Risposta a Laura Goggi di Lucio Russo, aprile 2001 Vedi anche Laura Goggi: A proposito della proposta Nova Spes
(omissis)
Provo a commentare, come mi chiede, il messaggio precedente.
Una prima osservazione: la proposta di cui si parla non è un proposta della Fondazione Nova Spes, ma è la proposta di un gruppo di quattro enti, diversi per natura e per orientamento: la Fondazione Nova Spes, l'ufficio studi della Gilda, PRISMA e l'Istituto Italiano per gli studi filosofici.Entrando nel merito dei problemi sollevati, Le confesso che preferirei discutere nel merito delle questioni in un clima di confronto costruttivo di opinioni e non mi sembra che sia facile farlo sulla base dell'intervento che mi sottopone.
Laura Goggi (che, se non la confondo con un'omonima, è stata un autorevole membro delle commissioni ministeriali che hanno diretto il processo di riforma di questi anni) esprime il "parere" che i diversi estensori siano uniti solo da una feroce avversione a tutti i possibili processi riformatori. Uno degli "argomenti" più usati dai sostenitori della riforma dei cicli è appunto quello di attribuire a chi non è d'accordo con la "loro" riforma una generale avversione a tutte le "riforme".
Come si fa a discutere seriamente un "parere" di questo genere? Si usa evidentemente l'abitudine mentale ad associare un valore positivo alla parola "riforma" per difendere qualsiasi progetto proposto sotto l'etichetta di "riforma", indipendentemente dai suoi contenuti. Si tratta di tecniche originate nel linguaggio della pubblicità e usate largamente nei dibattiti televisivi, che nulla hanno a che fare con la tradizione dell'argomentazione razionale alla quale sono affezionato.Come si fa a discutere sulla "diffidenza culturale verso l'esito operativo delle conoscenze teoriche" che secondo la Goggi "si respira" nel documento?
Sono certo di non nutrire alcuna diffidenza del genere (come avrei potuto lavorare in meccanica statistica e in matematica applicata, se non avessi privilegiato da sempre gli esiti operativi delle conoscenze teoriche?), ma naturalmente tutti sono liberi di effettuare le proprie associazioni mentali in piena libertà. Con chi volesse discutere razionalmente la questione occorrerebbe intendersi sul significato degli "esiti operativi". Nel caso della fisica, ad esempio, sono convinto che il laboratorio "reale" sia essenziale e non condivido l'idea che il momento operativo debba consistere solo nell'uso del mouse per avviare un programma di laboratorio "virtuale" da subire passivamente.Purtroppo la neolingua imposta da qualche anno nella scuola italiana rende difficile discutere seriamente di qualsiasi argomento. Per la matematica se per momento operativo (come ha sostenuto qualche autorevole pedagogista "ministeriale") si intende l'applicazione al supermercato o alla lettura dell'estratto conto bancario delle conoscenze apprese, sono certo molto diffidente.
Non perché tali applicazioni siano da evitare, ovviamente, ma perché mi sembrano del tutto marginali rispetto agli obiettivi di un serio insegnamento matematico.
Credo invece che nel caso della matematica i momenti operativi possano riguardare applicazioni ad altre discipline, esperimenti (reali, ideali o numerici) e anche attività ludiche.Nel caso della storia antica cosa si intende con "esito operativo"?
Qualche ragazzo potrà partecipare (buon per lui!) a un campo archeologico, ma nella maggior parte dei casi lo studio sarà necessariamente teorico. Se per "esito operativo" si intende l'uso delle proprie (scarse) conoscenze per far da guida a gruppi di turisti, allora sono di nuovo più che diffidente.
Un'altra possibilità che respingo è quella di eliminare o svalutare lo studio di argomenti come la storia antica o Dante appunto per l'assenza di esiti operativi.
In generale non condivido il disprezzo per ogni attività che non abbia un immediato riscontro in termini monetari. Purtroppo si tratta di un disprezzo che sta crescendo nella società, nella scuola e nell'università, in parte motivato dall'astrattezza di alcuni insegnamenti tradizionali e in parte maggiore generato dal crollo delle ideologie, che ha generato per reazione l'idea che l'immediata convertibilità in danaro costituisca l'unica possibile scala di valori.
La concezione aziendalista della scuola ne è solo una delle conseguenze. L'idea di imporre questi non-valori attraverso un'opera di indottrinamento ideologico diretta da burocrati ministeriali mi sembra una particolarità italiana particolarmente sgradevole.Nel caso dell'italiano gli "esiti operativi" mi appaiono chiarissimi per le competenze linguistiche, ma mi sono abbastanza oscuri per quanto riguarda la storia della letteratura. Il desiderio di esiti operativi ha fatto affermare ad uno dei principali ideologi dell'attuale riforma (Maragliano) che sarebbe preferibile sostituire Dante con più utili videogiochi. E' questo che intende Laura Goggi?
