A proposito della proposta Nova Spes

di Laura Goggi, aprile 2001

Vedi anche Lucio Russo: Risposta a Laura Goggi

Dato che sono curiosa delle opinioni altrui mi sono letta attentamente il progetto di riforma della Fondazione Nova Spes, di cui hanno parlato i media e di cui si è dato notizia nei newsgroup che discutono di scuola. Ho trovato assolutamente condivisibile il proposito di salvaguardare la qualità della scuola italiana, curiose molte interpretazioni delle intenzioni (non direttamente ricavabili dai testi, a mio parere) della riforma Berlinguer-De Mauro, ma incomprensibili alcune delle soluzioni proposte per la salvaguardia della qualità e assolutamente risibile la proposta programmatica su cui posso esprimere un giudizio, perché riguarda la mia competenza professionale, quella dell'italiano per il triennio.
Liquido in poche battute questa ultima questione, richiamando l'attenzione sul rapporto quantità dei contenuti e obiettivi proposti.
Cito testualmente (tagliando per ragioni di brevità i contenuti degli indirizzi tecnici-tecnologici e artistico-musicali):

Nel triennio finale del ciclo secondario il compito precipuo dell'insegnamento dell'italiano in ognuna delle tre aree disciplinari dovrebbe essere quello di fornire allo studente, oltre a una più matura padronanza del linguaggio scritto e orale, una capacità di analisi e di interpretazione autonoma dei testi letterari, una intelligenza critica nei confronti dei più vari codici di comunicazione e di espressione, una conoscenza dei grandi autori e delle tendenze fondamentali della tradizione letteraria italiana, una disponibilità a farsi lettore libero e autonomo della produzione letteraria contemporanea. In questo orizzonte acquistano un rilievo sempre più determinante quelle che abbiamo indicato come le funzioni estetica, civile e storica dell'insegnamento dell'italiano, che andrà raccordato non solo a quello delle altre lingue e letterature e delle altre discipline umanistiche, ma anche a quello delle materie scientifiche: nel senso di una crescita di coscienza e di problematicità, di una capacità di controllo autonomo del sapere, di una presa d'atto della ricchezza e della molteplicità della cultura umana, data anche dalla consistenza dei suoi dati concreti, dalla individualità delle sue esperienze. Non si tratterà di fornire una conoscenza enciclopedica di tutti gli autori possibili, né di andare a caccia di esperienze marginali e particolari, ma di saper dialogare, nella libertà dell'interpretazione (nel riconoscimento della concretezza materiale dei testi, ma senza privilegiare una esteriore prospettiva analitica), con i grandi autori e le grandi opere italiane, ma senza trascurare il confronto tra la letteratura e le altre arti e il rapporto sempre stretto tra la letteratura italiana e le letterature del mondo: tenendo presenti sia le radici classiche che lo scambio con le letterature straniere (e nel rapporto con gli insegnamenti delle letterature straniere sarà essenziale la definizione di un comune canone europeo, degli autori irrinunciabili come fondamento della cultura e della civiltà europea). In ognuna delle aree, a livelli diversi, dovrà mantenersi e rilanciarsi in modo adeguato lo studio della Commedia di Dante, seguendo la scansione delle tre cantiche nel corso dei tre anni. Lo studio storico della letteratura italiana seguirà peraltro il percorso cronologico (articolato nelle tre sezioni divenute canoniche, dalle origini a metà Cinquecento, dal Tasso a Leopardi, da Leopardi al Novecento, con lettura antologica degli autori irrinunciabili), accompagnato, nel corso di tutti e tre gli anni, dalla lettura di testi di autori del Novecento, e dalla libera costruzione di percorsi tematici capaci di toccare la letteratura di tutti i tempi, risalendo alle letterature classiche e affacciandosi sulle letterature straniere (questi percorsi tematici dovrebbero essere organizzati attraverso un coordinamento con le altre discipline letterarie ed eventualmente con ogni altro tipo di disciplina). Il rilievo essenziale che assume Leopardi nel canone letterario italiano sarà sottolineato dall'attraversamento di parti diverse della sua opera alla fine del secondo e all'inizio del terzo anno di corso. La trattazione di questi contenuti nelle diverse aree comporterà approcci e metodi adeguati alle differenti competenze degli alunni. Queste le ipotesi sui dati caratterizzanti ogni percorso (che non escludono la libera scelta di altri argomenti e letture secondo il livello quantitativo e qualitativo adottato dal docente).

