Ci vorrebbe una bombetta...
E' stato detto, a giusto titolo, che le bombe di Venezia e Padova sono contro il movimento. In questo articolo si analizzano i sottili meccanismi che portano le classi dominanti italiane, senza dare ordini esecutivi, a utilizzare il terrore per fermare i movimenti. REDS. Settembre 2001.


 

Nella notte tra l'8 e il 9 agosto una bomba scoppia di fronte al tribunale di Venezia. Il 23 agosto un'altra bomba distrugge la sede della Lega Nord di Busa di Vigonza (Padova). Di fronte a questi episodi si è parlato di "bombe contro il movimento", attentati cioè che avrebbero lo scopo di creare un'atmosfera torbida di paura, dove il movimento antiglobalizzazione verrebbe identificato dall'opinione pubblica come un qualcosa di poco chiaro e contiguo con la violenza, in modo da far salire dalla società una richiesta di "ordine" a tutti i costi. La strategia della tensione è una tattica utilizzata per cercare di isolare le avanguardie politicizzate dalle masse: queste, per quanta rabbia abbiano in corpo, non amano affatto la violenza e sono disponibili a farne uso solo in specialissime occasioni. Identificare dunque i movimenti con atti di violenza significa screditarli agli occhi delle vaste maggioranze.

A noi pare una interpretazione corretta. Ha però bisogno di ulteriori specificazioni, anche ad uso di coloro che quei periodi non li hanno vissuti e in modo che sia chiara la dinamica sociale e storica che porta a tali strategie. In poche parole: cosa significa strategia della tensione? Vuol dire che il governo "ordina" di piazzare una bomba? Significa che in una qualche stanza segreta multinazionali, CIA, e destra organizzano gli attentati che fanno loro comodo? Ovviamente si tratta di una visione semplicistica. Questi meccanismi nella realtà funzionano in maniera molto raffinata e complessa, ma con un certo grado di precisione. Vediamo di studiarli, anche se in termini necessariamente succinti.

Il ruolo della violenza illegale di stato in Italia

In Italia la violenza di stato ha sempre assunto un ruolo importante nella risposta che le classi dominanti hanno dato alle proteste delle classi oppresse e di altri strati sociali che contestavano l'ordine costituito (giovani, studenti, ecc.). La ragione sul perché ciò avviene in Italia la vedremo alla fine di questo articolo. Parliamo di violenza illegale, anche se la differenza con quella legale è, per le vittime, piuttosto aleatoria. Per violenza legale intendiamo quella che lo stato esercita assumendosene la responsabilità. Il che significa che non chiede certo scusa e non rinuncia a raccontare bugie sullo svolgimento dei fatti, ma che esercita la violenza pubblicamente e con forze alle sue dipendenze. Sono vittime di questa violenza legale, ad esempio, i manifestanti di Genova, come in passato gli operai di Reggio Emilia uccisi dalla polizia di Scelba, i proletari falciati da Bava Beccaris, ecc. Quella illegale invece è la violenza di cui lo stato non si assume pubblicamente la responsabilità, pur organizzandola direttamente o fomentando altri soggetti a compierla o rinunciando volutamente a perseguirla.

Vi sono stati due grossi momenti in cui ciò è avvenuto: al sorgere
del movimento fascista fino alla sua piena affermazione come regime ('19-'28 circa) e negli anni settanta (1969, bomba di Piazza Fontana sino al 1980, bomba della stazione di Bologna). Vi sono stati naturalmente molti e altri episodi minori, o confinati localmente. Va ad esempio considerata in parte di stato (dato che lo stato ha lasciato fare) la violenza mafiosa contro le organizzazioni sindacali contadine in Sicilia negli anni cinquanta e sessanta, l'ondata di attentati in Sicilia e Calabria contro sindaci pidiessini nella prima metà degli anni novanta, le bombe mafiose (Firenze, Milano...) del '93, ecc. Ma i periodi di cui sopra si distinguono perché hanno contribuito a cambiare i rapporti di forza tra le classi sociali, in maniera determinante all'inizio degli anni venti e in maniera importante negli anni settanta.