Non sono la persona più adatta per rispondere nel merito della proposta per l'italiano, ma vorrei sottolineare che non si tratta di una proposta anonima, essendo firmata da Giulio Ferroni. Poiché la Goggi, a quanto afferma, è competente sull'argomento, non può non conoscerlo. Eppure ritiene di dover liquidare il suo contributo, qualificandolo "risibile", in poche battute, senza entrare nel merito delle scelte di contenuto e senza neppure nominarne l'autore. Avrei girato a Giulio Ferroni una contestazione educata e argomentata. Inoltre la Goggi dimentica di dire (o forse non ha notato) che i contenuti proposti da Ferroni e da lei riportati riguardano solo uno dei possibili livelli di insegnamento della lingua italiana, e precisamente il livello massimo.
Questi contenuti avrebbero una tale mole da non lasciare spazio alla "coscienza critica". Mi sembra che occorra rispondere a due diverse domande.
1. E' vero che chi vuole e può apprendere molti contenuti non riesce, per questo motivo, a formarsi una coscienza critica?
2. E' inevitabile che tutti gli studenti raggiungano le stesse competenze nel campo della letteratura italiana?La mia risposta alla prima domanda è no. Credo che la coscienza critica sia impedita molto più dall'ignoranza che dalla conoscenza. Contrapporre la coscienza critica all'apprendimento dei contenuti è un artificio retorico che tenta di giustificare (con la solita tecnica di suggerire una associazione mentale immotivata) la rapida eliminazione dei contenuti culturali che è in atto nella scuola. Naturalmente per raggiungere una reale conoscenza occorre che i contenuti non si riversino sullo studente, suo malgrado, a ritmi superiori a quelli che si è disponibili ad accettare, ma che siano proposti contenuti adeguati ai bisogni di crescita intellettuale degli studenti.
Mi rendo conto di avere già risposto anche alla seconda domanda. Non credo che si possa imporre la lettura obbligatoria della letteratura italiana del Trecento a intere generazioni di giovani. Alcune conoscenze possono e debbono essere imposte a tutti: tra queste credo dovrebbero esservi un minimo di padronanza di strumenti linguistici e la capacità di smontare le pseudo-argomentazioni della pubblicità, ma non credo vi possa essere la conoscenza di una parte sostanziosa della Commedia.
I veri nodi da sciogliere sono quindi, a mio parere, i seguenti:
1. E' giusto eliminare del tutto argomenti come la lettura di Dante o Petrarca dalla scuola secondaria pubblica italiana?
In caso di risposta affermativa rimangono varie opzioni: non potendo eliminare del tutto il ricordo di certi argomenti, se ne può limitare l'insegnamento ad alcune scuole private, oppure si può limitare la lettura di Dante ad alcuni corsi di dottorato. E' questo che vogliamo?2. Se invece l'insegnamento "ad alto livello" della letteratura italiana viene riservato ad una parte degli studenti, come si può evitare che la scuola divenga uno strumento di discriminazione sociale?
Come scegliere chi leggerà Dante? O chi studierà il greco? Non mi sembra che vi siano reali alternative alla libertà di scelta. Naturalmente occorre mettere tutti in grado di scegliere. Per questo occorre che tutti abbiano almeno un "assaggio" delle varie possibilità. Si obietta: la scelta è troppo precoce; i ragazzi a 14 anni non sono in grado di scegliere. A me sembra ovvio che, se per evitare scelte precoci, si privano i giovani fino a 18 anni di qualsiasi possibilità di crescita intellettuale, non si permetterà loro una scelta consapevole neppure alla fine della secondaria.
L'idea dei vari livelli di insegnamento non è stata capita. In particolare la Goggi non ha capito che i diversi livelli di insegnamento dovrebbero caratterizzare quasi sempre diversi curricoli. Su questo punto sono però già intervenuto nello stesso gruppo di discussione e posso quindi rimandare a quell'intervento. Vorrei solo sottolineare che a mio parere chi teme di riproporre vecchie discriminazioni sociali non ha capito cosa è avvenuto negli ultimi 50 anni.
Mi sembra evidente che chi vorrà ottenere denaro e successo sociale farà meglio ad evitare in ogni caso studi come la storia antica o Dante, concentrandosi invece sulle "tre i" introdotte nella sostanza da Berlinguer e tradotte più efficacemente nel linguaggio pubblicitario dagli esperti di Forza Italia. Chi oggi combatte la "cultura astratta" come socialmente discriminante sa bene (se non è uno sprovveduto) di battersi per conto dei nuovi padroni, ai quali non interessa nulla né la cultura classica né quella scientifica, sostituite, come strumento di discriminazione, dalle tecniche di marketing e dal linguaggio della pubblicità (il cui "esito operativo" è garantito).Non abbiamo letto i documenti scritti dai colleghi? Credo che i più l'abbiano fatto. La Goggi intende sottoporci a un esamino? Vi sembra serio rispondere a questo tipo di provocazioni gratuite?
