Le quattro destre

di Cosimo Scarinzi, Torino, 23 dicembre 2000

La preoccupata lettera di Luciano Locci, pubblicata su "Il filo rosso" (Vedi Lettera aperta ai colleghi N. d. R.), solleva, a mio avviso, alcuni importanti problemi.
Partirò dal primo e cioè dal perché il sindacalismo di base sembra poco attento all'offensiva della destra contro la scuola pubblica. Dico "sembra" perché mi sembra ingeneroso non ricordare gli scioperi, le manifestazioni, le iniziative contro il finanziamento pubblico alla scuola privata che abbiamo fatto in questi anni ma, nello stesso tempo, riconosco che il nostro livello di attenzione e, soprattutto, di visibilità è inadeguato alla gravità delle questioni che ci troviamo di fronte.
Credo che sia bene ricordare sempre la considerazione che il senatore Giovanni Agnelli ha fatto nel 1996, di fronte alla vittoria elettorale della sinistra, e cioè che un governo di sinistra avrebbe potuto, finalmente, fare una politica di destra.
Questa simpatica battuta si è rivelata profetica in generale e particolarmente appropriata per quanto riguarda la scuola. Basta guardare all'assieme delle riforme attuate dal governo in questi ultimi anni per avere chiari i termini della vera e propria mutazione genetica, in senso regressivo, che la scuola ha subito:

1. Autonomia scolastica

2. Dirigenza ai capi di istituto

3. Introduzione di gerarchie interne al personale

4. Riduzione delle libertà sindacali

5. Precarizzazione del personale

6. Taglio delle risorse e degli organici

Mi pare inutile tediarvi con una valutazione dettagliata di quanto è avvenuto non foss'altro che perché suppongo che tutto vi sia noto almeno quanto lo è a me.
Ritengo che dobbiamo andare all'essenziale e cioè al fatto che la sinistra parlamentare e sindacale ha abbracciato, nelle sue componenti più consistenti e più radicate nelle istituzioni, l'ipotesi che una scelta politica è di sinistra perché è gestita dalla sinistra a prescindere dai suoi caratteri reali. L'accettazione del modello neoliberale, in altri termini, avrebbe caratteri accettabili perché "garantita" da una maggioranza parlamentare di sinistra. La distruzione della scuola pubblica nei suoi fondamenti culturali, distruzione che proprio Luciano Locci ha recentemente descritto molto bene in alcuni sui scritti, si fonda sull'idea che la scuola debba allinearsi alle esigenze del sistema delle imprese ed assumere essa stessa una logica interna di tipo mercantile.
Questo quadro generale non sarebbe chiaro se non si tenesse conto del peso di una vera e propria borghesia di stato con la corrispondente piccola borghesia di stato che è la vera base della sinistra istituzionale. Lo strato di colleghi che corre ad occupare le posizioni di sottogoverno a livello di singola istituzione scolastica, i dirigenti scolastici DS CGIL ecc. costituiscono un universo umano e sociale sin troppo noto.
Si comprende facilmente, quindi, come la tradizionale distinzione fra destra e sinistra appaia destituita di fondamento.
Da questa considerazione non deriva affatto l'indifferenza rispetto alla politica scolastica della destra che, anzi, va valutata con grande attenzione come, giustamente, ci ricorda Luciano Locci.
A mio avviso, vi sono, almeno, quattro destre:

1. Una destra mercantile incarnata da Forza Italia e dalle famose, sarebbe meglio dire famigerate, tre I (Impresa, Internet, Inglese). La scuola come addestramento alla nuova economia, per un verso, e una rete di scuole private d'élite per coloro che contano, come i figli di Berlusconi.

2. Una destra cattolica volta a rafforzare le sue enclaves grazie al finanziamento pubblico.

3. Una destra fascista che vuole epurare la scuola pubblica dagli insegnanti di sinistra o, almeno, regolare i conti con la tradizione repubblicana ed ottenere la pari dignità fra fascisti ed antifascisti.

4. Una destra leghista che vuole condurre un'operazione analoga rispetto a quella che caratterizza la destra fascista ma su base regionale ed etnica ed applicando il modello "piccola città, fottuta gente" che già caratterizza la Svizzera (controllo delle autorità politiche locali sulla scuola).

