalismo, letti non come ritorno storico, come l'irrazionale che irrompe nella storia incompiuta della modernità,quanto piuttosto la tendenza dominante ,matura e nuova delle crisi della nostra epoca.
Si potrebbe guardare a questa esperienza con uno sguardo analogo a quello di K. Marx verso la Comune di Parigi, con le dovute differenze, ma con la stessa prospettiva metodica,con la stessa attenzione alle novità del propio tempo.
Siamo comunque poco attrezzati per definire una teoria dell'implosione all'altezza della situazione.
L'avvenire e non solo le prossime elezioni , vedranno in ballo le identità albanesi, anche quando si fa appello al museo della storia, come nel caso del ritorno di re Zog, spingendo invece fuorilegge i comunisti. Non sarà un ballo democratico e rischia di diventare sempre più acrobatico e pericoloso.
Lecce 17/6/97
Pietro Fumarola
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