Legislazione italiana: 
i retroscena

 
Fabiano, dicembre '98
Intro Testo Unico D.P.R. n° 309/90  Il referendum del '93
L'istituzione penitenziaria Alcune puntualizzazioni Conclusione

Intro

Innanzitutto un grande saluto a tutti i fumatori incolumi e curiosi ma anche e soprattutto a tutti i perseguitati, consumatori abituali e non, vittime di tale inaudita e patetica guerra attuata dal nostro governo (sulla scia di altri simpatici ed estremamente civili paesi quali gli Stati Uniti) contro l’innocenza di un comportamento potenzialmente deviante solo quando lo si combatte, lo si attacca; ostinatamente, con tenacia, eppur senza risultati.
Questo era il giudizio che l’illuminista Beccaria già nel 1746 dava di tutti coloro che pensavano di poter modificare i costumi con la legge e la repressione: " nelle infinite e oppositissime attrazioni del piacere e del dolore, non possono impedirsele dalle leggi umane i turbamenti e il disordine. Eppure questa è la chimera degli uomini limitati, quando abbiano il comando in mano. Il proibire una moltitudine di azioni indifferenti non è prevenire i delitti che ne possano nascere, ma egli è crearne dei nuovi, egli è un definire a piacere la virtù e il vizio, che ci vengono predicati eterni ed immutabili. A che saremmo ridotti se ci dovesse essere vietato tutto ciò che può indurci a delitto? Bisognerebbe privare l’uomo dall’uso dei suoi sensi".

In questa sede noi non ci occuperemo dettagliatamente di tutte le droghe come non ci occuperemo del panorama internazionale e di tutte quelle tesi che cercano di far capire come mai venga ancora sostenuto ed incentivato dai proibizionisti cosmopoliti un progetto burocratico che più fallimentare non si può trovare sulla faccia della terra sotto ogni profilo, sotto ogni aspetto (moralismi ultraterreni, posizioni politiche dissennate ed interessate, vetuste ipocrisie, interessi economici di multinazionali petrolchimiche, farmaceutiche … ); ma neppure del perché legalizzare sia la soluzione più ovvia oltre che l’unica efficace o di come significhi restituire naturalità ad un comportamento costantemente demonizzato offrendogli la possibilità di inserirsi in un contesto culturale maturo, più responsabile, destinato a crescere ("il proibizionismo crea una barriera di difesa, ma al di là della barriera c’è vuoto di conoscenza", G. Arnao). 

A noi interessa, in prima analisi, soprattutto un aspetto del fenomeno così vasto, ossia il consumo, in qualsivoglia quantità, specialmente quando questo venga equiparato allo spaccio ed abbia una rilevanza penale oltre che amministrativa.
In seconda analisi interessa invece l’Italia, il paese dove siamo nati e viviamo, dove siamo sottoposti a torture psicologiche insensate con il nostro assenso passivo, nella totale impossibilità di reagire, un paese dove rappresentiamo le future generazioni, quindi l’unica possibilità di cambiamento. 

Testo Unico D.P.R. n° 309/90. Aspetti generali.

Cominceremo da cose penso ormai note a tutti. La nuova disciplina degli stupefacenti, la legge "Craxi-Jervolino-Vassalli" n° 162 approvata il 26 giugno 1990 e poi inserita assieme alle precedenti nel testo unico sulle sostanze stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza con decreto del Presidente della Repubblica n° 309 del 9 ottobre del 1990, è una delle leggi punitivo-repressive più severe nel panorama internazionale pur contenendo interessanti innovazioni atte a modificare l'assetto e i compiti istituzionali affidati al carcere.
Essa cambia radicalmente la strategia istituzionale nella lotta alla diffusione delle tossicodipendenze rispetto alla vecchia legge n° 685 del 1975. Quest’ultima in merito alla liceità del consumo di stupefacenti, pur dichiarando illecito l’uso delle droghe leggere che di quelle pesanti sanciva la non punibilità per l’utilizzazione personale di modica quantità di sostanze stupefacenti. La nuova legge ribaltò questa impostazione dichiarando non tollerabile il consumo e la detenzione di droga a nessun titolo e per nessun tipo, sostituendo il vecchio concetto di modica quantità stabilito, di volta in volta, discrezionalmente dal giudice con il concetto di quantità non eccedente la dose media giornaliera fissata invece da un apposito decreto ministeriale, il quale ha condotto finora in carcere migliaia di tossicodipendenti abituali (per esempio: il D.M. Sanità del 14 luglio del 1990 prevedeva che chi fosse stato sorpreso con una dose di Eroina pura superiore ai 100 milligrammi o di Cocaina superiore ai 150 milligrammi fosse considerato piccolo spacciatore quindi passibile di arresto). 

