A proposito di "SUICIDIO A SCUOLA", di CARLO LOIODICE*

diAugusto Caffaz, Novembre 2000

Riproduciamo questo contributo pervenuto al nostro sito, senza però riconoscerci nei giudizi espressi (così come non ci riconosciamo nel pezzo di Loiodice). Da una parte entrambi i discorsi infatti ci paiono un po' troppo sbilanciati in direzione di una difesa di stampo corporativo della categoria. Dall'altra ci pare troppo comodo scaricare le responsabilità degli insuccessi scolastici, causa prima dei suicidi, prevalentemente sulla struttura scolastica oppressiva, vecchia e nuova, stornandole quanto più possibile dagli insegnanti. Non ci convince per nulla poi l'idea che sia la "lotta sociale", quindi la rivoluzione, a risolvere automaticamente tutti i problemi legati alla conflittualità adulti-giovani tout-court, così come quella che si scatena in ambito scolastico.
E' solo in seconda battuta, e in termini un po' moralistici, che ci si preoccupa in questi articoli dei drammi spesso gravissimi che vivono gli adolescenti nei loro rapporti quotidiani con l'istituzione scolastica e con i loro insegnanti! Rapporti che talvolta - come nei casi che hanno dato spunto alle seguenti riflessioni - danno luogo a fatti tragici.

* Vedi Suicidio a scuola, di Carlo Loiodice, breve riflessione a mo' di premessa all'articolo di Repubblica di Bologna del 30 settembre 2000, dal titolo "E' stata spinta al suicidio per colpa della scuola".


Il tema del mobbing e il tema del suicidio studentesco stanno venendo "di moda". Il mobbing colpisce lavoratori/trici della scuola (insegnanti, ma non solo) ma non solo della scuola. Di cause di lavoratori della scuola colpiti da mobbing se ne fanno da un po' (da un po', quanto?) So solo che è da un po', in certe città (Firenze) sì ed in altre (Milano) no, perché gli avvocati schierati coi lavoratori e preparati per il settore pubblico scarseggiano). I suicidi studenteschi nell'anno scolastico 1999 ­ 2000 sono stati 105 (dato agghiacciante, tratto dal disegno di legge 3345 presentato in Senato).

Mettendo assieme questo numero di suicidi scolastici annuali enormemente aumentato, con dinamica galoppante, rispetto alla storia e cronaca della scuola italiana, col procedere della controriforma che accompagna i suicidi, si deve parlare NON DI TRADIZIONALI SUICIDI DA BOCCIATURA, MA DI SUICIDI DA CREDITO (mancato, oppure negativo ­ cioè debito - oppure realizzato in modo competitivamente insufficiente) FORMATIVO. Non sono la stessa cosa. L'insuccesso da credito formativo non significa quello che significava la bocciatura pre-scuola azienda. La vecchia bocciatura per lo più recitava una litania demoralizzante e offensiva contenuta in questi termini: "Tu entrerai tardi nella vita perché sei lento; entrerai, forse, anche col marchio del tonto"; questa impostazione (ma la vecchia bocciatura aveva anche moduli interpretativi più morbidi) è sufficiente a generare morte da suicidio in un numero limitato di situazioni psicologiche. Invece il fallimento da credito formativo, che in termini amministrativi si realizza con la vecchia bocciatura, è incapsulato nella vecchia bocciatura, significa "Tu sei stata escluso/usa darwinianamente dalla sopravvivenza civile di mercato. E' cosa corretta che tu non abbia un futuro. Non sei né troppo intelligente né troppo scemo/a, non troppo svogliato né troppo nevrotico/a. La possibilità di ricostruirti, ripetendo l'anno con relativo riposo, un retroterra di riflessione su te stesso/a, non si pone. Tu sei peggio di tutte queste cose elencate: sei un perdente; a proposito: se qualcuno ti dice che perdente o vincente sono participi presenti, non lo credere". I 105 suicidi (ma io mi riferisco a quelli riusciti, non a quelli, più del doppio, solo tentati) presentano pertanto due aspetti politici apparentemente contraddittori: - delegittimabilità della scuola dell'autonomia, perché antisociale; - potenziamento della scuola dell'autonomia tramite linciaggio morale di chi (lavoratori/trici della scuola) si oppone alla medesima scuola-azienda, o dell'autonomia, o di mercato che dir si voglia. Questo secondo corno significa che il docente bocciatore viene accusato di omicidio perché boccia, così come in altra situazione potrebbe essere accusato di qualsiasi altro crimine perché promuove.

