Nulla
sarà come prima.
Dopo
Genova nulla sarà come prima. Gli scopi che si proponeva la destra
scontrandosi con il movimento, la mobilitazione dopo Genova, la successiva
parziale ritirata del governo. Le prospettive. REDS. Agosto 2001.
È
stato detto che dopo Genova nulla sarà come prima. È vero. Il
massacro attuato dal governo Berlusconi in questa occasione ha fatto compiere
un salto di comprensione a tutto un movimento che oggi può senz'altro
definirsi di massa. Eravamo abituati da anni alla melassa gelatinosa
del consociativismo centrosinistrese. Non che anche quello ci andasse giù
morbido: negli anni novanta abbiamo pure avuto scontri, repressione, denunce,
ecc. Ma questo arsenale repressivo era stato utilizzato nei confronti di aree
minoritarie. Ad esempio i sindacati di massa non erano mai stati attaccati
frontalmente. Non si vedeva da decenni una manifestazione con più di
duecentomila persone aggredita frontalmente dalle cosiddette forze dell'ordine. Gli anni
della concertazione e della commistione più o meno continuativa della
sinistra con il governo ci aveva fatto dimenticare cosa è la destra:
una corrente politica della classe dominante che vuol raggiungere velocemente
i propri scopi attraverso la dispersione dei movimenti di massa. Si distingue
in questo dal centrosinistra che aveva più o meno gli stessi fini,
ma intendeva arrivarci più lentamente e con il consenso delle
organizzazioni sindacali di massa. In questa situazione anche alle moderatissime
direzioni cigielline la destra non lascia scampo: o combattere o soccombere
(vedi il pezzo di due mesi fa "Dopo il 13 maggio"). In questi
giorni si sta attribuendo un ruolo eccessivo al Black Block (vedi La questione del Black Bloc). Chi era a Genova ha visto chiaramente
che sono stati attaccati pezzi di manifestazione dove i black non si
erano fatti vedere (ad esempio la piazza tematica di ATTAC). I black
sono stati un pretesto per attuare un piano che era già stato
preordinato (vedi La logica
della repressione) anche con l'aiuto di numerosissimi infiltrati e provocatori
che avrebbero attuato con o senza black. La manifestazione di sabato
ad esempio è stata aggredita a sangue freddo con l'utilizzo di un piccolo
gruppo di provocatori. Il bilancio finale (mezzo migliaio di feriti ufficiali,
ma quelli reali sono molti di più) è un vero e proprio
bollettino di guerra. I rappresentanti dell'ordine, e mai questa parola
ha assunto significato più sinistro, si sono affannati a dichiarare
nei giorni del vertice che il tempo del buonismo è finito. Il
governo di centrodestra ha voluto dare un saggio di ciò che intende
fare dei movimenti sociali. Come sottolineava in un soddisfatto editoriale
Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera all'indomani degli incidenti,
forse Genova segnava la fine del potere di ricatto e pressione della
piazza (cioé dei movimenti) sulle istituzioni: una insopportabile
anomalia italiana (vedi La
logica della repressione). Poi la mobilitazione successiva ha fatto vacillare
anche il Corriere (vedi Genova attraverso gli editoriali del Corriere della Sera). Durante le
giornate di Genova la sinistra anticapitalista ha dato prova di grande impreparazione.
Ce lo dobbiamo dire, altrimenti continueremo a ripetere i vecchi errori. Nessuno
aveva previsto il salto qualitativo che il governo Berlusconi aveva in mente.
Nessuno prevedeva che avrebbe avuto il coraggio di attaccare frontalmente
una manifestazione di massa. Abbiamo affrontato questo appuntamento dunque
in un modo che oggi appare stupido e autolesionista (vedi Gli errori di gestione). E' una critica che rivolgiamo anche
a noi stessi, che al pari di gran parte dei compagni condividevamo grosso
modo le modalità con cui si prevedeva di affrontare la scadenza di
Genova. Tutte le componenti del movimento si sono preoccupate innanzitutto
di assicurare la propria visibilità e il libero svolgimento delle proprie
modalità di espressione della protesta. Nessuno si è accorto
che invece innanzitutto era necessario assicurare tutti insieme una
articolazione difensiva che garantisse tutti dall'attacco gestito dal
governo Berlusconi. Le cosiddette forze dell'ordine hanno impedito a tutti
infatti (dai non violenti ai disobbedienti, da ATTAC ai cobas) di manifestare
come pareva loro. La successiva
reazione del movimento però ha costretto il governo sulla difensiva.