Il referendum del '93. Uno sterile successo.

Successivamente, con il referendum del 18 aprile del 1993 si riformò in parte il testo suddetto annullando alcune norme sulla punibilità dei consumatori di droga. Soltanto però chi avesse avuto un’immagine deformata della qualità della popolazione tossicomanica può essersi stupito del fatto che il referendum popolare non abbia avuto alcun effetto sostanziale sulla popolazione penitenziaria o , ancor più ingenuamente, averlo solo scongiurato: era infatti noto che la portata repressiva dell’articolo 76 (Sanzioni penali in caso d’inosservanza), tradotta in posti di carcere, era sempre stata equivalente a zero e che quindi, nella pratica, nessun consumatore per il solo fatto di essere tale espiava la pena prevista da tale disposizione.
Tra l’altro si abrogò anche il I comma dell’articolo 72 (Attività illecite) che recitava: "E’ vietato l’uso personale di sostanze stupefacenti ".
Venne così introdotto un dubbio principio sulla non punibilità per il consumatore: dubbio perché, come vedremo, le cosiddette sanzioni amministrative (art. 75) rappresentano una forte privazione coercitiva della libertà del cittadino (le segnalazioni ai prefetti per le violazioni dell’articolo 75 sull’uso personale di sostanze proibite hanno raggiunto all’inizio del 1996 la cifra di 108.176, mentre le sanzioni effettivamente inflitte sono state 26.688, di cui 17.314 dopo il colloquio nucleo operativo tossicodipendenze e 9.374 per mancata presentazione al colloquio), e in secondo luogo perché la dose media giornaliera, viste le sue catastrofiche ripercussioni, deve essere assolutamente individuata con altre modalità (le violazioni dell’articolo 73, quello che stabilisce le pene per la produzione e il traffico di stupefacenti e include fra le sostanze vietate anche la Cannabis e i suoi derivati, hanno riguardato nel 1995 circa 20.000, vale a dire circa il 36% dei detenuti).
Con tale referendum, comunque, la battaglia antipunizionista ha ottenuto, allo stato, il suo risultato più elevato senza tuttavia che il Parlamento abbia saputo esprimere soluzioni legislative adeguate a quel voto. Il suo esito, se non altro, dimostrò che la scelta repressiva, ispiratrice di quel testo, era stata largamente bocciata dai cittadini del nostro paese e che tale impostazione, severamente proibizionista, non poteva non lasciare il campo, anche da un punto di vista democratico, ad una visione dei problemi collegati al consumo degli stupefacenti più pragmatica. Siamo stanchi di ripeterlo: la punizione non potrà mai assolvere la funzione di deterrente all’uso di tali sostanze. 

L'istituzione penitenziaria: il problema dei tossicodipendenti detenuti e degli interventi terapeutici.