I quattro modelli in questione possono apparire inconciliabili. In realtà vi sono dei significativi elementi di convergenza. Il modello mercantile, infatti, è palesemente inattuabile se non come offerta di scuole degradate per i ceti medio bassi e, grazie al meccanismo della sussidiarietà, lascia uno spazio a scuole che offrono una formazione di qualità superiore e, soprattutto, un ambiente sociale protetto e dei sistemi di valori condivisi. Il modello leghista viaggia nella stessa direzione, visto che, sul piano sociale, è il prodotto degli interessi della piccola e media impresa del nord e vi aggiunge, nel profondo nord, un supplemento d'anima in parte convergente ed in parte concorrenziale rispetto al modello cattolico ultramontano. Il modello fascista, che parrebbe il più incoerente rispetto agli altri, va colto nei suoi caratteri storici ed in quelli strutturali. Dal primo punto di vista, infatti, non dobbiamo dimenticare che il ceto politico che dirige AN viene in blocco dallo MSI del buon Almirante e, di conseguenza, resta fascista almeno nel senso che vuole regolare i conti con la storia della prima repubblica. Dal secondo punto di vista, a mio avviso il più significativo, rende evidente una contraddizione che caratterizza il neoliberalismo e cioè la necessità, in un contesto di distruzione delle garanzie sociali, di rafforzare il controllo statale sulla società. Contro l'opinione corrente, infatti, il neoliberalismo significa più stato (controllo) e più mercato (protetto dallo stato) e non un ritirarsi dello stato dalla società. Basta, a questo proposito, pensare alla spaventosa dilatazione del sistema carcerario negli USA come effetto delle politiche neoliberali.
Ritengo, quindi, evidente che il modello leghista è subalterno rispetto a quello mercantile (che, nei fatti, ha già preso le mosse) ed a quello cattolico ultramontano (che ha già una buona presenza e non attende che maggiori finanziamenti pubblici per accrescere il suo peso). Subalterno non vuol dire irrilevante, anzi. Una polemica dai toni accesi contro l'orrida burocrazia romana può fornire argomenti efficaci alla campagna generale della destra per una scuola privata o, almeno, aziendale. Credo, inoltre, che la trasformazione della struttura della scuola vada posta in relazione al modificarsi, già in atto, dell'assetto geopolitico.
A questo punto, che fare?
Ritengo che vada evitata un'improponibile e perdente difesa della scuola tradizionale e provo a proporre alcune riflessioni, datate ma, mi sembra, non inattuali, sulla difesa della scuola pubblica che dovrebbe caratterizzarci:

1. L'attuale scontro politico fra fautori del finanziamento pubblico alla scuola privata e difensori della scuola della repubblica ha, come sovente accade, il carattere di una battaglia ideologica che rischia di eludere o, peggio, di nascondere volutamente i termini reali della questione di cui si tratta. Nella realtà, i difensori della scuola privata, che si vorrebbero avversari del monopolio statale della formazione e fautori della libertà di educazione, sono decisi assertori di una forma particolare e subdola di statalismo mentre i "difensori della scuola pubblica" sono, sin troppo spesso, i difensori di una scuola aziendalizzata nei fatti e, comunque, burocratica e gerarchica e, quindi, tutto tranne che pubblica nel senso proprio del termine.

2. Il partito degli amici della "libertà di scelta" per le famiglie. costituito, in primo luogo, dall'apparato ecclesiastico e dal padronato, è mosso soprattutto dalla esigenza di avere risorse economiche per salvare scuole che rischiano, sempre più spesso, di chiudere per mancanza di clienti. In altri termini, costoro non chiedono affatto di ridurre il ruolo della macchina statale per quel che riguarda la formazione ma vogliono semplicemente, spostare quote di spesa pubblica per garantire interessi di parte. Sono, da questo punto di vista, perfettamente omogenei alla tradizionale politica delle imprese il cui "liberismo" non ha mai impedito la richiesta di protezione e finanziamento statale, anzi.

3. Dal punto di vista politico/culturale, il partito in questione vuole semplicemente costruire un modello di scuola che espelle dal proprio interno l'idea stesso di diritto del cittadino all'istruzione, ogni diritto viene legato al pagamento del servizio e perde, di conseguenza, ogni preteso carattere universale e generale per ridursi ad un rapporto fra singola scuola/impresa (poco conta se pubblica o privata) e suoi "clienti", clienti selezionati dalla scuola sulla base di criteri di appartenenza sociale e culturale e dotati di un potere economico di pressione sul corpo docente e sull'impresa/scuola stessa.

4. Vi è, in questa proposta, un regresso epocale sia rispetto alla tradizionale idea di scuola come diritto generale, per quanto non realizzata nei fatti, che alla distinzione fra diritti del singolo e diritti della famiglia. Il bambino prima ed il ragazzo poi vengono, nella loro ipotesi, riconsegnati appieno ad un'autorità familiare che il carattere della scuola pubblica aveva, in parte, indebolito e le famiglie stesse vengono invitate ad orientare la propria scelta secondo logiche di appartenenza sociale e culturale che non possono che rafforzare le attuali gerarchie sociali.