Avremmo precisato: "Espulsione no, ma insuccesso sì". Saremmo quindi contrari alle espulsioni ma favorevoli agli insuccessi. Affermazioni del genere richiedono commenti? Forse sì, nonostante le apparenze.
La verità è che di fronte all'eventualità dell'insuccesso esistono due atteggiamenti possibili: il primo è quello di negarlo, sancendo il "diritto al successo formativo". Si confonde in questo modo il successo reale con un adempimento amministrativo (che solo può essere stabilito per decreto). Gli eventuali insuccessi, con disprezzo per la logica, vengono addebitati a chi li rileva, o a chi semplicemente non ne nega l'esistenza. Un'applicazione di questo procedimento è quello di attribuirci una sadica predilezione per gli insuccessi.
Il secondo atteggiamento consiste nel mantenere il ricordo dei veri obiettivi formativi, tenere in conto la possibilità di insuccessi, essere in grado di riconoscerli e, su questa base, adoperarsi per minimizzarne il numero e la gravità.La Goggi afferma che l'orientamento è un significato di secondo livello della selezione, che va accettata, ma senza nascondersi dietro un dito.
Forse vuol dire che lo studente dovrebbe cambiare curricolo in seguito a una bocciatura? In questo caso debbo dedurne che anche il significato della "selezione orientativa" le è rimasto del tutto oscuro. Eppure l'idea mi sembra molto semplice (e la Goggi afferma di aver letto ATTENTAMENTE il nostro documento! Cosa le accade quando legge con scarsa attenzione?). Si tratta di questo: i docenti INVECE di "bocciare" dovrebbero trasferire lo studente, dopo averlo ascoltato ed avere raccolto tutti gli elementi utili, da un curricolo ad un altro, a lui più adatto. Probabilmente l'immediata impressione che non potesse trattarsi che di "acqua riscaldata" ha impedito di capire la proposta.Non capisco bene cosa sia la "didattica dell'integrazione", ma mi sembra che si tratti di un linguaggio più utile per svolgere i temi ideologici che rischiano di diventare una delle principali attività degli insegnanti "coordinatori di progetti" che per svolgere effettiva attività didattica.
Vengo all'ultimo punto: cosa si intende per "ora"? Si intende ora. Non è vero che la scuola non sia stata mai riformata. La scuola è cambiata molte volte e negli ultimi anni ha accelerato il cambiamento, come sanno bene tutti gli insegnanti e dovrebbe sapere in modo particolare chi (grazie all'adesione ideologica ai progetti ministeriali) ha assunto funzioni direttive nel processo di aziendalizzazione e burocratizzazione della scuola. Fingere che non è accaduto ancora nulla significa davvero nascondersi dietro un dito.
Lucio Russo
P.S. Credo che la proposta che la Goggi ha tentato di leggere (il successo non è mai garantito!) sia un piccolo contributo in una direzione che richiede molte elaborazioni, scelte e discussioni serie. Mi sembra che i gruppi di discussione potrebbero dare un contributo importante se si privilegiassero in qualche modo i contributi non faziosi (intendo se si desse meno spazio a chi giudica "risibili" le opinioni di Ferroni sulla letteratura italiana, "acqua riscaldata" le proposte che non capisce, accusa gratuitamente gli avversari di essere contro-riformatori, di non avere letto i propri documenti e così via). Che si può fare? Qualcuno ha delle idee? Forse occorrerebbe creare dei sottogruppi riservati a chi condivide alcuni principi comuni. Io desidererei un gruppo (certamente minoritario) formato da chi accetta la superiorità dell'argomentazione razionale sulla libera associazione di idee.
Chi è Lucio Russo Lucio Russo, dopo aver insegnato per diversi anni Fisica generale, è attualmente ordinario di Calcolo delle probabilità all'Università "Tor Vergata" di Roma. E' stato visiting professor presso varie istituzioni scientifiche, tra le quali la Princeton University. Oltre che di lavori nel campo della fisica matematica e della teoria delle probabilità, è autore di diverse ricerche sulla scienza antica e suoi rapporti con la scienza moderna. Nel 1996 ha pubblicato La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna (Feltrinelli). M. Cini, nella prefazione a questo libro, scrive: «Credo che il libro di Lucio Russo sia paragonabile al tempo stesso a una sensazionale scoperta archeologica e a un'importante teoria scientifica. Russo dimostra che la nascita della scienza moderna va retrodatata di duemila anni, alla fine del IV secolo a.C.». Nel 1998 pubblica Segmenti e bastoncini. Dove sta andando la scuola (Feltrinelli) [recensito da M. Bontempelli in Koiné, 3/4, 1998], che - con numerose ristampe - ha contribuito in modo fondamentale al dibattito sulla scuola. E' l'infaticabile animatore della rivista «Punti critici», oggi riferimento importante per quanti si occupino seriamente di scuola, insegnamento, paideia.