Il coinvolgimento dello stato in queste strategie terroristiche è oggi provato in sede storica per quanto riguarda il fascismo, e dai tribunali per quanto riguarda lo stragismo degli anni settanta. Nessuno cioé mette in discussione che gli apparati dello stato lasciavano fare le bande fasciste che scorrazzavano per la Pianura Padana compiendo stragi e bruciando le sedi delle Case del popolo: in queste occasioni l'esercito non interveniva mai, mentre invece accorreva prontamente quando i fascisti erano messi in difficoltà dalla reazione popolare. Nel caso degli attentati degli anni settanta i tribunali non sono arrivati quasi mai a individuare esattamente esecutori e mandanti, ma hanno provato in maniera sistematica che ogni attentato era accompagnato da depistaggi organizzati dai servizi segreti (italiani, ma anche statunitensi e israeliani), e/o da collusioni di questi con gruppi fascisti che agivano da manovalanza.

Riguardo a questa stagione è ormai luogo comune parlare di "servizi segreti deviati". L'aggettivo "deviati" è stato introdotto a suo tempo dal PCI perché questo era un partito che sosteneva la "neutralità" dello stato, e dunque non poteva ammettere che i suoi organismi repressivi fossero nel complesso (al di là cioé della volontà individuale di singoli che potevano anche nutrire convinzioni democratiche) al servizio delle classi dominanti e dei loro interessi di fondo. Accusare dunque un corpo dello stato di essere coinvolto in quanto tale in una strategia eversiva era troppo "forte" per questo partito, che preferiva sempre parlare (anche a proposito della polizia e dei carabinieri degli anni cinquanta) di "eccessi", di "molto ben identificati settori reazionari interni a ...", ecc. Nella realtà le stesse inchieste della magistratura hanno individuato (e in alcuni e pochi casi condannato) i depistatori ai massimi livelli dei servizi segreti, che per questa ragione sono stati più volte "riformati".

Perché uno stato di un Paese potente come l'Italia (sesta economia nel mondo) ha bisogno di ricorrere alla violenza illegale, quando ha a disposizione il monopolio della violenza legale (in Italia il porto d'armi è riservato solo alle forze dell'ordine, a polizie private di sicura fede e ai ricchi che ne fanno richiesta - perché devono esistere fondati motivi come pericolo di rapimento, ecc.)? Vi ricorre quando si trova di fronte ad un movimento di massa crescente, pericoloso per gli interessi delle classi dominanti, e contemporaneamente nell'impossibilità politica di utilizzare le normali e legali forme di repressione. Questa impossibilità negli anni venti era dovuta al fatto che i governi si reggevano largamente sul sostegno o la benevola neutralità del Partito Socialista e del Partito Popolare e dunque era difficoltoso il ricorso all'esercito. Del resto un esercito formato da coscritti era assai inadatto a sconfiggere in maniera radicale un potente movimento operaio e contadino, si poteva rischiare l'ammutinamento, ecc. Negli anni settanta una radicalizzazione di massa che non conosceva eguali nel mondo non poteva essere contenuta da uno stato retto prevalentemente da governi di centrosinistra e che contava su una morbidissima opposizione di un PCI, la cui distanza dalle masse giovanili in rivolta era ritenuta dai potenti necessaria per sconfiggere il movimento.

