Dibattito sulle possibilità
di un'alleanza tra soggetti sociali oppressi.
Risposta di Sabina Zenobi a Lorenzo Bernini
e Michele Corsi. Febbraio 2000.
Stimolata dal dibattito tra Corsi e Bernini a proposito di "Liberazione omosessuale e liberazione femminile", vorrei aggiungere anch'io alcune riflessioni. Immaginate, per favore, due scenette di questo tipo:
1) Un gruppetto
di colleghi si ritrova davanti al distributore di bevande durante la pausa caffè.
Del gruppetto fanno parte: un omosessuale, un maschio eterosessuale di livello
piuttosto alto, diciamo dirigente e preferibilmente ingegnere, una o due donne,
preferibilmente sotto i cinquanta. Avendo a disposizione del pubblico femminile
il maschietto-dirigente-etero inizia lo "show" (sì, perché
lui è molto più esibizionista di quanto potrebbe esserlo un gay,
checche ne dica!) e, per dimostrare la sua superiorità intellettuale,
ma nella maggior parte dei casi si tratta solo di riaffermare la propria posizione
dominante nel gruppo (vi ricordate nei documentari di Piero Angela quei gorilla
che si battono i pugni sul petto?) inizia a raccontare. NO, non le solite barzellette,
diamogli la possibilità di essere meno scontato, diciamo che racconterà
del suo ultimo viaggio all'estero o dell'ultimo film che ha visto al cinema
con la moglie. (Naturalmente, il nostro dirigente è spostato e con prole).
Ebbene, nel racconto, non si sa perché, sentirà il bisogno di
infilare qualche commento "politicamente scorretto" contro minoranze
varie, battute che non fanno ridere sulle donne, oppure imprecazioni varie contro
i "froci".
A questo punto, il nostro gay potrebbe facilmente rispondere qualcosa di pungente,
tanto per riaffermare le dovute distanze con simili individui, che so, un commento
ironico sull'abbigliamento del collega (vestiti scelti dalla moglie quindi immaginatevi
gli accostamenti di colori), oppure sull'orizzonte culturale limitato di cui
gli ingegneri danno continuamente prova, o se proprio volesse essere stronzo
su quella pancetta degli uomini accasati così poco piacevole a vedersi.
E invece niente. Il silenzio.
2) A tavola, durante una cena, due coppie etero discutono di un argomento qualsiasi, politica o altro. Se per disgrazia verrà fuori che lei e lui hanno idee diverse, il maschio etero, preso non si sa da quale raptus, inizierà a comportarsi da "cafone" con la moglie, rinfacciandole, spesso col sorriso e fingendo di voler solo scherzare, cose anche spiacevoli da dire in pubblico, al solo fine di dimostrare all'altro maschio o alla donna dell'altro maschio, la sua indiscussa superiorità nei confronti della donna che gli sta accanto. Ebbene, lei avrebbe ben poche difficoltà a rispondere con classe e con ironia che il superuomo, lasciato da solo, non sarebbe capace di far funzionare la lavatrice o di farsi un sugo di pomodoro, per non parlare delle camicie (questo nel caso la donna fosse semplicemente una casalinga, se poi ha anche una professione potrebbe attingere spunti da vari campi), e che, quindi, semplicemente, deve al suo buon cuore la sopravvivenza fisica. Anche in questo caso la reazione non è questa, ma piuttosto il silenzio, la crisi isterica o gli insulti.
Perché?
Corsi mi dirà che tali reazioni dipendono proprio da tutte quelle cose
scritte nel suo articolo, ma io penso che ci sia dell'altro. Non sono affatto
convinta che i soggetti sociali oppressi siano davvero diversi dagli oppressori
e che possiedano caratteristiche, mentalità, culture diverse, come lui
scrive.
Basterebbe pensare ai tanti esempi di dittatori dei vari stati africani per
capire che gli oppressi una volta raggiunto il potere non sono diversi dagli
oppressori. Ma ci pensate che Bokassa, il famigerato dittatore del Centrafrica,
si era fatto incoronare imperatore? Si comportava così solo perché
aveva studiato in occidente e non aveva una chiara coscienza della propria razza?