Quindi, nonostante l’esito del referendum del 1993, l’impianto del testo unico sugli stupefacenti rimane fortemente penalizzante, ribadendo la sua "anima ispiratrice": per l’elevato livello delle pene, per la sostanziale equiparazione tra detenzione e spaccio e fra droghe leggere e droghe pesanti. Non c’è dunque da meravigliarsi che la legge antidroga sia responsabile per oltre la metà degli ingressi in carcere e I TOSSICODIPENDENTI COSTITUISCANO STABILMENTE OLTRE UN TERZO DELLA POPOLAZIONE CARCERARIA.
A fronte di questa criminalizzazione del consumo di droghe e della tossicodipendenza la legge 162 proponeva nel tentativo di alleggerire la situazione carceraria due soluzioni: l’affidamento in prova speciale e la sospensione della pena per programmi terapeutici (art. 76 lettera h, art. 120 e seguenti). Tale via venne poi ribadita nel 1993 dall’allora Ministro Martelli che elevò il tetto di pena al di sotto del quale era possibile accedere a questi istituti: venne così introdotta una sostanziale disparità fra l’affidamento in prova ordinario e quello per tossicodipendenti, purtroppo solo apparentemente a favore di questi ultimi. Un ultimo piccolo passo in questo senso, è stato poi recentemente fatto con l’approvazione della legge "Simeone-Saraceni".
Attualmente però, molto spesso l' insieme degli interventi di carattere socio-riabilitativo e psicologico, anche ammesso che riescano a realizzarsi in pratica, sono già fortemente viziati dalla struttura culturale di fondo del T.U. 309/90 che antepone il momento punitivo e sanzionatorio rispetto a quello dell' aiuto e della risocializzazione.
Ci sarebbe molto da dire sulla "ratio" e la "rilevanza simbolica" di questo sistema, che da un lato stigmatizza senza appello come deviante il semplice consumatore e il tossicodipendente; dall’altro, accentuando la "specialità" premiale delle alternative terapeutiche al carcere, ribadisce lo stereotipo del "tossico" quale persona parzialmente responsabile delle sue azioni, ovvero incapace di intendere e di volere. Fece scalpore, all’inizio di quest’anno, una sentenza della corte costituzionale che riconfermò la validità degli articoli 94 e 95 del codice penale: aggravanti per i reati commessi dai "consumatori abituali" (coloro che indulgono a piaceri illeciti) e addirittura la non imputabilità per i tossicodipendenti "cronici", equiparati a malati di mente senza via di scampo.
Ma cosa si intende per imputabilità? In quale relazione è con il concetto di responsabilità penale?
Quest' ultima si riferisce all'esistenza di una causalità materiale e psichica tra l'evento e l'individuo. Nessuno può essere punito per un fatto che non è conseguenza della sua azione o omissione (art. 40 c.p.) e per un'azione commessa senza coscienza e volontà (art. 42 c.p.): un certo fatto deve essere riferito ad una certa azione o omissione e ad un certo comportamento cosciente dell' individuo. Con tale categoria giuridica, si evidenzia l'obbligo astratto, di chi è genericamente dotato della capacità di comprendere la propria azione, di subire una pena: l'accertamento della causalità materiale e psichica tra individuo ed evento è di pertinenza del giudice il quale, esaminando il fatto, le modalità e le motivazioni, stabilisce se quell'individuo è responsabile penalmente.
Tale concetto astratto si sostanzia attraverso quello d'imputabilità.
Secondo l'art. 85  c.p. è imputabile chi ha la capacità d'intendere e di volere, di comprendere i dati della realtà e di agire secondo le proprie idee e i propri desideri: la mancanza,anche temporanea, di una sola di queste capacità comporta la non imputabilità.
In particolare per capacità d'intendere si è soliti riferirsi alla capacità di comprendere ciò che si sta facendo (natura intrinseca del fatto), l'illegalità dell'azione commessa (natura antigiuridica del fatto) e la possibilità di una reazione antisociale (natura antisociale del fatto); per capacità di volere ci si riferisce ai poteri volitivi, ossia alla "capacità dell'individuo di autodeterminarsi".
Volendo soffermarsi un attimo a riflettere, la rappresentazione dell’uso di droghe e della dipendenza che emerge dal codice fascista del 1930 non è poi molto distante da quella della legge attuale: è solo estremizzata poiché il tossicodipendente è trattato come un soggetto totalmente irresponsabile, cui solo a rigori si aprirebbero le porte dei manicomi criminali.
Ora dovrebbe apparire senza veli la violenza estrema, superiore a qualsiasi pena, insita nel togliere ad un individuo il bene supremo di essere se stesso, soggetto responsabile - appunto - delle proprie scelte, nel bene e nel male; e sospettoso potrebbe rivelarsi allora, l’umanitarismo paternalistico di quanti si "stracciano le vesti" per far uscire dal carcere tali soggetti svuotati della loro dignità, senza spendere una parola per attenuare i rigori della legge penale che in carcere li ha condotti.