In fondo è un parallelo cui possiamo ricorrere anche oggi. La destra ha provato a liberarsi dal ricatto della piazza (vedi sul numero scorso l'Editoriale e La logica della repressione), ma la reazione successiva l'ha costretta ad indietreggiare e a compiere una serie di azioni che si stanno verificando dei boomerang (come il Comitato parlamentare di indagine sui fatti di Genova). Sperava finalmente di dare una lezione in piazza alla sinistra, e si è ritrovata invece con le cosiddette forze dell'ordine messe sotto accusa da tutti quanti. Le bombe sono scoppiate dopo questo mezzo fallimento. Sospettiamo fortemente che quelle bombe non sarebbero scoppiate se la violenza legale avesse ottenuto dei risultati.

Cosa significa? Berlusconi nel chiuso della sua stanza ha prima ordinato il massacro di Bolzaneto e della Diaz e poi ha fatto mettere la bomba al tribunale di Venezia? Ovviamente no. Non è affatto necessario, perché venga messa in campo la stretegia della tensione, che vi sia una sorta di linea di comando diretta, dal governo o peggio dai capitalisti sino agli esecutori. Si tratterebbe di una visione complottarda che, certo, ha avuto riscontri nella storia, ma che in alcun modo è indispensabile per spiegare le connessioni. Dobbiamo però fare un passo indietro.

Lo stato è neutrale?

Non riusciremo mai a spiegare i fatti repressivi senza comprendere il ruolo che svolge la forma stato nella nostra società. Tantissimi giovani picchiati a Genova hanno espresso successivamente la propria sorpresa nel constatare che i poliziotti che li aggredivano sadicamente, erano gli stessi che loro erano abituati a considerare "quelli che ci proteggono", dai delinquenti, dalla mafia, ecc. Non consideriamo affatto le botte "educative", in nessun caso, è certo però che questi giovani hanno fatto esperienza diretta che lo stato non è neutrale, e che sta lì per difendere precisi interessi. La proprietà privata, la sicurezza dei ricchi, il governo e poche altre cose. Lo stato non è neutrale, ma difende gli interessi fondamentali delle classi dominanti. Questa visione apparirà a molti "estremista". Vogliamo però far riflettere su qualche dato. La Lega Nord, che è un partito che difende l'ordine capitalista, ha potuto impunemente: mantenere una organizzazione paramilitare (tuttora attiva), quella delle Guardie Padane, far proclami di evasione dall'ordine costituzionale, dar vita ad un Parlamento alternativo, insultare ripetutamente le massime autorità dello stato. Eppure nessun provvedimento degno di nota è stato preso contro quel partito. Proviamo per un solo attimo a immaginare cosa sarebbe accaduto se, esattamente le stesse cose, le avesse fatte il PRC. Chi milita nell'antifascismo sa molto bene di quale libertà di movimento e di reato godano i gruppi di estrema destra: possono picchiare e devastare senza che accada loro mai nulla. Quando reati simili vengono compiuti a sinistra sono sempre occasioni per retate, perquisizioni e arresti arbitrari. Del resto perché la mafia da un secolo continua a intraprendere affari più o meno indisturbata? Perché svolge un ruolo di comodo per le classi dominanti di questo Paese. E' in qualche modo parte dell'"ordine". E viene perseguita solo quando esagera, quando punta alla concorrenza con lo stato. Nel momento però in cui ritorna nei ranghi nessuno la disturba più. Eppure è a tuttoggi la prima organizzazione armata del Paese. Immensamente più forte delle Brigate Rosse. Il ministro Lunardi però ha l'impudenza di dichiarare che con la mafia toccherà convivere in eterno. Immaginiamo se avesse fatto la stessa dichiarazione riguardo ai gruppi armati di sinistra.

Anche i servizi segreti, in tutto il mondo, non sono neutrali, ma obbediscono alla difesa di precisi interessi: quelli del proprio capitalismo in lotta contro gli altri capitalismi (segreti industriali, ecc.) e quelli di lotta contro la sinistra interna.