I docenti si presentano deboli di fronte al problema: il problema del suicidio, in quanto legato al diritto alla vita (il diritto di chi si sente demotivato a vivere e per questo si ammazza) non si presenta come problema di seconda istanza: la vita precede tutto. Invece il tema della promozione/bocciatura fa parte della riflessione dei docenti, perché legato alla storicità inevitabile di una diatriba. Che qui le opinioni dei docenti siano molteplici non è né una disgrazia né una fortuna: è fisiologico. Ma di fronte ad una colpevolizzazione dei lavoratori chiamati a fare da capro espiatorio per le colpe governative, confederali, padronali ed ecclesiali, nel momento in cui l'accusa storica e culturale è quella di omicidio colposo per incompetenza organica, ecco che la stessa differenziazione fisiologica, che non dovrebbe essere paralizzante, la è.

Per uscire da questo assedio è necessario un approfondimento del problema. Tanto per cominciare dobbiamo rifiutare, non una eventuale sentenza contro la collega accusata di mobbing, ma il processo in quanto tale. In questo senso più generale la ragazzina suicida - (fortunatamente) mancata ha torto (culturalmente torto, civilmente torto, storicamente torto) .

Se dovessimo constatare noi di persona (non la magistratura: noi; e non noi in quanto docenti e basta, perché un album, un ordine, una auctority deontologica - cui rimanda l'idea di docenti giudicati da docenti - sarebbe un fatto reazionario: noi in quanto docenti e ata che rifiutano la controriforma) che la collega accusata ha veramente praticato il mobbing, noi dovremmo: 1) fare NOI un culo così alla collega; 2) sostenere pubblicamente la verità più profonda, che cioè il dato che conta non è che chiunque di noi potrebbe avere delle degenerazioni, ma che in un tessuto di vita scolastica impostato sulla competitività la guerra tra poveri è in atto non da ieri e nemmeno da avantieri; non si possono volere le figure obbiettivo con funzione di controllo e vantaggi economici, come non si possono fare i POF e contemporaneamente pretendere che i bassi istinti, compresi i bassi istinti di natura vessatoria, non si formino. E' per questo, non per pietà verso qualsiasi docente eventualmente responsabile di mobbing, che non si può riconoscere nessuna dignità a nessun processo: pertanto il degrado generale non si risolve né coi processi né con le punizioni ma con la lotta sociale.

Per quanto attiene processo, il suo uso antipopolare è assicurato in tutti i casi. E' ovvio per tutti che un/una docente dichiarato/a sadico/a si presta alla campagna di linciaggio in atto contro la categoria. Chiariamoci sull'altra eventualità: se riteniamo che una ragazzina ex-suicida, che una sconfitta in questa azione giuridica bollerebbe come affetta da mania di persecuzione, possa essere o no additata al senso comune con effetti reazionari. Certamente sì, perché la scuola-mercato ha come fondamento ideologico la caricatura del darwinismo (il cosiddetto darwinismo sociale), per il quale i suicidi ­ tentati o riusciti - sono solo uno tra i molti tipi di registrazione di fallimento selettivo, normalissimo: più che ovvio che chi viene scartato/ata dalla scuola e dalla vita (le due cose si unificano, nel momento in cui la figura del "pratico" che se la cava nella vita anche senza teoria viene già sussunta dentro la scuola azienda) tenti di dimostrare l'ingiustizia del suo fallimento; normale che, salvo casi percentualmente irrisori, non ci riesca.

La celebrazione di questo processo è una sacralizzazione esplicita della guerra tra poveri, e qualsiasi nostra (di noi lavoratrici/tori anti-autonomia scolastica) sottovalutazione della cosa sarebbe un grave sbaglio.

L'azione giusta in tal senso dovrebbe essere preventiva verso le parti in causa, con una spiegazione del punto di vista anti-processo, per convincere la famiglia della studentessa e (prima di tutti) la studentessa a non fare il processo e, se iniziato, a ritirarlo.

Ma su un piano più generale per prevenire la guerra tra poveri bisogna che i poveri che vogliono prevenire le guerre tra di loro si dotino di strumenti comuni per farlo.

La riflessione in proposito è forse scarsa nel campo dei lavoratori della scuola, ma in compenso tra gli studenti è presente un interessamento reazionario ad accrescere questa guerra: un interessamento organicamente delineato nell'UDS (Chi non ha letto il CONCORSINO, scritto dall'UDS in appoggio a Berlinguer attorno al 17 febbraio, se lo vada a cercare su Internet, perbacco!). Ma sarebbe utile che qualsiasi (tentativo di) iniziativa in tal senso si accompagnasse ad un clima di riflessione specifica a più voci. Non sarebbe male se anche altri, dopo l'intervento di Carlo Lojacono e questo mio, dicessero qualcosa. E' un auspicio ed un invito.

 

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