Uno degli aspetti più importanti sottesi alle iniziative riformatrici dell'ultimo governo è il rapporto tra formazione e lavoro, risolto a nostro avviso con una eccessiva attenzione al secondo termine della questione, slegato però da "alte" finalità culturali, critiche e civili, e appiattito sul piano delle esigenze della produzione e delle aziende (in maniera mistificante definite tout court il "mondo del lavoro"). Il rapporto tra formazione e lavoro, attività intellettuale e manuale, e la ricerca di un'armonia tra esse è stata invece oggetto di riflessioni significative che sarebbe bene riscoprire per riaprire il dibattito. Una discussione in questo senso è infatti secondo noi necessaria e propedeutica a qualsiasi volontà di riforma della (obsoleta) scuola italiana, che voglia essere progressiva e realmente democratica. Uno tra coloro che ha fornito con la sua opera di pensatore e con la sua attività di educatore spunti interessanti per un dibattito di questo tipo è senza dubbio Freinet.Célestin Freinet (1896-1966), il "maestro di Bar-sur-Loup", non è stato solo un teorico della pedagogia, ma soprattutto un insegnante, che ha rivolto la sua attività e la sua attenzione ai figli degli operai e dei contadini, ai bambini dei paesini di campagna e di montagna.
Nello sviluppo della sua dottrina assegna un ruolo liberatore a una scuola destinata ai figli della classe operaia. E' quindi il fondatore di una "pedagogia popolare", che tenga conto cioè delle specificità di interessi, di pratiche, di esperienze, in una parola del punto di vista dei bambini delle classi lavoratrici. "Come interessare G. alla lettura e alla scrittura che lo lasciano indifferente, mentre era interessatissimo, secondo le stagioni, alle lumache che custodiva vive nelle sue scatole mal chiuse, ai suoi insetti e alle sue cicale che cantavano nel momento meno opportuno?" - questo il suo punto di partenza. Elabora quindi e sperimenta delle tecniche di insegnamento che tengano conto delle specificità di classe, che rendono un bimbo proletario profondamente diverso da un bimbo borghese, benestante e di città, modello sul quale si sono formate anche le teorie pedagogiche più innovative. E modello, potremmo aggiungere, sul quale si fonda ancora in larga parte la pratica scolastica attuale, nonostante il suo anacronismo.
Freinet ha introdotto nella scuola la tipografia, ha promosso i metodi naturali nell'educazione. Fin dal 1927 comincia ad adottare le tecniche audiovisive e una massa di strumenti quali il testo libero (che sostituisce la tradizionale composizione in cui il bambino è costretto a svolgere un enunciato dettato dall'insegnante), il giornale scolastico (elaborato con il criterio del testo libero è il prodotto della tipografia scolastica, di una tecnica volta cioè a saldare apprendimento, creatività e lavoro, attività manuale e attività intellettuale), la corrispondenza interscolastica (finalizzata a rompere l'isolamento degli scolari di campagna), il calcolo vivente (che consiste nel motivare l'apprendimento e l'esercizio aritmetico a partire dalla soluzione di problemi matematici posti dalla vita di classe), la lettura naturale, il lavoro autocorrettivo, ecc. Egli voleva una scuola al servizio dei bambini, della loro libertà, che insegni loro ad autogestirsi.
Nella sua attività incontrò l'opposizione dei tutori dell'ordine: fu deciso di trasferirlo, ma Freinet invece di capitolare, diede le dimissioni. E la scuola che creò in seguito, a Vence, venne realizzata nonostante e spesso contro la scuola ufficiale.
Facendo ricorso al volume "Educazione o condizionamento? Per una critica della pedagogia istituzionale", Savelli, 1970 (di autori vari, quali Freinet, Laguillaumie, Fürstenau, Dietrich), al quale siamo debitori anche per alcune delle note di commento di questa pagina, pubblichiamo di Célestin Freinet due testi: Verso la scuola del proletariato: l'ultima tappa della scuola capitalista, un articolo, comparso su "Clairté" nel giugno 1924, a quattro anni, cioè, dall'inizio della sua attività di educatore; Dall'utensile alla cultura, pagine tratte dall'Essai de Psychologie sensible, e poste da Freinet a conclusione della sua monumentale ricerca su La methode naturelle ("Actualitès Pedagogiques e psychologiques", Istitut J.-J. Rousseau, Geneve, 1967, vol. 3, pp. 149-152); estratto che può essere letto come il suo testamento spirituale.