I servizi segreti nostrani non posseggono tutta l'efficienza di quelli stranieri. Sono molto all'italiana. Si tratta di 5.400 burocrati distribuiti in tre sigle (SISME, SISDE, CESIS), ma di cui solo un centinaio di agenti all'estero, il che dà la misura di quale ruolo prevalente siano investiti. Pensiamo abbia ragione La Barbera, rimosso da capo dell'antiterrorismo, quando lamenta che da questi organismi non sono venute indicazioni di una qualche utilità a proposito di Genova. Certo, da quel che loro stessi fanno sapere, si dedicano alacremente a intercettazioni, pedinamenti, infiltrazioni, ecc. Ma non basta possedere una mole di dati, tocca anche saperli interpretare. Il profilo di questa gente, però, quasi tutta di provenienza militare, la rende assai poco adatta comprendere quel che avviene a sinistra. Sono essi stessi imbevuti dell'ideologia grossolana, anticomunista, sanguinaria e cretinotta che possiamo leggere su Libero o il Giornale. Certo, vi è la possibilità che si tratti di grandi attori, ma quando questi personaggi sono apparsi al pubblico in vari processi hanno rivelato una sorprendente rozzezza intellettuale ed anche una certa stupidità. Provano una gran fatica a districarsi tra sigle e organizzazioni, partiti e sindacati di sinistra. Non è la loro parte politica, noi a loro sembriamo tutti uguali. Come ai poliziotti a Genova quando ci piacchiavano indistintamente: pacifisti, comunisti, teatranti, passanti... Del resto anche per noi di sinistra, ad esempio, non è sempre agevole comprendere le differenze tra gruppi dell'estrema destra e la tentazione di dire, con una scrollata di spalle, "alla fine sono tutti fascisti" è sempre presente.

Però la strategia della tensione è una cosa facilina facilina da capire e da realizzare. Mettere un bomba e incolpare di questo la sinistra fa sempre effetto e in ogni caso anche se si venisse a scoprire che la sinistra non c'entra nulla, l'effetto tensione è assicurato. Della galassia del movimento antiglobalizzazione i nostri 007 non hanno capito, stando a quel che ha raccontato La Barbera, un bel nulla, in compenso sono stati lesti nella disinformazione: ricordate quando hanno diffuso una nota secondo la quale noi andavamo a Genova a buttare sangue infetto sui poliziotti? Insomma: la disinformazione, e forse anche qualcosa di peggio, di molto peggio, è perfettamente alla loro portata intellettuale.

La dinamica della violenza illegale di stato

E veniamo dunque alla dinamica che scatena la violenza di stato illegale. Evitare l'interpretazione complottarda ci permette di scansare il pericolo di personalizzare l'attuazione della strategia della tensione. Gridare ad esempio "Berlusconi assassino!", ha un sicuro impatto e dà la misura della nostra indignazione, certo però non è corretto dal punto di vista analitico. Per capire Genova, ad esempio, proviamo ad utilizzare questo modellino interpretativo: nel numero scorso scrivevamo (vedi l'Editoriale) che il governo di destra voleva la repressione: significa che hanno pianificato il morto? Non proprio. Ecco il modellino: le classi dominanti attraverso i loro media, pronunciamenti di intellettuali a loro vicini e rappresentanti, ecc. hanno chiaramente fatto intendere che doveva cessare in Italia il ricatto della piazza, cioé il potere delle masse di condizionare gli esecutivi e impedire così le "riforme" necessarie (di questi messaggi abbiamo già parlato in "Le elezioni del 13 maggio"); la destra al governo la cui vittoria quelle classi hanno fortemente voluto e sponsorizzato ha tradotto in: "Genova? Molto bene, diamo loro una lezione!". I dirigenti delle cosiddette forze dell'ordine hanno a loro volta tradotto (come riferito nelle audizioni del comitato parlamentare): "tiriamo fuori gli attributi". I poliziotti e i carabinieri sul posto hanno tradotto operativamente questa esigenza picchiando selvaggiamente e sparando. Come si vede non c'è stato bisogno che partisse una telefonata da casa Agnelli alle guardie di Bolzaneto perché queste sapessero che cosa fare.