Alcune puntualizzazioni.

Quale è stato allora, sotto questo profilo il risultato pratico di tale sistema?
E’ ben vero che è progressivamente aumentato il numero di detenuti tossicodipendenti che ha scelto, si fa per dire, di sottoporsi a programmi in strutture socio-assistenziali ma ciò non ha affatto significato la diminuzione dei soggetti in carcere, creando la disillusione di un sistema globale, costituito da due vasi comunicanti, che ancorché restringersi si espande. Il che è spia significativa dell’ambiguità di questo circuito alternativo terapeutico che impropriamente si definisce come tale. 

Sul versante della depenalizzazione ci si limita invece a registrare quanto è stato già sancito da svariate sentenze della corte di cassazione (anche se naturalmente non mancano sentenze di pareri contrari) relative ad una interpretazione più elastica e meno ortodossa relativa agli articoli 73 e 74 inerenti la coltivazione ad uso personale e il consumo di gruppo, non senza sottolineare gli obblighi sanzionatori derivanti dalle convenzioni internazionali; con un generico accenno ad una "riconsiderazione critica" delle sanzioni amministrative per il consumo personale (art.75) ed una ancor più generica eventualità di riformulazione dell’ipotesi di lieve entità per lo spaccio (art. 73 comma 5). E’ da ricordare inoltre che da annoverare tra i possibili reati vi è anche la cessione gratuita a terzi, la cosiddetta "cessione amichevole", per la quale può essere imputato per spaccio anche chi semplicemente regala una modica quantità ad un amico oppure, arrivando all’esasperazione, come sancito da una clamorosa sentenza della Corte di Cassazione del 1997, chi "passa uno spinello al proprio vicino". 

Conclusione.

Il governo Prodi, anche alla luce delle conclusioni della II conferenza nazionale sulle droghe e sulle tossicodipendenze tenutasi a Napoli nel marzo del 1997 ha, solo in linea di principio, accettato una politica di riduzione del danno che preveda la depenalizzazione totale di tutti gli atti finalizzati al consumo personale dei derivati della Cannabis, compresa la coltivazione domestica, e la costituzione di un fondo sociale per la tossicodipendenza per consentire di ampliare il più possibile l’integrazione tra interventi sociali (cosiddetti enti ausiliari) e sanitari, rendendo i dibattiti e le elaborazioni prodotte in quell’occasione, solo delle astratte ed interessanti dichiarazioni.
Sono state infine recentemente consegnate al presidente della Camera le firme raccolte in calce ad una proposta di legge d’iniziativa popolare che punta alla liberalizzazione della Cannabis e alla depenalizzazione di tutti i comportamenti legati al consumo di droghe, non riconducibili allo spaccio.
Noi più esattamente vogliamo: 

  1. Il superamento del regime sanzionatorio nei confronti del consumo di droghe;
  2. La prevenzione del disagio per i soggetti maggiormente esposti al consumo di droghe;
  3. La sperimentazione limitata e controllata nella somministrazione delle sostanze stupefacenti;
  4. La riforma delle strutture operanti in materia di tossicodipendenze;
  5. LA LEGALIZZAZIONE DELLE DROGHE LEGGERE.
Con riguardo alla legalizzazione i tempi non sono ancora del tutto maturi, esistendo purtroppo delle gigantesche barriere sul piano dei principi, delle soluzioni tecniche, dei vincoli internazionali, da non essere ancora completamente attuale; ma qualcosa da un po’ di tempo si sta muovendo e non solo nel nostro ristretto ambito nazionale.