Questo incontro tenutosi presso la Libreria delle donne ha spinto Luciano Locci a inviare un'analisi critica a cui ha fatto seguito la risposta di Paolo Ermano. Riportiamo nel nostro sito i due interventi, che offrono entrambi interessanti spunti di riflessione.
Venerdì, 6 aprile, ci siamo incontrate/i al Circolo della rosa, attiguo alla nuova sede della Libreria delle donne, in via Calvi. Eravamo un gruppo di insegnanti, dalle elementari alle superiori, che sono in relazione tra di loro da diverso tempo. L'occasione per incontrarci è stata offerta dal "convegno nazionale dell'autoriforma gentile" che si è tenuto a Roma il 28 e il 29 aprile (vedi il volantino "Le maestre e il professore").
Mi piace l'idea di darne un breve resoconto, fondato in buona parte sulla memoria, e quindi sicuramente selettivo, centrato su quanto mi ha più appassionato. Non ci saranno le voci di tutte e tutti e me ne scuso.Vita accenna brevemente al lavoro di preparazione del convegno sottolineando la volontà di quelle e quelli dell'autoriforma di operare un capovolgimento simbolico di ciò che succede e si dice nella e della Riforma della Scuola in cui tutti/e noi, che nella scuola ci stiamo, siamo coinvolti/e.
Osserva che questa è una riforma senza "cuore", senza passione, diversamente dalle istanze riformatrici degli anni '60 ricche di passioni, emozioni, idee. Che è una riforma che non dice nulla sulla realtà che è cambiata in questi anni, anche dentro la scuola. Che, se alcune idee circolate nelle scuole sono state recepite per i gradi più "bassi" dell'istruzione, vengono negate man mano si sale nella gerarchia scolastica incrementando specialismi e tecnicismi in maniera quasi ossessiva.
Obiettivo di questo convegno è il ribaltamento di questa ottica e la riconferma che "ogni autentico apprendimento, indipendentemente dalle età e dalle fasi formative, si fonda sulla qualità delle relazioni e sulla valorizzazione del loro carattere sessuato". (vedi volantino sopra citato) Questa è l'ottica che ha determinato il taglio che avrà il convegno di Roma. Nel 1°giorno sono previsti racconti di esperienze di scuola d'infanzia che hanno ottenuto anche riconoscimenti internazionali, racconti di maestre.
Il 2° giorno avrà come tema centrale il problema dell'"aver perso autorità" degli adulti nella scuola.Cristina interroga e si interroga sul cos'è fare scuola da maestra. Quale è il "sapere della maestra" e in che modo si può "pensare" questo sapere. A partire dal silenzio in cui questo sapere è confinato, anche dalle maestre stesse. Le maestre non giocano pubblicamente il proprio sapere. "Tutto quello che facciamo ogni giorno non è elementare" Chiede alle maestre di rompere il silenzio e invita ad una riflessione su cosa sia "fare la maestra", quale sia il "senso".
Racconta di un'esperienza che sta portando avanti con alcune maestre di Bologna dove si pone come "osservatrice" con l'intento di cogliere quegli elementi che caratterizzano le relazioni che si intrecciano tra adulte/i, bambine/i nella quotidianità della vita in classe.Secondo Marta il nostro non prendere parola in quanto maestre dipende da una sorta di "sudditanza" che abbiamo nei confronti dei "gradi superiori dell'istruzione" cioè da chi ha più "distacco" dal proprio lavoro, dall'esserci nella classe, dalle relazioni che vive in classe.
Il prendere parola di Marta non ha un alfabeto per dirsi: "Io sono dentro lì tutta, diventa difficile definire quello che ho fatto, quale metodologia ho usato... E' altro dalle parole. Il nostro lavoro è tempo di vita... Trasformarlo in parole rischia di diventare un metodo".
Anche per Marta occorre rovesciare la sudditanza ma non abbiamo un alfabeto che ci consenta di dirlo.Marinella teme che in realtà anche le maestre stiano perdendo la specificità di cui Cristina e Marta hanno parlato. Che anziché difenderla e potenziarla come valore tendano a considerarla una sorta di "inferiorità" e si affannino quindi ad ottenere "competenze" qualificanti sul piano professionale che consentano di uscire dal "limbo" per acquisire, finalmente!, una dignità di tipo professorale. Che è proprio il violino suonato in questi anni e riconfermato dall'insieme di riformine e riformette già attuate nella scuola dell'autonomia. Legge in questo senso ,tra l'altro, il fatto che dopo una prima opposizione alle funzioni obiettivo e al modo in cui queste figure intervengono nell'organizzazione, anche didattica, della scuola di base esse siano oggi, di fatto, una realtà nella maggior parte delle scuole.
Ritornando poi su quanto Vita aveva detto a proposito della riforma, esprime la sensazione che anche l'opposizione alla riforma sia senza "cuore" e che sia questo l'elemento che rende difficile far "sentire" questa opposizione. Manca una progettualità politica che riesca ad esprimere un altro punto di vista sul senso del fare/essere della scuola oggi.Isabella racconta del suo disagio nel rapportarsi con i ragazzi e le ragazze a scuola , del senso di estraneità che prova nel proprio lavoro legato alla difficoltà di trovare canali di comunicazione che consentano il travaso di esperienze tra generazioni, come se fossero saltate le coordinate che consentono di capire che stiamo parlando dello stesso mondo anche se le età e le esperienze di vita sono diverse.
Stefania parla della solitudine che vive a scuola dove è sempre più difficile parlare con altre e altri delle questioni che stiamo affrontando tra di noi. Il "discorso" non circola ed è condiviso solo in ambiti già conosciuti.
E poi altre osservazioni, pensieri, parole capaci di muovere altro pensiero e forse, altre parole, come sempre nella dimensione che hanno questi incontri.