In poche parole il dominio delle classi dominanti si dà nella nostra società in maniera estremamente complessa. Vige una sorta di divisione dei compiti tra singoli poteri ai quali sono riservate diverse competenze. Agnelli non si occupa di gestire il bilancio dello stato: lui si aspetta che con efficienza e nel rispetto dei suoi interessi se ne occupi la Ragioneria dello stato. Tronchetti Provera non perde tempo ad organizzare la sicurezza delle sue proprietà o di quelle della sua classe: esige che ci pensi la polizia. Lucchini non esterna le sue opinioni politiche: se ne occupano già i giornali che difendono gli interessi della sua classe. Ecc. ecc. Questo sistema non è privo di smagliature. Questi poteri sono tra loro, formalmente, indipendenti, e dunque a volte cercano di preservare interessi propri, di apparato, altre volte subiscono l'influenza di settori di massa, ecc. Quando ciò accade si mettono in moto altri poteri per riequilibrare il tutto. Ciò è stato visibilissimo quando la magistratura genovese minacciava di andare oltre nelle sue inchieste sugli "eccessi" delle cosiddette forze dell'ordine: immediatamente, a metà agosto, si sono mobilitati governo, sindacati di polizia, e giornali per protestare. Questo funzionamento non gerarchico dello stato del resto spiega anche come sia, al di là di altre ragioni, completamente fallimentare e stupida la strategia terrorista come quella delle Brigate rosse: l'eliminazione di qualche personaggio appartenente a questi poteri non indebolisce in alcun modo un meccanismo così duttile, non a caso le BR hanno bisogno di un'altra teoria per giustificare le proprie azioni: quello dello stato unico, centralizzato, delle multinazionali, cioé una sorta di macchina gerarchica, piramidale, dove, dunque, è possibile, rompendo una rotella, fermare il meccanismo.

Del resto solo una piccola parte dei componenti di questi poteri ha una visione complessiva della realtà, che tende a vedere dal suo specialissimo punto di vista. Prendiamo un qualsiasi poliziotto che torturava nel lager di Bolzaneto: non immaginava certo di fare un favore ad Agnelli o di difendere il capitalismo. Se qualcuno lo interrogasse sulla sua visione del mondo riceverebbe probabilmente qualche sorpresa: forse i ricchi non gli sono per niente simpatici, le multinazionali pure, ha dei genitori meridionali poveri e semianalfabeti, magari è contro i licenziamenti facili, ecc. Ma nella sua ottica lui è parte integrante dello stato, che è al di sopra di tutti, senza il quale sarebbe il caos, lo stato che gli ha dato una divisa che l'ha reso improvvisamente rispettabile e potente, e lo stato, il suo stato, dietro il quale non vede affatto Agnelli, deve essere difeso da questi comunisti, questa gente che parla bene, presuntuosa, solo perché ha studiato un po', che l'insultano quando gli tocca fare servizio ai cortei, con tutte quelle ragazze che vanno in giro e che gridano invece di stare a casa.

Dentro questi poteri, grazie alla loro specializzazione e dunque alla visione parziale della realtà, c'é un sacco di gente drammaticamente "in buona fede". La repressione di Genova era programmata per favorire, in ultima analisi, il capitalismo, ma non tarderemmo a incontrare un capitalista disgustato dalle violenze della polizia. Il "lavoro sporco", quello realmente riprorevole, uccidere, mettere bombe, ecc. è riservato a poteri e gruppi molto circoscritti, di cui gli altri poteri, pur giovandosi delle azioni di quelli, non devono affatto rendere conto. Ciò anzi permette loro, se le cose si mettono male, di scaricare gli esecutori. In fondo non è accaduto qualcosa di molto diverso con le dimissioni imposte da Scajola ai dirigenti della polizia.