Non è sufficiente rispondere così.
Consiglierei di leggere le opere di Jean Genet (per la cronaca: omosessuale,
ex galeotto, cresciuto nei vari riformatori di Francia, e sicuramente non borghese!)
per capire che le vittime sono spesso complici dei loro carnefici e che gli
emarginati, stranamente, braccati, perseguitati, picchiati selvaggiamente dalle
guardie carcerarie o dai poliziotti, amano profondamente i loro aguzzini e anzi
ne fanno i protagonisti delle loro fantasie erotiche.
Duro da accettare per noi comunisti che, come Marx, siamo eredi dell'ideologia
positivista e tendiamo a spiegare i comportamenti umani solo da un punto di
vista razionale, tralasciando assolutamente le zone d'ombra, l'irrazionale.
Io penso che quel gay del racconto che, pur avendo mille modi per demolire psicologicamente
in una discussione l'avversario etero, decide invece di stare zitto, agisca
così anche perché affascinato da quell'esibizione gratuita di
forza e di potere, tanto sprezzante della sensibilità altrui. E lo stesso
vale anche per la donna (PURTROPPO!!!). Subisce lo stesso fascino e al momento
opportuno scimmiotta il comportamento del maschio con i figli, con l'amica,
con l'amante...
Anche i proletari fanno così, una volta promossi nella scala gerarchica,
e così pure gli israeliani, i neri, ecc. E allora dove sarebbe questa
presunta differenza "di sostanza" tra oppressori e oppressi? Esisterebbe
proprio solo nel momento in cui l'oppressione è brutale, ma Genet ci
insegna che neanche allora è così.
Badate bene che questa lucidità non toglie nulla all'impegno politico,
non vorrei che pensaste che vi ho citato l'esempio di uno scrittore reazionario.
Genet era senza ombra di dubbio un uomo di sinistra, impegnato nella difesa
di alcune questioni fondamentali degli anni '60, come la questione palestinese,
il movimento delle Pantere Nere o l'infanzia criminale, però aveva anche
il coraggio di guardare con onestà agli oscuri processi psichici dell'animo
umano.
A che pro tutte queste considerazioni?
Per dire che dobbiamo iniziare a formarci un'idea più complessa dei giochi
di potere che intercorrono tra gli individui e tra le categorie sociali, come
in fondo diceva anche Bernini, non perché vada di moda il pensiero della
complessità, a dire il vero dopo lo strutturalismo un po' alla moda lo
è di certo, ma perché mi pare che una logica "non binaria"
del potere potrebbe essere più vicina al vero.
Così come stanno le cose ci sono degli indubbi vantaggi per alcune categorie
(maschi, bianchi, eterosessuali, cristiani) e degli svantaggi per le corrispettive
categorie minoritarie, però da questo derivano altri svantaggi che si
ripercuotono sugli oppressori: gli uomini in generale non sanno badare a quelle
cosine molto concrete che garantiscono la sopravvivenza e quindi, in caso di
divorzio e di decesso della propria madre, rischiano la vita, i bianchi non
possiedono tutto il petrolio e tutte le materie prime di cui abbisognano, per
cui in caso di seria incazzatura da parte degli avversari rischierebbero tanto
(vedi la crisi del petrolio del 73), gli uomini etero vorrebbero tanto sperimentare
altre forme di piacere ma continuano a negarselo, e così i padroni non
saprebbero far funzionare le loro macchine senza gli operai o gli impiegati
e se è vero che obbligano questi ultimi a fare gli straordinari è
pur vero che devono fermarsi anche loro in ufficio per controllarli. Tutte le
categorie privilegiate devono poi stare sempre sulla difensiva per mantenere
i privilegi e ogni tanto attaccare per primi per evitare di essere a loro volta
attaccati. Non è che sia tutto così pacifico, che ne dite?