5. Il partito dei difensori della "scuola della repubblica" appare, in questo contesto, straordinariamente radicale nonostante i limiti che lo caratterizzano, limiti che sono, nel migliore dei casi, un segno dei tempi e, nel peggiore, il portato della egemonia del punto di vista statale e padronale sul movimento dei lavoratori. La "difesa della scuola pubblica" contro l'attacco clericale e padronale rischia, se non si pone in una prospettiva politica e sindacale chiara, di essere subalterna agli interessi che pretende di combattere.

6. Se definiamo, come riteniamo sia corretto, come pubblica una scuola aperta effettivamente a tutti, che operi contro le discriminazioni di classe, che permetta concrete modalità di autogoverno dei soggetti che vi si trovano ad operare, che permetta libertà di insegnamento, di ricerca, di sperimentazione, la scuola attuale è tutto tranne che pubblica e rischia di esserlo sempre di meno per diverse ragioni.

7. In primo luogo, l'attuale struttura della formazione non fa che riprodurre le divisioni di classe che caratterizzano la società. Manca qualsiasi politica del diritto allo studio: gratuità dei trasporti, dei libri di testo, mense, risorse aggiuntive adeguate per gli studenti con maggiori difficoltà sociali e culturali, presalario ecc. L'autonomia, intesa come aziendalizzazione della scuola, che l'attuale governo ha approvato non potrà che rafforzare la gerarchia interna fra gli istituti, esaltare la concorrenza per accaparrarsi fasce di utenza "pregiata", fare delle scuole riservate ai gruppi sociali più deboli dei contenitori a metà fra il parco giochi ed il riformatorio.

8. In secondo luogo, la scuola pubblica è gestita attraverso una miscela di dispotismo burocratico e logiche privatistiche che ci pone di fronte al peggio del pubblico e del privato. Una burocrazia pletorica ed inefficiente governa le sorti di più di un milione di lavoratori e di oltre dieci milioni di studenti rendendo difficile, faticoso, sovente impossibile ogni tentativo di effettiva innovazione dal basso. I collegi docenti, le assemblee studentesche, le riunioni del personale tecnico, amministrativo ed ausiliario non hanno alcun potere effettivo e si riducono ad un dispendio di tempo e di energia mentre cresce il potere dei capi di istituto, recentemente promossi a dirigenti e reduci da corsi di formazione a questo nuovo incarico gestiti direttamente dalla Confindustria. Come un medico che pretende di guarire la malattia che egli stesso ha diffuso, il governo introduce logiche privatistiche nel governo della scuola con lo effetto di sottometterla ulteriormente agli interessi economici dominanti.

9. Il disgusto, la non sopportazione, il desiderio di cambiamento rispetto alla tradizionale gestione burocratica della scuola aprono le porte alla privatizzazione di fatto di una scuola che resta formalmente pubblica.

L'aumento del potere dei presidi che viene presentato come l'attribuzione di un maggior potere alle istituzioni scolastiche è, nei fatti, un rafforzamento della gerarchia e del dispotismo della burocrazia, tanto più forte quanto più "decentrato". Gli stessi presidi manager saranno sottoposti più che in passato alla pressione del mercato in cambio di un maggior potere di gestione e di controllo sul personale, oltre che un reddito più alto, ma la scuola avrà meno autonomia sul piano della organizzazione dello studio e, cioè, di quello che dovrebbe essere il principale compito della scuola stessa.
10. Dal punto di vista propriamente culturale, la scuola azienda si presenta come la trasformazione del sogno di un sapere liberato dalla gerarchia e dal nozionismo nell'incubo di una formazione-intrattenimento ridotta alla trasmissione di pochi saperi sempre più impoveriti, di abilità e di competenze parziali staccati da una visione generale del sapere e della società. Le masse dei nuovi proletarizzati che il sistema delle imprese chiede alla scuola dovranno essere flessibili, adattabili, innovative ma non dotate di un punto di vista forte e definito sulle questioni che affronteranno dal punto di vista individuale e collettivo.

11. Questo modello di scuola spiega anche la politica scolastica del governo e dei sindacati suoi amici: alla libertà di impresa per la scuola corrisponde la riduzione dei diritti sindacali per i lavoratori del settore, alla richiesta di "modernità" il degrado del servizio, alla valorizzazione del mercato come modello di riferimento, il taglio delle risorse per l'edilizia, per il personale, per le strutture.

L'obiettivo dei nostri avversari è quello di tagliare la spesa pubblica per la istruzione, così come avviene per la sanità, per i trasporti ecc. e, nello stesso tempo, di mettere i lavoratori e gli utenti dei settori coinvolti da questo processo in lotta fra di loro per ottenere il meglio, o il meno peggio, possibile nella fruizione dei servizi.

Spero di aver fornito un contributo alla discussione richiesta da Luciano.

Cordialmente
Cosimo Scarinzi

 

rete

home