Del resto se nello stato non si trova personale disponibile a certe azioni, perché troppo scabrose, troppo pericolose, troppo sanguinarie, si possono contattare gruppi che quelle cose le fanno, senza problemi. Non è necessario nemmeno dare loro input precisi, basta finanziarli, proteggerli, depistare gli indizi che portano a loro. Oppure, semplicemente, lasciarli fare. Quindi non c'è alcun bisogno che quando occorre una bomba il capo di governo tiri su il telefono. C'é gente che sa già quel che occorre fare, o lasciar fare. E se lo fa al momento sbagliato, o quando esagera, allora si fanno intervenire altri poteri, con energia, per fermare il gioco.

Torniamo al fascismo dato che abbiamo la possibilità di far ricorso all'analisi degli storici. Applichiamo il modellino di cui sopra, ma a ritroso, partendo dagli esecutori. Dicevamo che nei primi anni venti le bande fasciste scorazzavano per l'Italia Centrale mettendola a ferro e fuoco. Dopo aver conquistato definitivamente il potere politico la loro violenza da illegale divenne legale, anche se nella transizione non disdegnarono i vecchi metodi: il delitto Matteotti del 1924, prima smentito e poi riconosciuto dal fascismo, e la strage alla Fiera Campionaria di Milano del 12 aprile 1928, con una bomba in piazza Giulio Cesare in occasione della visita del re che uccise 18 persone e ne ferì seriamente una cinquantina (15 anni di indagini della polizia fascista non riuscirono mai ad accertare le responsabilità, che gli indizi e il giudizio storico ritengono quasi sicuramente di matrice fascista, ma servì comunque al regime da pretesto per la repressione degli oppositori, in particolar modo quelli di Giustizia e Libertà). I fascisti comunque, pur essendo finanziati da gruppi di industriali e soprattutto di agrari, non ricevevano ordini diretti da parte di costoro. I giornali dell'epoca non si erano accordati coi fascisti, ma nelle loro cronache stavano sempre bene attenti a minimizzare la ferocia fascista e ad allarmarsi per quella popolare. Un giornalista del Corriere della Sera dell'epoca, certo, avrebbe provato orrore nell'uccidere un contadino. Ma nella divisione dei compiti tra poteri di cui parlavamo prima, lui non aveva affatto il bisogno di macchiarsi di quel crimine, dato che vi erano altri che ci pensavano. Minimizzarlo invece, costava poco alla sua coscienza, e il compito era più adatto alle sue manine bianche. I liberali costituivano un "correntone" che aveva in mano la gestione dello stato: costoro sapevano benissimo chi fomentava la violenza, in prima persona non l'avrebbero mai organizzata, ma faceva loro comodo, e per questo davano indicazione all'esercito di non intervenire. Ciò non impediva loro di provare un certo aristocratico disgusto per la rozzezza dei fascisti. L'insieme degli industriali del resto, con il trascorrere del tempo, si resero conto dei vantaggi che la repressione fascista delle organizzazioni popolari arrecavano loro e dunque appoggiavano i liberali nel non far nulla e alcuni passavano un po' di soldi a Mussolini. Come si vede il meccanismo della violenza di stato illegale non ha bisogno di una linea di comando per rispondere agli interessi di classe.