Pensare che la situazione fosse semplicemente sfuggita di mano al governo
è un grosso errore di valutazione: Berlusconi ha difeso a spada tratta
e con soddisfazione la repressione, ma poi, grazie alla mobilitazione successiva
al 21, ha dovuto indietreggiare. La dinamica è stata chiara. I giornali
della classe dominante difendevano senza indugio l'azione repressiva, ma il
movimento, invece che disperdersi, ha spontaneamente raccolto le forze in
uno straordinario prolungamento della mobilitazione protrattasi per giorni
e ad oggi, fine luglio, non accenna a fermarsi. Il 24 sono scese in piazza
mezzo milione di persone in tutte le città italiane, una intelligente
e martellante attività di controinformazione costringeva anche chi
tentennava, come i DS, a prendere via via posizioni sempre più decise.
La base diessina ha vissuto giornate di vera e propria indignazione nei confronti
del proprio vertice che non ha potuto fare a meno di cavalcare la rabbia adottando
un atteggiamento più fermo del solito in Parlamento. La reazione ha
colto impreparato il governo che immaginava di gestire una situazione in cui
il movimento fosse in rotta di collisione con la socialdemocrazia: si è
ritrovato contro invece un fronte ampio e inaspettato. A quel punto anche
i giornali della classe dominante hanno cominciato a prendere posizione contro
gli eccessi (che conoscevano benissimo già dall'inizio, era
sufficiente che si leggessero i pezzi scritti dai loro stessi giornalisti
nelle pagine interne), il governo a concedere la commissione di indagine,
Ciampi a svegliarsi dal suo comodo silenzio. Per ora,
e sottolineiamo per ora, la destra non ha conseguito uno dei suoi obiettivi,
cioé l'eliminazione della piazza come strumento di pressione.
Ma il governo gode ancora del consenso dell'intera classe dominante, e punta
sull'appoggio della maggioranza silenziosa, di quella massa di gente resa
inerte da anni di centrosinistra, dai piccoli privilegi dell'essere cittadini
di Paesi ricchi, che passa le proprie giornate tra lavoro e televisione. Facciamo
attenzione a non confondere la nostra furibonda indignazione con quella
della massa degli italiani. Questa massa è ancora, in gran
parte, da conquistare. Dobbiamo tirarla fuori dalle case, convincerla
a staccare la spina del televisore, farla scendere in strada, motivarla. Non
c'è nulla di scontato in tutto questo. Non compiamo l'errore di sottovalutare
la forza e l'intelligenza della destra. Il suo comportamento non è
pazzesco. In altri Paesi la destra ha raso al suolo per decenni la
capacità di reazione delle classi dominate: si pensi agli USA, si pensi
al Regno Unito. La Thatcher usando metodi da guerra ha distrutto il movimento
sindacale inglese e stroncato la lotta dei minatori (vedi articoli specifici),
e Reagan ha fatto lo stesso, la destra punta (del resto lo ammette apertamente)
a fare così anche in Italia, e non è per nulla scontato che
non ci riesca. Sconfitte dopo sconfitte, legnate dopo legnate, le gente si
stanca, si demotiva, si rassegna, si impaurisce e non manifesta più,
lasciando magari alcune frange disperate ed isolate a combattere l'ultima
battaglia, con metodi estremisti, di cui la destra non ha paura, perché
può mettere in campo centinaia di migliaia di uomini in armi. Le potenzialità
per resistere e vincere esistono. Lo si è visto chiaramente dalla capacità
di reazione dopo il massacro di Genova. A Genova è accaduta
inoltre una cosa enorme che gli incidenti hanno offuscato. La partecipazione
di pezzi consistenti di classe lavoratrice al movimento antiglobalizzazione.