E aggiungo un solo esempio dei contenuti:

Area classico- scientifica
Primo anno: Lettura integrale di 10 canti e di passi antologici dell'Inferno. Le origini, la lirica d'amore, la poesia religiosa. Dante, Petrarca, Boccaccio. L'umanesimo. Il Rinascimento e la fondazione dei modelli. Ariosto. Machiavelli. Guicciardini. La lirica petrarchistica.
Approfondimenti: per il curriculum classico: Petrarca; Folengo; per quello scientifico: Marco Polo e la letteratura di viaggio, Machiavelli.
Lettura novecentesca: Montale, Pirandello, Fenoglio.
Tre percorsi a scelta.
Secondo anno: Lettura integrale di 10 canti e di passi antologici del Purgatorio. Tasso. Manierismo e barocco. La commedia dell'arte. La prosa scientifica del Seicento. Razionalismo e illuminismo. Goldoni, Parini, Alfieri. Romanticismo europeo e romanticismo italiano. Foscolo. Porta. Manzoni. Leopardi (prima parte).
Approfondimenti: per il curriculum classico: Metastasio, il neoclassismo; per quello scientifico: Galilei, la divulgazione scientifica nel Settecento.
Lettura novecentesca: Svevo, Gadda, Calvino.
Tre percorsi a scelta.
Terzo anno: Lettura integrale di 10 canti e di passi antologici del Paradiso. Leopardi (seconda parte). Belli. Nievo. De Sanctis. Scapigliatura. Verga e il verismo. D'Annunzio. Pascoli. La poesia del primo Novecento. Gozzano. Pirandello. Svevo. Croce. Ungaretti. Saba. Montale. Gadda. Fenoglio. Primo Levi. Calvino. Morante. Tomasi di Lampedusa. Caproni. Tendenze e gruppi della letteratura del secondo Novecento, con lettura di romanzi a scelta dei maggiori autori.
Approfondimenti: per il curriculum classico: Montale, Bassani; per il curriculum scientifico: Gadda, Primo Levi.
Tre percorsi a scelta.

Quindi domando: come è possibile che degli studenti (e degli insegnanti) non siano sopraffatti da tanta mole e che riescano a uscire da una velocissima e meccanica pratica di trasmissione pura? Dove lo spazio per la coscienza critica? O la coscienza critica è un'essenza volatile che passa da docenti a studenti?

Lascio però da parte una questione solo apparentemente disciplinare per passare ad altre che riguardano l'impianto e, a mio parere, la natura "politica" della proposta.
La prima questione è quella della precocità delle scelte, che si lega alla chiusura dei due sistemi di istruzione e di formazione. Si legge infatti:

I due sistemi, scolastico e professionale, dovrebbero distinguersi con l'inizio della scuola secondaria e in ambedue dovrebbe essere possibile soddisfare l'obbligo formativo.

Questo mi pare chiaro. La scelta va fatta alla fine della scuola di base (fatta di due cicli) e prima del compimento dell'obbligo scolastico (se non lo si vuole riportare a 14 anni). Le ragioni per cui i due sistemi debbano rimanere separati sono ampiamente argomentati. Confondere troppo finalità "speculative" e operative nuoce a entrambi i percorsi

(Ci preme, qui, sottolineare che il sistema integrato, così come si configura, annulla sul piano teorico e su quello più concreto della struttura architettonica e dell'organizzazione dei contenuti, ogni distinzione tra cultura speculativa e cultura operativa, cioè tra studio teorico e formazione professionale).

Un certo livello di teoria è comunque presente anche nella formazione professionale. Ma la mia preoccupazione è un'altra: la cultura del lavoro e la relativa formazione alla responsabilità (la "pedagogia del lavoro" di cui molto opportunamente si parla) che fine fanno nella scuola prevalentemente teorica? Mi preoccupa non poco la diffidenza culturale verso l'esito operativo delle conoscenze teoriche che si respira nel documento e mi colpiscono le affermazioni del rinvio agli anni universitari di questi aspetti della formazione:

È però evidente che solo chi intende posporre la propria preparazione professionale agli anni universitari, rinunziando ad una formazione secondaria di tipo professionale, può investire in acquisizioni di tipo speculativo tutti gli anni della scuola secondaria.

Infine sono rimasta perplessa su una dichiarazione a proposito delle differenze fra i due canali, che parla di non meglio definite differenze di "relazioni interpersonali" e di profilo professionale dei docenti:

I due canali da noi proposti, si differenziano non tanto per i contenuti (anche la formazione professionale prevede uno studio teorico) quanto per gli obiettivi, per l'approccio metodologico-didattico e organizzativo e per la tipologia di relazioni interpersonali tra docenti e discenti e tra gli stessi studenti. Al segmento teorico deve corrispondere il titolo di studio dell'insegnante il quale avrà un profilo professionale adeguato alle finalità e agli obiettivi della formazione professionale.

[citazione testuale: è evidente che qui è saltato qualcosa, ma cosa?]

La seconda questione su cui vorrei che si potesse discutere è il concetto di selezione orientativa. La mia prima reazione è stata che si tratti della scoperta dell'acqua calda, o meglio dell'acqua riscaldata. Da sempre si fa orientamento per mezzo della selezione. Il dubbio è che non sia la via corretta o che comunque non sia sufficiente. Vorrei solo far riflettere sul falso mito negativo delle promozioni facili: al primo anno della secondaria superiore siamo sempre attestati su un buon 17% di respinti.
Ma poi ho capito che va ben calibrato il rapporto tra selezione e orientamento

La nostra proposta perciò introduce il criterio della selezione orientativa, che non espelle dal sistema ma aiuta ciascuno - attraverso un vasto ventaglio di proposte e una organizzazione delle discipline per livelli di complessità e di approfondimento - a collocarsi negli indirizzi o nel canale a lui più confacente.