Nel caso della bomba di Venezia non sappiamo ovviamente nulla più di quel che c'è scritto sui giornali, ma per via puramente deduttiva non ci vuol molto a sospettare la matrice di stato di quella bomba. Lasciamo da parte i pur numerosi indizi che si stanno accumulando (esplosivo militare, i due esecutori indagati di estrema destra, le numerose rivendicazioni della Falange Armata, ecc.). Limitiamoci agli effetti che la bomba ha dispiegato. Ha rafforzato grandemente il partito di coloro che ritengono che i magistrati genovesi stiano esagerando, ha rimesso in riga il settore maggioritario dei DS (D'Alema/Fassino/Violante), ha scatenato il sostegno dei media a favore di una politica bipartisan sulla gestione dell'ordine pubblico la cui vera posta in gioco è l'allontanamento dei DS dal movimento. Quella bomba ci doveva essere, e lo dimostra il vero e proprio tripudio con cui è stata accolta dai giornali della classe dominante. L'11 agosto il Corriere della Sera titolava: "Venezia, le nuove BR rivendicano la bomba". In realtà le BR non c'entravano proprio nulla, e il Corriere lo sapeva benissimo, ma il richiamo alle BR serviva a rafforzare la campagna tesa a separare la socialdemocrazia dal movimento, operazione tanto ben riuscita negli anni settanta con il PCI nei confronti della radicalizzazione giovanile. Nell'occasione, e non a caso, è stato dissepolto anche Gaspare Barbiellini Amidei, con un editoriale dello stesso giorno in prima pagina, che pare scopiazzare gli editoriali che lui stesso scriveva vent'anni fa quando c'era l'emergenza terrorismo e dove, ovviamente, afferma che "per disarticolare il nuovo terrorismo il senso comune della democrazia vieta ogni gioco di sponda con i violenti e i loro vicini". La bomba di Padova poi rafforzava il giochetto, e il commento del giorno dopo sempre sul Corriere di Gian Antonio Stella era intitolato "La città dei cattivi maestri", dove, ovviamente, si tirava in ballo Toni Negri e il rapimento del generale Dozier ad opera delle BR, con tanto di foto. I giornalisti del Corriere proverebbero un sincero orrore se qualcuno li mettesse in relazione con le bombe: sono persone così pacifiche! A loro, esattamente come ai giornalisti alla vigilia del fascismo, il lavoro sporco fa schifo.

Perché in Italia?

Perché negli altri Paesi gli stati non usano la violenza illegale? Perché, come abbiamo più volte scritto, hanno una classe dominante più forte, quindi uno stato più potente, e una maggiore legittimazione da parte dei cittadini. E allo stesso tempo dispongono di masse più passivizzate delle nostre. Questo permette in alcuni casi un uso più disinvolto della violenza legale (per reprimere la rivolta di Los Angeles la polizia ha fatto fuori più di 40 cittadini neri), che in tutti i casi non deve fronteggiare masse in continua mobilitazione. Per noi è una sorta di abitudine trovarci in manifestazioni con più di centomila persone. Ma per il resto del mondo si tratta invece di eccezioni. Non è vero che quella di Genova è stata la più grande manifestazone del movimento perché l'ultima di una escalation internazionale. La verità è che solo in Italia poteva esserci una manifestazione così numerosa. Le deboli classi dominanti italiane con il loro fragile, corrotto, inefficiente e delegittimato stato hanno dovuto affrontare nel corso del secolo scorso tre crisi rivoluzionarie, la gran parte dei Paesi imperialisti non ne ha dovuta affrontare nemmeno una. Del resto il '68 è durato ovunque un anno, ma da noi dieci. Così come per i popoli oppressi l'uso del terrorismo è indice di debolezza (come avviene oggi con i palestinesi i cui attentati suicidi sono espressione della loro impotenza militare a fronteggiare Israele), così il ricorso al terrorismo da parte delle classi dominanti e dei loro apparati è indice della loro fragilità e della loro paura. La differenza però non è di poco conto. Nel primo caso il terrorismo non ha mai portato ad alcun risultato. Nel secondo qualcuno sì, purtroppo per noi. Per questo, dato che la storia d'italia ci ha insegnanto che quando le classi dominanti pensano che ci vorrebbe una bombetta, la bomba qualcuno la mette, dobbiamo comprendere che l'unica maniera per disinnescarla è sconfiggere il fine che arma chi accende la miccia o chi lo lascia fare: separare i movimenti dalle larghe masse, dai loro sentimenti, dalle loro aspettative.