La lotta ancora in corso dei metalmeccanici organizzati nella FIOM si è
unita a quella dei giovani e degli attivisti dei movimenti sociali. Altri
settori a partire dall'autunno potrebbero unirsi, pensiamo a esempio alla
scuola che la Moratti sta già pianificando di attaccare, oppure alle
pensioni che la destra si appresta a smantellare. Come dimostra la vicenda
del contratto metalmeccanico e quello dei contratti a termine, la destra infatti
ha in mente di colpire anche i settori moderati della sinistra: la CGIL, volente
o nolente, sarà costretta difendersi. Dopo Genova anche il movimento
antiglobalizzazione visualizza in maniera molto più chiara chi è
il nemico da battere: il governo Berlusconi. La globalizzazione come dittatura
della logica del profitto ha in questo governo la sua più compiuta
e sfacciata espressione. Tutte le mobilitazioni nei prossimi mesi slitteranno
inevitabilmente e inesorabilmente sul piano del politico. La prova
di forza tra le masse e la destra ci sarà molto presto, e se falliremo
non pensiamo di aver diritto a un qualche appello. Il massacro
di Genova un risultato l'ha già ottenuto: una unità e una solidarietà
tra i vari pezzi del movimento che prima erano sconosciuti (vedi Le
componenti del movimento antiglobalizzazione). Una nuova generazione si
è saldata ad un'altra, adulta, proveniente dai movimenti dei decenni
passati (vedi Venti anni di storia dei movimenti pacifisti e di solidarietà
internazionale). Questa unità è preziosa e va estesa e consolidata
a partire dalla base con la formazione di strutture di lotta territoriali,
nelle scuole, nelle università e nei posti di lavoro, estendendo e
consolidando le reti che si sono formate e che si stanno formando, inglobando
come già sta accadendo in molti luoghi i sindacati e soprattutto le
RSU (vedi Che movimento
costruire?). Dobbiamo operare perché il movimento non viva solo
di scadenze (seppur importanti) di piazza, ma sappia approfittare del suo
consenso di massa per costruire alla base, sul territorio, nuove lotte, organismi
che le gestiscano e le unifichino con le vecchie. Se questo movimento saprà
allargarsi e allearsi con altri (quello sindacale e quello che speriamo potrebbe
partire in autunno nelle scuole) si creeranno le condizioni (ad esempio con
uno sciopero generale che non sia il rituale cui siamo soliti assistere in
Italia, ma che blocchi sul serio l'Italia) per far pagare alla destra il prezzo
del proprio ardire. 31 luglio 2001
Non stiamo certo affermando che dunque sarebbe stato meglio sostenere
il centrosinistra. La politica del menopeggio ha portato ad un centrosinistra
che immaginava di non dover pagare mai dazi per una politica moderata che
gli ha fatto perdere il consenso degli strati sociali popolari e giovanili,
senza fargli guadagnare quello dei ricchi. Le polemiche nei confronti del
centrosinistra oggi, però, non c'entrano più nulla. Dobbiamo
riposizionarci, comprendere che ora il nostro nemico è il governo Berlusconi
e che per questo occorre il massimo di unità tra le forze della sinistra,
una unità però non al ribasso, fatta sulla pelle dei movimenti.
Il balletto dei dirigenti diessini sulla partecipazione alla manifestazione
di Genova è stata una delle pagine più vergognose della storia,
già assai poco gloriosa, di quel partito, ma le minacce di espulsione
dal corteo provenienti da settori della sinistra anticapitalista non sono
certo servite a creare positive contraddizioni tra i vertici e la base elettorale
e militante di quel partito. La destra è un nemico nuovo, che dobbiamo
imparare a conoscere molto rapidamente. Siamo in ritardo perché molti
di noi hanno fatto una esperienza di più o meno pacifica convivenza
con le destre municipali, ma attenzione: ora la destra ha in mano le
leve fondamentali dello stato, e in primo luogo il controllo delle forze repressive.