In altro luogo si precisa: espulsione no, ma insuccesso sì. Nemmeno oggi in fondo si espelle, ma si scaricano gli studenti sul gradino più basso, facendo perdere un anno, se va bene, e non riconoscendo quasi mai almeno il livello delle acquisizioni raggiunte.
Il concetto di selezione orientativa mi rimane comunque un po' oscuro e inquietante, nonostante che, e forse proprio perché, ho poi individuato nella proposta almeno due elementi di novità che sottopongo all'attenzione di chi mi leggerà: 1) l'insegnamento delle discipline a tre livelli, che mi ricorda il tanto detestato sistema delle scuole americane. E' vero che la divisione in livelli è rivedibile e che si deve realizzare senza rompere l'unità della classe, ma non si dice come (si lascia la soluzione alla fantasia delle scuole?), e dopo si aggiunge:

Le verifiche dovrebbero essere di diversa complessità per gli studenti inseriti nei diversi livelli di ogni disciplina e si dovrebbero prevedere alcune ore differenziate. [...]

2) i meccanismi d'acceso alla scuola secondaria. Stavolta il documento è assolutamente chiaro e in più di un passaggio:

Al termine del ciclo lo studente potrebbe ricevere con il diploma un elenco degli indirizzi del ciclo successivo consigliati nel suo caso. L'iscrizione alla scuola secondaria sarebbe automatica per gli indirizzi consigliati, mentre per gli altri sarebbe subordinata al superamento di una prova d'ingresso organizzata dalla scuola secondaria prescelta.

Non credo che ci sia bisogno di chiose. Si anticipa, almeno ai 14 anni, quello che è tutt'oggi, a torto o a ragione, ancora in discussione per l'accesso all'università.

Vorrei prima di tutto capire se il documento è stato letto per intero da tutti i suoi firmatari ed estensori, uniti, a mio parere, solo da una feroce avversione per i processi riformatori, quelli in atto e, qualcuno, quelli possibili. Tra di loro credo ci siano quelli che sognano selezione feroce fin dai primi anni, quelli che vogliono che la formazione professionale possa accogliere il compimento dell'obbligo, quelli che non intendono né verificare né selezionare, perché ritengono la loro disciplina vincolo e compito superiore a quanto dei poveri studenti possano attingere, meritevoli comunque di un sei "politico", solo per aver accolto dignitosamente il verbo del maestro, e infine quelli che, se leggessero tutti i documenti di riforma senza il velo dell'ideologia, potrebbero trovare lo spazio per realizzare quanto vanno cercando.
In secondo luogo vorrei discutere sull'impianto generale della scuola che propongono le riforme governative e quella di Nova Spes. Gran parte della sinistra ha inseguito negli anni '70 e '80 il mito del biennio unico e della scuola secondaria onnicomprensiva. Erano molto probabilmente obiettivi sbagliati o sovradimensionati per più di un motivo. Questa riforma ha imboccato sicuramente un'altra strada (la distinzione degli indirizzi della secondaria non viene meno per la riduzione del loro numero), senza però negare l'obiettivo democratico e costituzionale dell'inclusione e dell'integrazione. Come si può pensare infatti che la scuola possa individuare come suo obiettivo prioritario l'indirizzo delle vocazioni (preservando così quelle alte) e non la rimozione delle sperequazioni di partenza, che non si può considerare acquisito se non, almeno, con la fine dell'obbligo? Su questo penso che tutti siano d'accordo. Il problema viene sui mezzi adoperati: Si rendono omogenee le situazioni di partenza separando o integrando? Una didattica dell'integrazione penalizza davvero i più dotati? E poi si può nobilitare come si vuole la funzione della dissuasione per mezzo della selezione, ma non sarà mai uno strumento neutro o scientifico nato per orientare. L'orientamento ne sarà un significato di secondo livello, il primo è la sanzione di un fallimento, non necessariamente della scuola, sicuramente della società. Non dico con questo che non si debba selezionare; affermo solo che non ci si deve nascondere dietro un dito. Se ci si deve dichiarare impotenti, ci si dichiara impotenti, ma non si scarica la responsabilità; la si condivide con molta pena.
Lascio per ultimo un dubbio malizioso. Che cosa vuol dire l'affermazione di partenza del documento:

Gli studenti, che erano arrivati a considerare la scuola come un male necessario ora la subiscono solo come un male e per giunta inutile di fronte al quale è giusto ribellarsi.

Cosa significa l'avverbio ora? Si tratta dello stato di degrado a cui è giunta la scuola non riformata o della percezione, da parte degli studenti, dei danni della riforma? Se è vera la seconda ipotesi, come hanno fatto ad accorgersene, visto che di esperienze di riordino, di autonomia e di nuova didattica se ne è fatte solo a parole? E pensare che nel documento si dubita della svalutazione del mondo delle parole rispetto a quello dell'azione!

 

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