Parte IV - Grandiose ebbrezze

PABLO AMARINGO
IL PITTORE DELL’ANIMA

di Hervé Merliac

Yage: istruzioni per l’uso

Gli occhi socchiusi, Pablo è seduto al suo tavolo di lavoro, concentrato. La fiamma del suo pennello fa apparire sfiorando le tenebre della carta l’ordine complesso dei paesaggi abitati da sciamani e spiriti silvestri. Di quando in quando, sollevando il foglio innanzi al viso, gli occhi chiusi, suona un icario perché il canto magico imparato dalle piante lo aiuti a far riaffiorare le sue visioni in ogni dettaglio. A quasi 60 anni, ha un’aria da giovanotto, il sorriso malizioso e, malgrado il calore tropicale, neppure una goccia di sudore gli imperla il viso. Si esprime con voce melodiosa in quello spagnolo tropicale ricco di vezzeggiativi ed espressioni arcaiche. Racconta la magia dell’ayahuasca.

«Ho vissuto a Pucallpa dal 1949 ma sono nato a Puerto Libertad, un po’ più in basso, nella selva, nella proprietà dove si erano stabiliti i miei genitori. Quando siamo arrivati a Pucallpa, tutte le nostre ricchezze si erano ormai volatilizzate, il nostro bestiame era morto e nostro padre si era messo a vivere con un’altra donna. Nostra madre si è trovata da sola ad allevare sette figli. Ho lavorato nelle segherie, in cantieri di costruzione, come pescatore, agricoltore, marinaio, parrucchiere... sono stato anche professore: insegnavo a scrivere in castigliano, e anche in inglese.

«Ho cominciato a bere l’ayahuasca verso i 16 o i 17 anni. Lavoravo come tuttofare da un capitano. Mi hanno portato delle casse per imballare il cotone, la scala non era sicura, le assi marce: io dovevo portare le casse al piano superiore. Facendo un notevole sforzo, sono riuscito a sollevarne una e a fare qualche passo. È allora che ho avvertito una fitta al cuore, che mi ha fatto paura, ma poi è sparita. Durante la notte, ho sentito di nuovo questo dolore che mi attraversava il corpo, non potevo più respirare. Dei medici tedeschi hanno diagnosticato un problema cardiaco. Per curarmi, sono andato a visitare un’anziana donna, una curandera che curava con l’ayahuasca. Avevo già preso l’ayahuasca, con mio padre e mia madre, quando mio padre non era stato bene. Io l’avevo accompagnato dal curandero che mi aveva detto: “Prendine anche tu, non ti farà male”. Allora ne presi e vidi delle cose, ma sfocate. Invece, quando ho preso l’ayahuasca per curarmi, ho avuto subito chiare visioni. «Non volevo crederci: non soltanto mi curava ma sconfiggeva anche il male. Quando mi hanno portato laggiù per operarmi, ho visto i «dottori» con tutti gli strumenti chirurgici, ho visto come mi hanno operato: hanno estratto il mio cuore e l’hanno messo su un piatto, mi hanno messo qualcosa per respirare. C’era un dottore e due infermieri, ho un ricordo nitidissimo dei loro abiti e di quanto è avvenuto. Quando ho visto tutto questo, ho pensato: “È realtà o illusione?”. Ma non era un inganno, perché mentre eravamo a colloquio con gli spiriti, questa donna era con noi. Io la guardavo, lei, con il suo abbigliamento, i suoi colori e mi sono reso conto della sua sapienza, di tutto quello che aveva dentro. Mi accorgevo di quello che stava accadendo, non era illusione: era tutto vero!

«Mi sono curato con l’ayahuasca, e, una notte, lo spirito della curandera è rimasto dentro di me, ed è così che io sono diventato sciamano. Ho preso l’ayahuasca dal 1967 al 1976 per concentrarmi, tutte le notti per nove anni. Non ho mai smesso di prenderne per restare concentrato tutto il giorno e curare in modo giusto le persone. Io curavo un centinaio di persone al giorno, vivevo concentrato e questo mi debilitava enormemente, visto che mangiavo poco. Così mi reggevo tutto il giorno con latte non zuccherato. Non ho mai desiderato di abbandonare lo sciamanesimo anche se esistono sciamani invidiosi e malevoli, gli hechiceros. Questi attentano alla tua vita come se ti puntassero una pistola alla tempia. Anche gli stregoni possono fare del male ma non volontariamente, sono scalognati.

Ho realizzato il mio primo dipinto visionario il 24 luglio 1985. In un solo giorno. Quando Luis Luna [etnologo, amico e agente di Pablo, NdR] mi ha chiesto cosa dipingessi, io gli ho detto che era una visione da ayahuasca. Mi ha risposto ch’ero pazzo. Ma poi mi ha incoraggiato a dipingere ed è diventato il mio agente...»

 

L’ayahuasca, chiamata anche yage o caapi, è una bevanda allucinogena originaria del bacino amazzonico, prodotta dall’infuso di due piante dai principî attivi complementari: la liana Banisteriopsis caapi, e le foglie di un arbusto della famiglia del caffè, Psychotria veridis. L’uso di questa bevanda viene associato alle pratiche sciamaniche degli indios che la utilizzano a scopi magico-curativi fin dall’epoca precedente alla Conquista ispano-portoghese. L’esatta composizione di questo decotto così come i suoi principî psicoattivi sono rimasti per decenni un enigma per i ricercatori.
Di volta in volta denominato telepatina, poi banisterina, l’alcaloide responsabile delle visioni straordinarie che procura l’ayahuasca, è oggi identificato con il nome di dimetiltriptamina (dmt), una molecola che, componendosi con la serotonina, uno dei principali neurotrasmettitori del sistema nervoso centrale umano, produce splendide «allucinazioni». Tuttavia, il dmt se ingerito rimane inattivo, in quanto nel passaggio intestinale viene danneggiato dall’azione enzimatica chiamata monoamina ossidase (mao). Bisognerà attendere gli anni Cinquanta perché la scienza occidentale scopra e comprenda l’azione di questi enzimi e dei loro inibitori (imao) che permettono il passaggio, in questo specifico caso, del dmt nel sistema sanguigno, fino al cervello. Gli indios hanno risolto questo problema centinaia, anzi migliaia di anni prima della scienza accademica, mettendo insieme nelle loro ricette la foglia di Psychotria veridis, ricca di dmt, con la liana Banisteriopsis caapi, che contiene potenti principî inibitori di mao. Altre piante dotate degli stessi principî essenziali sono usate da diverse comunità locali allo stesso modo.
La bevanda allucinogena e la liana portano il medesimo nome: ayahuasca, liana dei defunti in lingua quechua. È quella che, secondo la tradizione, trasmette il suo insegnamento a chi ne fa uso, rendendo visibile ai suoi occhi un mondo occulto ma inseparabile dal mondo materiale, uno «spazio parallelo», nel quale lo sciamano ayahuasquero può agire in modo tangibile sul reale, che si tratti di guarigione, di ritrovare il bestiame smarrito, di guerre o altri scopi pratici.

 
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